Nel saggio Meditare Plotino il concetto di filosofia come esercizio dell’anima (cui è dedicato specificamente quest’altro scritto) vi viene sperimentato come guida ermeneutica per comprendere le Enneadi di Plotino, il celebre filosofo neoplatonico del III sec. d.C.
Tratto da un seminario tenuto all’Università di Padova, nel “lontano” (ahimé) marzo 1994, Meditare Plotino propone provocatoriamente, non già di “studiare” il (presunto) “pensiero” di Plotino (perduto per sempre), bensì, a partire dalla sollecitazione maieutica proveniente dalle Enneadi di Plotino, di sperimentare ciò di cui Plotino ha (forse) scritto. Questo approccio non sembra aver perduto smalto (cliccare per credere).
Anche se non si condividessero gli esiti di quest’operazione, apparentemente “acosmici” (eleveremmo la nostra anima nella direzione dell’Uno-Tutto che noi stessi saremmo, ma che avremmo “dimenticato” di essere), il suggerimento di vivere la filosofia, piuttosto che limitarsi a ripeterla più o meno stancamente o eruditamente, guadagna ogni giorno di attualità, sia che si parta da Plotino, sia che si prenda le mosse da altre suggestioni (non a caso a Meditare Plotino ha poi fatto seguito un ulteriore approfondimento relativo a un confronto tra la via di Plotino e quella del filosofo vedantin Shankaracarya).
Lo dimostra la domanda crescente di “pratiche filosofiche“, di “meditazione”, di “evoluzione spirituale”, in un mondo sempre più opaco, preda di un meccanismo economico e culturale , nel quale appariamo a noi stessi quasi più solo ingranaggi di una macchina che cammina, in modo sempre più oliato ed efficiente, verso nessun dove.
L’ampia letteratura su Plotino, molta della quale reperibile anche in rete, rende, certamente, spesso il giusto onore a questo autore, ma si limita, per lo più, a trattarlo sotto il profilo storiografico, talora approfondendone singoli, significativi tratti o mettendolo in relazione con le prospettive di altri autori coevi e successivi.
Il presupposto del saggio Meditare Plotino è, invece, quello dell’insufficienza di ogni strategia interpretativa, come sono tipicamente quelle di ordine storiografico, che si limiti a generare letture semplicemente coerenti di un testo filosofico, dal punto di vista formale. Si rivendica la possibilità che la sua esatta comprensione postuli una conoscenza in qualche modo indipendente degli “oggetti” di cui il testo tratta e, corrispondentemente, un grado di “elevazione” intellettuale congruente, pena l’equivocazione del messaggio. L’aporia in cui ci si imbatte, sotto questo profilo, non va risolta con distinzioni semantiche, ma considerata piuttosto la spia della necessità di un’intuizione intellettuale.
Il risultato paradossale di questo incontro con il testo antico è che se noi credevamo di interpretarlo, in verità è il testo che interpreta noi stessi (le nostre ansie e le nostre attese), se noi credevamo di interrogarlo, è piuttosto il testo che interroga noi e ci chiede conto, alla maniera di Socrate, del modo in cui viviamo. [Meditare Plotino, p. 7]