Non vedo come un organismo vivente possa essere tenuto assieme, crescere, nutrirsi, reagire agli stimoli, riprodursi, soltanto su basi fisiche e chimiche. Sarebbe come pretendere che pezzi di Lego, variamente combinati e fatti roteare e sbattere gli uni contro gli altri, a caso, fossero in grado di farlo o che granelli di sabbia di diversa foggia, opportunamente distribuiti, si ordinassero a poco a poco a formare castelli sulla riva del mare.
- Ma le teorie che invocano “campi morfogenetici”, come quelle di Sheldrake, Weddington, Goodwin e altri, a quanto mi risulta, non sono “scientifiche”.
Possiamo accettare questa precisazione, ma solo intendendo, più precisamente: non sono soggette a “falsificazione empirica”, nel senso di Popper.
- E ti pare poco?
Abbastanza poco, se consideri i limiti epistemologici del fallibilismo popperiano. Le teorie “scientifiche” sono piuttosto “totalità”, secondo la prospettiva di Orman V. Quine, nelle quali è difficile distinguere la “parte empirica” (soggetta a controllo diretto) dalla “parte teorica” (falsificabile solo se le sue conseguenze empiriche sono mostrate false). Ma, se questo è vero, come dimostra anche Paul Feyerabend, è difficile distinguere le teorie scientifiche dalle concezioni filosofiche o religiose
- E quale criterio adottare, allora, per distinguere una buona teoria, scientifica o filosofica che sia, dalla fantasia di qualche ciarlatano, magari interessato a catturare l’attenzione di chi ha il desiderio, il bisogno o la necessità di credere in quello che il ciarlatano spaccia per vero (che esista una vita dopo la morte, per esempio, o che certe erbe siano curative ecc,).
Il criterio che risale ai Greci è il seguente: la determinata teoria deve essere internamente coerente (o, almeno, apparire tale, se Goedel ha ragione) e “salvare i fenomeni”. Ciò non assicura che la determinata teoria sia vera, ma la rende verosimile, fino a prova contraria (prova empirica o prova teorica: un’incongruenza o una contraddizione). Un esempio di teoria di questo tipo è la “teoria delle stringhe”. Questa teoria è costruita per “salvare” i fenomeni subatomici (o, per meglio dire, i loro effetti visibili, prodotti p.e. negli acceleratori di particelle) altrettanto bene del modello standard, ma con maggiore eleganza.
- E tali sarebbero anche le teorie che invocano un “campo morfogenetico”?
Queste teorie “salvano il fenomeno” della morfogenesi (dello sviluppo dell’embrione: da un insieme di cellule totipotenti all’individuo adulto), processo che nessun’altra teoria è in grado di spiegare (senza introdurre a propria volta ipotesi ad hoc non verificabili e, spesso, estremamente complesse, alla faccia del celebre “rasoio di Ockham”).
- Ma teorie come quella del campo morfogenetico o come la (per certi versi) analoga teoria dell’univeso olografico di Bohm, violano numerosi principi del meccanicismo! Specialmente il “principio di oggettività”, invocato da Jacques Monod (in Il caso e la necessità, 1970), secondo cui, dai tempi di Galileo, la scienza è contraddistinta dal sistematico rifiuto, in ogni campo, del ricorso a cause finali.
Senz’altro queste teorie violano il meccanicismo, anche se non violano l’ipotesi di un’almeno ideale interpretazione matematica del cosmo. Queste teorie, infatti, non disdegnano il ricorso a “cause finali” (gli attrattori di René Thom)1 e “formali”, di platonica e aristotelica memoria. Ma il punto è proprio questo.
- Quale?
Il presupposto di fondo di queste teorie è una generale inadeguatezza del meccanicismo a “salvare” il fenomeno del vivente e, forse, più in generale, i fenomeni naturali, come quelli quantistici.
Per comprendere e approfondire significato e valore dell’ipotesi dei campi morfogenetici puoi leggere questo mio breve saggio .
1 Cfr. René Thom, Stabilità strutturale e morfogenesi. Saggio di una teoria generale dei modelli (1972) trad. it. Einaudi, Torino 1980,