I credenti spesso credono di credere in ciò in cui credono, come a “realtà”. “Realtà” è espressione (riferita alla resurrezione di Cristo o alla comunione dei santi ecc.) che spesso risuona sulla bocca di sacerdoti formati sui testi di San Tommaso d’Aquino, il cui “realismo” gnoseologico è troppo noto (ma, forse, frainteso).
Tuttavia, bisognerebbe chiedersi se il tentativo di radicare la propria fede in eventi che si pretendono simili a quelli di cui tratta la storia profana non sia, per le religioni, perdente, anzi suicida.
- Per quale ragione?
La religione si sottometterebbe ai medesimi criteri di validazione (criteri storico-critici) della storia profana. E non sopravviverebbe loro.
- Puoi farmi qualche esempio di eventi “che si pretendono simili a quelli di cui tratta la storia profana” (ma che, evidentemente, secondo te non sarebbero tali)?
Certo. Gesù sarebbe “realmente” risorto col proprio corpo dal sepolcro, sarebbe nato da vergine ecc.
- Su che basi dubiti della storicità di tali eventi?
Gli stessi credenti ormai ammettono che certi segmenti del racconto evangelico debbano o, almeno, possano venire interpretati, simbolicamente, come l’episodio dei magi o l’ascensione di Gesù al cielo. Peccato che alcuni di tali eventi, come ad esempio proprio l’ascensione (Atti, 1, 9-10), siano narrati con lo stesso stile col quale sono scritti altri racconti, come quello della resurrezione, ai quali si assegna, viceversa, pieno valore storico.
- E non potrebbe avere valore storico, allora, anche l’ascensione?
Oggi sappiamo troppo bene che il “cielo” a cui Gesù ascende non ha a che fare con il cielo astronomico. Difficile, dunque, assegnare all’ascensione di Gesù al cielo, con il proprio corpo, tra le nubi, un valore più che simbolico.
Diverso il caso della resurrezione, assai più credibile come evento storico (soprattutto se meditiamo sul mistero della sindone di Torino, quinto vangelo secondo molti), purché riconosciamo nel corpo del Risorto un “corpo spirituale” nel senso inteso da Paolo (1 Corinzi, 15, 44) (non materiale) e sempre che, interpretando i passi di Matteo (28, 11-15) come excusatio non petita (giustificazione non richiesta), non sospettiamo che il corpo materiale di Gesù sia stato trafugato dai discepoli per far credere nella sua resurrezione…
Insomma, se seguiamo le indicazioni, ad esempio, del Magistero della Chiesa (di cui il Catechismo della Chiesa Cattolica è un distillato), dovremmo praticare una strana “gimkana” tra testi da prendere alla lettera e testi da leggere come “simbolici”, sulla base di criteri meramente teologici che, però, spesso fanno a pugni con i criteri di indagine storico-critica.
- E che via dovremmo percorrere, allora?
Quella suggerita da diversi passi dello stesso testo evangelico (soprattutto di Giovanni), che echeggiano altri passi di San Paolo, nei quali Paolo espone la sua cosiddetta teologia della croce…
- Di che si tratta?
Secondo attendibili ricostruzioni storiche, Paolo, seguito in questo dall’autore del Vangelo attribuito a Giovanni, avrebbe spostato l’accento
- dagli insegnamenti etici e apocalittici di Gesù (comprendenti l’annuncio del suo immediato ritorno o “parousìa“), che sarebbero stati al centro della pratica religiosa dei suoi immediati seguaci (cfr. le conclusioni a cui è pervenuto Bart Ehrman, insieme ad altri storici della cosiddetta third quest sul “Gesù storico”, in studi che hanno fatto ritornare in auge, in un certo senso, la prospettiva storico-critica originaria di Reimarus e Schweitzer),
- alla sua morte e resurrezione (il cosiddetto kèrygma), come se al cuore dell’insegnamento di Gesù vi fosse stato soprattutto Se stesso, l’invito alla fede nelle sua morte e resurrezione come Figlio di Dio e salvatore del mondo.
- E questo spostamento d’accento a che cosa conduce?
Conduce a una caratteristica mise en abyme o cortocircuito in cui il cristianesimo tende a risolversi: Gesù ci chiede di credere fondamentalmente in Lui, morto e risorto per noi… ma, tra le cose fondamentali che Gesù ci ha chiesto di credere, c’è proprio questo: che chi crede in Lui sarà salvo. La fede alimenta e fonda circolarmente se stessa. Se credi sarai salvo, ossia si verificherà ciò in cui credi (come nella celebre immagine dello spostamento, per fede, della montagna, cfr. Mt 17,20; Mt 21,21): l’oggetto della fede, dunque, in un certo senso è reso reale della fede stessa. Ci credo perché è vero, ma è vero perché ci credo. Anzi: ci credo perché è (sarà) vero se e solo se ci credo. Credo nel valore del fatto stesso credere.
- Questa mise en abyme non potrebbe venire denunciata dai detrattori della fede cristiana, che potrebbero facilmente riconoscervi un circolo vizioso?
Certo. Ma essa potrebbe anche fare il gioco di una fede, che, abbandonando le secche di un realismo storicamente insostenibile, riconoscesse l’idealismo di cui essa fondamentalmente si nutre.
- Che cosa intendi per “idealismo”?
Intendo il fatto che chi crede crede anche di essere in qualche modo co-autore dell’oggetto della propria fede, in quanto parte fondamentale del mistero che in lui stesso si rivela. In ultima analisi secondo lo stesso cristianesimo la fede ci fa riconoscere come membra del corpo di Cristo, ci “deifica”, come insistono a sottolineare soprattutto gli ortodossi. Essa ci fa vedere le cose in una diversa prospettiva, non nella prospettiva della “realtà storica”, ma piuttosto, per usare un’espressione cara a Henri Corbin, in quella di una dimensione “immaginale”, qualcosa di simile alla shakespeariana “sostanza dei sogni”; soltanto che vi è in gioco non tanto la sfera psichica, bensì la superiore sfera pneumatica (spirituale), che è in qualche modo all’origine della manifestazione tanto della sfera psichica quanto di quella materiale (l’universo fisico).
- Mi sembra una prospettiva inaudita…
Meno di quello che si potrebbe credere. Secondo Empedocle di Agrigento, ad esempio, ciascuno è atteso dopo la morte da quello in cui egli aveva creduto: se crede di essere soltanto un corpo mortale, sarà un corpo mortale (vi si “reincarnerà”), ma se crede (o ricorda) di chi veramente egli è, sarà ben altro… Così anche Plotino ammonisce gli stoici, che non credono alla dimensione spirituale, ma affermano che tutto è “corpo”: essi stessi, preda di un’intelligenza “materiale”, preparano a se stessi il destino che si meritano.
- Ma chi saremmo, dunque, noi?
Immagina, per un attimo, che spazio e tempo siano illusione. Non serve essere mistici hindu, basta seguire la teoria della conoscenza dell’illuminista Immanuel Kant (per il quale spazio e tempo sarebbero semplicemente modi nei quali percepiamo e conosciamo, non “cose in sé”). Che ne è di te? Sei quello che eri e sei quello che sarai. La distanza temporale tra i diversi momenti di cui hai coscienza è cancellata. Ma c’è di più. Sei anche quello che sono io e sei quello che sono tutti gli altri. La distanza spaziale tra una “coscienza” e l’altra è cancellata. Siamo tutti la stessa “anima mundi”.
- Ma io, adesso, non sono affatto cosciente di quello che tu pensi e che tu senti…
Certo, così come probabilmente non ricordi quello che tu stesso pensavi e sentivi dieci anni fa… Ma, se aboliamo ogni intervallo spaziotemporale, potresti “risvegliarti” alla coscienza “cosmica” di questa “eterna presenza”, una coscienza “divina”, come quella che speriamo di conseguire in Cristo (o in Krishna se siamo hindu).
- E come “cancellare spazio e tempo”?
Forse, per cancellare lo spazio e il tempo, cioè la condizione “materiale”, si richiede una purificazione della mente…
- Come conseguirla?
Le diverse religioni suggeriscono pratiche differenti, a partire da una differente rappresentazione di sé (come peccatori, come caduti nella materia, come dimentichi di noi stessi, come preda di autoinganno, ignoranza o presunzione), ma destinate a condurre, forse, al medesimo risultato…
La filosofia suggerisce di esercitare il dialogo maieutico per purificare via via la propria mente dalle incrostazioni prodotte dalle nostre false credenze.
Ma questo è un altro argomento.
Leggi il saggio Idealismo e religione completo e aggiornato.
Per approfondire:
- Henri Corbin, Corpo spirituale e terra celeste. Dall’Iran mazdeo all’Iran sciita (1960), Milano, Adelphi 1996
- Bart Ehrman, Gesù è davvero esistito? Un’inchiesta storica, Milano, Mondadori, 2013