Ecco una serie di discutibili luoghi comuni (eufemismo, per non dire che si tratta di vere e proprie “leggende metropolitane” che si tramandano perché nessuno ha il coraggio o la competenza per metterle in discussione) nei quali incorrono le ricostruzioni della storia della filosofia – complici anche le Indicazioni ministeriali del MIUR – compiute anche da diversi manuali scolastici in commercio (i cui autori si guardano bene dal correggerli, per tema – si può sospettare – che il proprio prodotto finisca invenduto, dal momento che coloro che dovrebbero adottare tali opere – i docenti di Filosofia – sono tendenzialmente conservatori nelle loro scelte).
- La filosofia è stata un “parto” del “genio ellenico” e un prodotto tipico della cultura “occidentale” (sicuro? ci sono ottimi argomenti, come quelli evocati da Giangiorgio Pasqualotto nel saggio introduttivo a Platone 2.0, per considerare filosofie anche quelle orientali, indiane e cinesi, soprattutto: contro il classico argomento di chi sostiene che la filosofia cosiddetta “orientale” non sarebbe filosofia perché sarebbe “contaminata” da elementi religiosi, si può ricordare, da un lato, che tali elementi hanno “contaminato” anche numerose scuole filosofiche occidentali, pagane e cristiane, da Pitagora a Plotino, da Agostino a Tommaso; dall’altro lato, che in Oriente sono sorte diverse scuole atee o scettiche, p.e. in ambito buddhistico).
- Il primo filosofo che la storia ricordi è Talete di Mileto (sicuro? Talete era uno dei sette sapienti – dunque un sophòs, non un philosophòs –; Aristotele lo cita nella c.d. Metafisica come il primo di coloro – tra i quali colloca, peraltro, anche il poeta Esiodo! – che si occuparono di un certo tipo di filosofia, ma non come il primo filosofo tout court; meno che mai nel senso che noi diamo a questa parola, se per filosofo intendiamo – come, attraverso la selezione degli autori di cui si occupano, testimoniano di intendere anche molti manuali di storia della filosofia, che pure “partono” da Talete – chi compie una ricerca razionale intorno al tutto; il primo filosofo che la storia ricordi, sotto questo profilo, – se non si vuole considerare tale Pitagora, il primo di cui è attestato che si autodefinisse philosophòs, – è Platone, non Talete; in quanto è il primo di cui è documentato un metodo dia-logico, dunque senz’altro razionale, con il quale egli è occupato di tutto, cioè di pressoché ogni ambito delle scibile, a differenza, ad esempio, del suo maestro Socrate; tesi, questa, ampiamente argomentata, tra gli altri, da Livio Rossetti in questo libro del 2015, intitolato eloquentemente La filosofia non nasce con Talete e nemmeno con Socrate).
- La filosofia dei classici greci, in particolare di Platone e Aristotele, era una filosofia “metafisica”, tendenzialmente “dogmatica”, speculativa e astratta, a differenza della filosofia moderna, più concreta, più attenta all’esperienza e legata a doppio filo alla nuova scienza (sicuro? il termine stesso “metafisica” è tardo ed è stato attribuito a “cattedre” di filosofia moderna; la cosiddetta Metafisica di Aristotele, il quale non intendeva certo trascendere l’ambito della “natura” o physis, tratta di “filosofia prima” e di “teologia”; in generale i filosofi antichi si occupavano semplicemente di tutto, a partire dalla loro esperienza personale; la loro preoccupazione non era quella di costruire sistemi astratti, preoccupazione tipicamente moderna, ma quella di rendere ragione della loro esperienza del mondo e, soprattutto, di vivere bene, come ha dimostrato una volta per tutte Pierre Hadot: a questo fine certamente formularono ipotesi relative a ciò che secondo loro soggiaceva ai fenomeni, non diversamente, tuttavia, da quello che fanno gli scienziati oggi; la cosiddetta filosofia moderna, invece, ha originariamente equivocato il senso dell’esperienza scientifica, scambiando mere ipotesi con principi – proprio quello che Platone, nel VI libro della Repubblica, vietava di fare ai “matematici” – e, proprio essa, è caduta negli opposti dogmatismi, questi sì “metafisici”, di razionalismo ed empirismo).
- La filosofia ellenistica ha trascurato le questioni naturali, ontologiche e anche politiche, concentrandosi piuttosto, individualisticamente, sulle questioni etiche, anche perché era venuto meno lo spazio pubblico di discussione tipico delle poleis democratiche dell’età classica (sicuro? gli stoici ad esempio, elaborarono una complessa fisica che non aveva nulla da invidiare a quella dei loro precursori; anche la politica non venne affatto trascurata, basti pensare ai Pensieri di Marco Aurelio e, in generale, alla problematica stoica del “dovere”, il kathékon, il latino “officium” di ciceroniana memoria; l’etica, d’altra parte, era già al centro delle preoccupazioni di Socrate e di Platone, che hanno posto originariamente la questione intorno al bene, ma anche di molti pre-socratici, come Democrito).
- L’ultima “filosofia” pagana è stata il neoplatonismo (sicuro? non è esistito nessun neo-platonismo, come nessun medio-platonismo, tutte invenzioni storiografiche; esistette solo una scuola platonica che si è evoluta, in modo più o meno appariscente, senza soluzione di continuità dall’Accademia antica in poi, così come esistevano una scuola epicurea, una stoica, una scettica, una aristotelica; nel Rinascimento i c.d. filosofi “neoplatonici” come Ficino o Pico consideravano se stessi semplicemente “platonici”; molti temi c.d. “neoplatonici”, del resto, sono già presenti in Platone; vi sono stati certamente sviluppi originali nei diversi autori, ma lo stesso si può dire p.e. di Alessandro di Afrodisia o di San Tommaso nei confronti di Aristotele).
- Il cristianesimo non è una filosofia, ma è una religione, sicché per i filosofi cristiani si pose fin dall’inizio il problema del rapporto tra fede e ragione (sicuro? i primi cristiani intendevano la propria setta come alternativa alle altre sette “filosofiche” – tant’è che fecero chiudere a Giustiniano, nel 529 d. C., l’ultima scuola di filosofia pagana dell’impero, quella d’Atene – e la loro dottrina come una filosofia, nel senso pieno che a questa parola conferivano gli antichi, cioè come stile di vita; Giustino p.e. considerava Cristo nient’altro che lo stesso Lògos o ragione cosmica che si sarebbe incarnato; il problema del rapporto tra fede e ragione si pose in tutta la sua gravità solo tardi, nell’Occidente latino, nel momento in cui si cercò di “riesumare” Aristotele e di integrarlo nella visione del mondo cristiana).
- La scienza della natura, come la conosciamo oggi, basata su ipotesi matematiche, osservazioni e verifiche sperimentali, nacque fondamentalmente nel Seicento con Galileo (sicuro? come dimostra Lucio Russo, la scienza nacque almeno nell’età ellenistica, ma si può ampiamente argomentare che essa sia nata con la stessa filosofia).
- I primi grandi scienziati ruppero con il tradizionale finalismo cosmico introducendo una concezione francamente meccanicistica (sicuro? se annoveriamo tra i primi grandi scienziati p.e. Copernico, Bruno, Gilbert, Newton, Leibniz, si registra un’imponente corrente, che affonda le sue radici nel Rinascimento, ma che continua con autori insospettabili come Denis Diderot ed Ernst Haeckel, che conserva una concezione organicistica, vitalistica e, in ultima analisi, finalistica del cosmo).
- La dialettica hegeliana consiste nell’opporre a una tesi un’antitesi per poi riconciliarle in una sintesi (sicuro? Hegel non solo non si è mai servito di tali termini e di tali distinzioni, ma non ha neppure mai distinto un “metodo dialettico” dal movimento intrinseco della realtà in quanto identica al pensiero: sono le cose stesse, pensate a fondo, a mostrarsi altre da sé, quindi a tornare presso di sé arricchite da nuove determinazioni, ma senza che ciò comporti l’adozione di alcun metodo, meno che mai di quel metodo “triadico” che è stato attribuito a Hegel da Chalybäus; come ben chiarisce questo scritto di Piergiorgio Scilironi).
- Il darwinismo è una teoria scientifica che ha messo in crisi soprattutto il creazionismo di matrice religiosa (sicuro? il darwinismo, inteso come teoria secondo la quale le specie viventi evolvono per selezione naturale casuale degli organismi di volta in volta più adatti al loro ambiente, è un’ipotesi filosofica, più che scientifica, essendo solo debolmente falsificabile; se essa fosse vera, metterebbe in crisi, comunque, prima ancora che convinzioni di carattere religioso, le tradizionali dottrine filosofiche, p.e. platoniche, aristoteliche, stoiche ecc., riprese in parte dai romantici e da Bergson, che ricorrono a cause finali e formali nella spiegazione del cosmo e della vita).
Un luogo comune a parte, di ordine metodologico, può essere considerato il seguente:
Contestualizzare storicamente un pensiero aiuta a intenderlo, sicché conviene sempre far precedere un inquadramento storico all’esposizione di una teoria filosofica (sicuro? per comprendere a fondo un pensiero bisogna semplicemente cercare di ripensarlo in prima persona: contestualizzarlo storicamente può aiutare a comprendere perché un certo pensiero sia potuto sorgere e abbia avuto successo in una certa epoca e in una certa cultura, ma solo dopo, non prima di averlo compreso).
Oltre a questi luoghi comuni da sfatare c’è una questione di fondo sulla quale nelle comuni ricostruzioni della storia della filosofia colpevolmente non ci si sofferma.
Nel mondo antico, nel medioevo e in età moderna si intendeva, rispettivamente, per “filosofia” cose piuttosto diverse.
- Nel mondo antico la filosofia era una pratica, fondata essenzialmente sul dialogo e sul ragionamento orale, che coinvolgeva interamente la vita di chi la esercitava, il quale se ne faceva testimone vivendo il più possibile in coerenza con quanto pensato.
- Nel Medioevo la filosofia era un’attività esclusivamente teoretica, senza rapporto stretto con la vita di chi la praticava. Essa, intesa come ancilla theologiae, veniva esercitata nelle scholae cattedrali e nelle università, in forma orale nelle disputationes, ma veniva anche messa per iscritto in raccolte di quaestiones e in summae.
- Nell’età moderna e contemporanea la filosofia, nel caso migliore, assume la forma della meditazione personale che si traduce in trattati e saggi scritti, anche in questo caso senza che si possa istituire una relazione stretta tra quanto il filosofo argomenta e il modo in cui vive.
D’altra parte la forma antica di filosofia in un certo senso sopravvive in età medioevale e moderna in altre forme e cambiando nome: nelle pratiche ascetiche dei monaci, nelle esperienze di realizzazione spirituale che attingono a tradizioni orientali, in certe pratiche della galassia New Age ecc.
Se questo è vero, siamo certi che, ignorando queste “svolte” semantiche, sia possibile tracciare, “ingenuamente”, una storia della filosofia “lineare”, che non si traduca in una mera storia di ciò a cui di volta in volta si dava semplicemente il “nome” di filosofia? Insomma abbiamo a che fare con la storia di un concetto o con la storia di un nome?
Ma anche in questa ipotesi, le nostre “storie della filosofia” sono all’altezza di questo compito? Non dimentichiamo che nei secoli passati si intendeva per “filosofo” o “filosofo naturale” anche lo scienziato, il letterato, l’alchimista ecc. Anche una “storia di ciò che nei secoli si è chiamata filosofia” dovrebbe apparire più ampia e piuttosto diversa da quella ricostruita dai nostri manuali moderni (dietro i quali si stagliano ancora le ombre – e i pregiudizi – dei primi moderni “storici della filosofia”, da DietrichTiedemann e Hegel…).