Supponiamo che l’altezza degli oggetti che vedi si dimezzi (che l’altezza dello schermo che hai di fronte si riduca da quaranta a venti centimetri e così tutto il resto). Supponiamo che, simultaneamente, anche la tua altezza si dimezzi e così quella dei tuoi organi di senso e, in generale, quella di tutte le cose (comprese le onde luminose che, provenienti dagli oggetti esterni, colpiscono le tue retine). Non ti accorgeresti di nulla, è vero? Poiché tutte le proporzioni sarebbero conservate, ti sembrerebbe che tutto fosse rimasto uguale.
Supponiamo ora che la riduzione della dimensione dell’altezza sia totale: la dimensione sparisce del tutto e il mondo rimane piatto, a due sole dimensioni, come nel romanzo Flatlandia di Abbott. Se, nonostante questa riduzione totale, le informazioni provenienti dagli oggetti esterni e decodificate dal tuo cervello fossero le stesse (come sarebbe ad ogni singolo stadio della progressiva riduzione, senza soluzione di continuità), ancora non ti accorgeresti di nulla, il mondo continuerebbe ad apparirti a tre dimensioni.
Supponi ora che anche le altre due dimensioni residue dello spazio (lunghezza e larghezza) si contraggano fino a scomparire, ma le informazioni che decodifichi continuino a rimanere le stesse. Ancora non ti accorgeresti di nulla. Saresti un punto coincidente con l’intero universo ma non te ne saresti minimamente accorto. Tutto sarebbe identico.
Ora, la mia tesi non è semplicemente: potrebbe essere proprio così, ciascuno di noi è l’universo stesso, contratto in un punto inesteso, anche se non se ne accorge.
La mia tesi è che è del tutto irrilevante la differenza tra questa ipotesi e l’ipotesi che, invece, le cose siano come appaiono (distese in tre dimensioni). Infatti, manca un sistema di riferimento “terzo” o una prospettiva a partire dalla quale sia possa giudicare quale ipotesi sia corretta. Esistono solo i sistemi di riferimento e le prospettive interne a questo universo.
Che cosa rimarrebbe inalterato? Rimarrebbero inalterate le informazioni.
Si dimostra, cioè, che, mentre lo spazio è apparente (la sua “esistenza” è una questione di prospettiva o di sistemi di riferimento), reali sono soltanto le informazioni e… il tempo (in quanto scandito in presente, passato e futuro, “luoghi” nei quali vicendevolmente l’informazione si manifesta o rimane in “memoria”).
N.B. Resta, naturalmente, da chiedersi che cosa intendere per “informazioni”. Non si può trattare soltanto di sequenze di entità distinte e discrete (come 0 e 1), magari originatesi casualmente e selezionatesi naturalmente per competizione reciproca, e, infine, divenute capaci di una meccanica auto-replicazione, ma di tracce o segni che qualcuno possa decodificare o, meglio, interpretare essendo dotato di coscienza.
Come il segno, lasciato da una preda in fuga, è tale solo per il suo predatore, altrimenti sarebbe soltanto una “[f]orma” lasciata sul terreno, priva di qualsivoglia significato, così anche un’informazione è tale solo se si suppone qualcuno in grado di interpretarla come tale e di conferirle un senso.
Ma questo discorso ci porta lontano…