Affinché qualcosa vi sia occorre almeno un organismo vivente, il quale presuppone, a sua volta, che vi sia un ambiente.
- Ma che dici? Posso immaginare, senza contraddizione, un universo molto simile a quello in cui ci troviamo, nel quale vi siano solo galassie, stelle, gas, senza forme di vita.
Ne sei certo? Sarebbe un universo senza tempo, in cui niente propriamente sarebbe.
- E perché mai?
Possiamo dire di abitare in un universo che ha una quindicina di miliardi di anni perché tra “noi” e il big bang sussiste questo intervallo (spazio)temporale, sei d’accordo?
- Così ci raccontano coloro che se ne intendono.
Già, ma se non vi fossimo “noi” (che siamo organismi viventi), come fissare il tempo “presente”? Non vi sarebbe alcun presente, dunque nessun passato e nessun futuro. Non vi sarebbe alcunché.
- Oppure tutto sarebbe simultaneo, in una “varietà” a quattro o più dimensioni.
Di cui nessun sarebbe, tuttavia, cosciente. Come potremmo dire che vi è qualcosa? “Agli occhi” di chi? Implicitamente tu immagini un’entità (Dio?) agli occhi della quale tutto sarebbe “simultaneamente presente”, se il termine “simultaneo” deve significare qualcosa. Ciò che “per noi” scorre nel tempo, sarebbe tutto presente in una quarta dimensione dello spazio. D’accordo. Ma, di nuovo, “presente” implica qualcuno o qualcosa rispetto a cui il “presente” si distingua dalle altre distensioni temporali (per usare la terminologia di Agostino d’Ippona).
- Supponiamo che le cose stiano come tu suggerisci. Ma questo che cosa implica?
Gli organismi viventi, nella loro interazione con il loro ambiente, “fissano”, ciascuno per sé, il tempo presente, in cui “precipita” o, se vuoi, “si decanta” (o “si distilla”) l’esserci di ogni cosa. Si tratta di modi di essere molto diversi a seconda che si sia uomini, farfalle, felci o amebe. Ma, senza organismi viventi, niente potrebbe “esserci” (mancherebbe il “ci”, il “qui e ora” in cui esserci).
- Dunque l’esistenza delle cose inanimate sarebbe legata a quella degli organismi viventi?
Direi di sì, nella misura in cui essi recano una forma, per quanto primitiva ed embrionale, di coscienza. Nota che la “coscienza” non è qualcosa di “interno” all’organismo, come a volte ci si rappresenta la sua “anima”, ma qualcosa che scaturisce dall’interazione tra organismo e ambiente. Possiamo rappresentarcela come un’interfaccia piuttosto “superficiale”. Pensa allo “stato di veglia“, nel quale massimamente siamo “coscienti”. Non ci si “risveglia” alla vita quando si sogna e, meno che mai, quando si è in sonno profondo, ma soltanto quando si interagisce con alcunché (apparentemente) fuori di noi. La “coscienza”, dunque, non è più cosa mia che di quello che mi circonda (del mio ambiente), è il modo in cui l’universo stesso, sfiorandomi, prende coscienza di sé. Il mio “corpo” potrebbe venire rapprentato come un’ “antenna” che permette alle “onde spirituali” dell’universo di prendere forma, di riflettersi. In generale, l’universo come ci appare è legato alla nostra coscienza umana, in due modi caratteristici, direi.
- Quali?
In primo luogo la mia coscienza individuale può determinare l’evoluzione del sistema di cui sono parte, decidendo di volta in volta quale tra le diverse biforcazioni quantistiche sopravviverà.
- Ti riferisci al famoso paradosso del “gatto di Schroedinger”, secondo il quale un gatto, in determinate condizioni, potrebbe simultaneamente essere vivo ed essere morto…
… sì, in due stati fisici contraddittori sovrapposti, di cui soltanto l’osservazione di qualcuno determina lo stato che “sopravvive”, facendo “collassare la funzione d’onda” quantistica a cui il gatto è sospeso. Tuttavia, – ecco baluginare il secondo modo in cui lo Spirito potrebbe determinare la “materia” – questo “qualcuno” può bensì determinare, in quanto “coscienza”, lo stato del gatto (o, meno immaginariamente, la polarizzazione o altre proprietà di una particella subatomica e della sua eventuale gemella, cfr. paradosso EPR e, più in generale, le implicazioni della meccanica quantistica), eliminando l’universo parallelo in cui lo stato del gatto (o della particella) è quello contrario, ma (apparentemente) non può cambiare p.e. il gatto in topo, né modificare altre condizioni non soggette a indeterminazione quantistica.
- D’accordo. E con questo?
Ecco la mia ipotesi: potrebbe essere la somma di tutte le coscienze cosmiche (umane e, forse, anche non umane), che possiamo classicamente chiamare Spirito, a determinare l’esistenza stessa dell’universo materiale (la somma delle condizioni al contorno di una determinata esperienza di qualcuno), come sua proiezione. Ecco, questo sarebbe il secondo modo in cui la mia coscienza è legata all’universo.
- Vuoi dire che quello che non può la coscienza singola, lo potrebbe la somma di tutte le coscienze? Determinare la realtà nel suo insieme?
Esattamente. Se ci rifletti, poi, questi due modi di operare della coscienza, rispettivamente come singola e come cosmica, sono analoghi, in un certo senso, ai due modi di agire della massa, come moltiplicatrice di singoli centri di gravità e come determinante universale per i sistemi di riferimento inerziali e non inerziali.
- A che cosa ti riferisci?
Partiamo da quest’ultima proprietà della massa, nella sua distribuzione cosmica. Secondo la teoria della relatività generale, per il cosiddetto principio di Mach, è possibile distinguere tra moti rettilinei uniformi e moti accelerati in funzione della distribuzione della massa dell’universo. Se, ad esempio, le stelle e le galassie non fossero “dove” esse attualmente sono e non si muovessero come ora si muovono, non si potrebbe affatto distinguere, come si distingue ora, sulla Terra, tra un moto rettilineo uniforme e un moto accelerato e, corrispondentemente, tra un sistema di riferimento inerziale e un sistema di riferimento non inerziale. Se, poi, nel cosmo, non vi fosse alcunché di dotato di massa, la distinzione tra i due possibili sistemi di riferimento sarebbe impossibile. Non potrei distinguere se un determinato punto materiale A si allontana di moto naturalmente accelerato “verso destra” da un punto materiale B, in quiete, o se, piuttosto, sia il punto materiale B ad allontanarsi di moto naturalmente accelerato “verso sinistra” dal punto materiale A, concepito in quiete.
- E nelle condizioni attuali, invece, questa distinzione sarebbe possibile?
Certo. L’accelerazione che avverto, quando accelero in auto o quando l’ascensore in cui mi trovo inizia il proprio moto, dipende, secondo la relatività generale (in particolare sulla base delle cosiddette “equazioni di campo”) dalla distribuzione della massa dell’universo, dalle stelle e dalle galassie più lontane, rispetto alle quali quel determinato moto risulta accelerato. Ma la massa – ecco l’altro corno dell’analogia con l’azione della coscienza sulla materia -, questa volta non di stelle e galassie lontane, ma della Terra e, in misura minore, della Luna e del Sole (per quanto riguarda il fenomeno delle maree), influenza anche qualcos’altro, oltre la misura dell’accelerazione (e la corrispondente sensazione): la mia tendenza a cadere dall’alto verso basso per gravità. Dunque la massa esercita due azioni distinte e altrettanto importanti: a) in quanto massa nel mio “intorno” spaziotemporale, come massa gravitazionale, e b) in quanto massa “universale”, come riferimento spaziotemporale “assoluto”.
- Interessante. Ma tutto questo che cosa ha a che fare con il rapporto tra coscienza (umana) e natura?
I due modi caratteristici in cui la massa esercita la sua influenza, rispettivamente come “individuale” e come “universale”, non ti sembrano analoghi ai due modi in cui l’universo potrebbe essere legato alla coscienza, rispettivamente “individuale” e “universale” (Spirito)?
- Sotto quale profilo?
La mia ipotesi è che lo Spirito cosmico, di cui io sono parte, stia alla mia coscienza individuale come la massa globale dell’universo, nella sua distribuzione spaziotemporale, sta ai singoli centri di gravità cosmici. In questa proporzione il primo termine di entrambe le parti dell’analogia avrebbe effetti globali (rispettivamente: a) proiettando fuori di sé (immaginando) l’universo e b) fissando per esso i parametri per definire i sistemi di riferimento inerziali), mentre il secondo termine agirebbe localmente (rispettivamente: a) facendo collassare questa determinata funzione d’onda quantistica e b) esercitando questa determinata azione gravitazionale).
Per approfondire:
- Maturana, H.R., Varela, F.J., 1985, Autopoiesi e cognizione. La realizzazione del vivente, Venezia, Marsilio [Autopoiesis and Cognition. The Realization of the Living, 1980]
- Maturana, H.R., Varela, F.J., 1987, L’albero della conoscenza, Milano, Garzanti [El árbol del conocimiento, 1984]
- Maturana, H.R., Varela, F.J., 1992, Macchine ed esseri viventi, Roma, Astrolabio-Ubaldini Editore, ISBN 9788834010617 [De maquinas y seres vivo, 1972]