Coloro che difendono una prospettiva materialistica o, come spesso si dice oggi, “fisicalistica” (ossia coloro che sostengono che tutto ciò che accade sia riducibile, prima o poi, a spiegazioni come quelle che oggi sono offerte dalla fisica, come scienza della natura) non ignorano che vi sono fenomeni che sembrano sfuggire a spiegazioni di questo genere.
A volte, come dal cappello del prestigiatore, viene tirata fuori la nozione di “emergenza“…
Vi sarebbero proprietà, come quella di “bagnare”, riferita all’acqua, che, non pur non essendo proprie delle molecole d’acqua in quanto tali (una molecola d’acqua non bagna), “emergerebbero” a livello macroscopico a certe condizioni (di volume, di temperatura ecc.). Tali proprietà sarebbero irriducibili a quelle delle strutture di base, ma, in qualche modo, dipenderebbero causalmente da queste ultime (pur senza che si diano necessariamente “leggi” che leghino esplicativamente proprietà emergenti e strutture di base), mentre le strutture di base e il loro funzionamento non subirebbero alcun condizionamento da parte delle proprietà e strutture emergenti (non opererebbe, insomma, alcuna downward causation).
Ad esempio, il fatto che l’acqua, in una certa quantità e a una certa temperatura, possa “bagnare” dipenderebbe dal modo in cui l’acqua è costituita a livello molecolare, ma ciò che accade nell’interazione tra le molecole d’acqua tra loro e con le molecole di altre sostanze sarebbe del tutto indifferente rispetto al fatto che (sopratutto: non sarebbe in alcun modo influenzato dal fatto che), macroscopicamente, accada o non accada qualcosa (p.e. che questa determinata quantità d’acqua bagni o non bagni qualcosa).
Ciò dovrebbe preservare il fisicalismo; in particolare la cosiddetta chiusura causale del mondo fisico.
Ma è proprio così?
Un primo problema è posto dalla negazione della downward causation.
Se si può legittimamente dubitare che certe proprietà emergenti, come quelle dell’acqua, retroagiscano sul livello molecolare dell’acqua, è molto più difficile dubitare di altre “retroazioni”: il fatto che io sia cosciente di qualcosa, supposto che la “coscienza” sia una proprietà emergente da un certo livello di organizzazione neuronale, sembra determinare il comportamento del mio corpo anche dal punto di vista di interazioni microscopiche, come sono quelle elettriche implicate nella trasmissione di segnali dal cervello ai muscoli attraverso il sistema nervoso.
Ma lasciamo pure da parte questo problema, senz’altro meno evidente per quanto riguarda le proprietà emergenti di sostanze inanimate, come l’acqua.
Quello che sfugge, in generale, è che le proprietà emergenti di qualcosa, derivabili o meno che siano da quelle delle strutture di base di questo stesso qualcosa, presuppongono, come ho già suggerito a proposito delle proprietà emergenti dell’acqua, alcunché di straordinario, qualcosa che per una serie di ragioni (tra cui quelle suggerite tra parentesi qui sopra) sembra rompere col fisicalismo: il soggetto percipiente. Niente soggetto percipiente, niente proprietà emergenti.
Controprova. Supponiamo un universo privo di soggetti percipienti. Che cosa potrebbe significare il fatto che l’acqua bagni sotto il profilo strettamente fisico? Assolutamente niente. In assenza di soggetti percipienti non vi sarebbe quel “livello macroscopico” nel quale (nella prospettiva del quale) si dànno proprietà emergenti. Tutto, ivi compresi i fenomeni biologici (che non sarebbero riconosciuti come tali), potrebbe venire descritto nei termini di punti metafisici (all’interno di un sistema cartesiano a quattro o più assi) o, se si preferisce, di particelle subatomiche in interazione reciproca, secondo le leggi fondamentali della natura, senza alcun bisogno di postulare alcunché di “emergente”.
Ciò vale anche nel caso particolare della causalità macroscopica. Con Jerry Fodor possiamo distinguere tra la nozione di “spiegazione causale”, relativa al livello macroscopico (obbediente ai criteri di Hempel, relativi alla costruzione di “leggi di copertura”), restituita da proposizioni come “L’impetuosità dell’acqua del fiume è causa della rottura degli argini del medesimo”, tale da mettere in relazione, come in questo caso, proprietà emergenti, e la nozione di “efficacia causale”, valida soltanto a livello microscopico, che esprimerebbe l’effettiva relazione di causa-effetto fisicamente operante al di sotto della “superficie” macroscopica (nel caso dell’azione del fiume sui suoi argini si tratterebbe dell’insieme delle micro-azioni, descrivibili in termini elettrici, meccanici ecc., compiute da un determinato insieme di particelle, necessarie e sufficienti a determinare quello che macroscopicamente appare come “rottura degli argini”).
Come lo stesso esempio del fiume suggerisce, la “causalità macroscopica” è tale non in se stessa, ma solo per qualcuno che sussuma una determinata successione di eventi sotto una determinata “legge di copertura” geologica/geografica, in funzione esplicativa, mentre si avrebbe “efficacia causale” (sotto il profilo strettamente fisico), se Fodor ha ragione, indipendentemente dal livello dell’osservazione. Dunque, ciò che fa la differenza è che in un caso un osservatore (soggetto percipiente) è presupposto, mentre nell’altro no.
Dunque chi invoca la nozione di proprietà emergenti invoca surrettiziamente (occultamente) qualcosa come una “coscienza” come alcunché di implicato nel fenomeno che pretende di descrivere. Come dire: l’emergentismo è un critpto-idealismo (o, almeno, un cripto-criticismo).
Ma la sorpresa maggiore ci viene dalla nozione di “forza“, comunemente associata a una descrizione puramente fisica del mondo.
Che cosa sarebbero le forze senza qualcuno che le percepisse, ne misurasse l’intensità ecc.? Assolutamente niente.
Infatti, possiamo tranquillamente rappresentarci l’universo “fisico”, secondo l’intuizione di Cartesio, rinverdita della teoria della relatività di Einstein, come un insieme di punti materiali (o di particelle subatomiche, se si preferisce) all’interno di un sistema di assi cartesiani (4 o anche più), al quale possiamo ricondurre anche quello che percepiamo come “tempo“. In questa “prospettiva” l’azione esercitata da un corpo su un altro o, ancora più chiaramente, l’azione a distanza che un grave esercita su un altro sulla base delle leggi che presiedono all’attrazione gravitazionale (o quella tra due cariche elettriche in base alle leggi dell’elettromagnetismo) può essere “ridotta” a un valore derivante dalla soluzione di un’equazione, senza alcun riferimento a ciò che comunemente intendiamo come “forza”. Come aveva già intuito Ernst Mach, in effetti la forza non esprime altro che il prodotto della massa di un corpo per la sua accelerazione. Se quest’ultima è considerata all’interno di un sistema di riferimento a 4 assi (comprendente un asse del tempo), essa si riduce a una semplice curva all’interno del sistema. Ora una curva obbedisce a un’equazione, non subisce l’effetto di forze! La forza si rivela sempre e comunque per quello che è: una forza apparente.
Ma il punto interessante è un altro. La forza (proprio come il tempo che essa presuppone) riappare come tale se consideriamo che noi la percepiamo come tale. Siamo noi quelli per cui appaiono forze.
In estrema sintesi possiamo quindi concludere: l’universo fisico differisce da un universo puramente matematico (geometrico) solo perché qualcuno lo percepisce come tale. Il paradosso del fisicalismo è dunque questo: per essere coerente fino in fondo (per ridurre ogni tipo di spiegazione a una spiegazione di tipo fisico) esso deve dissolversi, perché deve introdurre nella spiegazione che dà dei fenomeni la coscienza, come alcunché di fisicamente irriducibile (se non altro come condizione trans-fenomenica dell’apparire dei fenomeni).
Questo articolo è ripubblicato, con approfondimenti e precisazioni, nella sezione di questo sito dedicata alla TEORIA.