di Giorgio Giacometti
[pubblicato in "Insegnare filosofia", Rivista quadrimestrale di didattica della filosofia, V, 2001, n. 2, pp. 10-14]
La proposta di lavoro che segue nasce da un’esperienza realizzata in classi di triennio di liceo scientifico. Questa esperienza è nata, paradossalmente, proprio dalle perplessità di molti docenti a ricorrere allo strumento informatico-multimediale nell’insegnamento della filosofia. Ciò che, soprattutto, rende diffidenti è il sospetto che un ricorso estemporaneo al computer, per quanto accattivante per molti ragazzi, rischi di creare confusione, mettendo in secondo piano i fondamentali elementi culturali del programma di filosofia e la “disciplina” di studio che tali elementi comportano, a vantaggio esclusivo di un momento “multimediatico” che può finire per essere concepito solo più come “ludico”. Il prodotto di tale momento - viene fatto di pensare - , per quanto apparentemente consistente sul piano dell’“immagine” (si tratti di un CD-ROM su Socrate o di un ipertesto pluridisciplinare corredato da immagini del Settecento inglese tra empirismo, economia politica, teoria dei sentimenti - “brutta copia” del CD di Umberto Eco - ecc.), può finire per concentrare e dissipare le migliori energie degli allievi; ai quali difficilmente in futuro sarà data, invece, l’occasione di misurarsi con i densi nodi culturali (la “sostanza”) dei rispettivi tradizionali programmi di studio.
D’altra parte le sempre più ricche dotazioni multimediali degli istituti e la sempre maggiore frequenza del loro impiego da parte degli allievi richiedono un’adeguata ridislocazione, in rapporto a tali trasformazioni, dell’insegnamento della filosofia, anche solo perché la disciplina non perda di appeal nei confronti dell’“utenza”. Da tale considerazione assai prosaica è nata l’idea dell’esperienza qui proposta: introdurre lo strumento informatico in classe, nelle ore di filosofia, come risorsa “normale”, “acquisita”, dunque anche, in un certo senso, esorcizzata.
Ma la scoperta (non del tutto inattesa) è stata che il computer, grazie a due sue caratteristiche di base, la velocità e la capacità motivante, è riuscito ad avvicinare in qualche misura le classi, in cui l’esperienza è stata realizzata (una terza, una quarta e una quinta), all’ideale del “laboratorio filosofico”, di gentiliana memoria. Questo, almeno, è il giudizio dello scrivente, dei colleghi con i quali l’iniziativa è stata discussa, nonché, a quanto pare, degli stessi allievi chiamati a rispondere a un test sulle metodologie didattiche adottate nell’ambito delle procedure di autovalutazione dell’istituto.
L’idea di documentare e divulgare l’esperienza deriva, poi, dalla considerazione che essa è stata caratterizzata da una strategia didattica di facile esportazione e applicazione. La sola condizione per la sua attuazione, infatti, oltre un minimo di competenza nell’uso del computer da parte del docente e di almeno un terzo degli allievi, è la disponibilità di un’aula multimediale o informatica per ciascuna classe d’insegnamento; o, in alternativa, la disponibilità in classe di uno o due computer dedicati.
L’idea di base è che tutto ciò che avviene nel contesto della classe deve essere (reso) significativo per l’apprendimento e per la formazione, sia che provenga dal docente, sia che provenga dagli allievi, nel rispetto della differenza dei ruoli. Il lavoro deve essere concepito essenzialmente come ricerca comune[1]. A questo scopo la prima condizione è che vi sia memoria di tutto quanto avviene in classe. La seconda condizione è che i momenti di verifica, sia in itinere, sia terminale, non prescindano mai da quanto di volta in volta elaborato, concepito, proposto da allievi o docente, anche in forma provvisoria o, apparentemente, estemporanea. Il dibattito in classe, la ricerca su Internet o la fruizione di un documentario non devono insomma apparire come momenti di evasione, ma devono essere integrati allo studio sistematico dei nodi concettuali che caratterizzano la disciplina. D’altra parte questi ultimi, in filosofia più che forse in qualunque altra forma di sapere, ricevono vita e sostanza solo in quanto rivissuti e rielaborati, come significativi, dal singolo e dal gruppo[2].
Per tradurre in modo concreto queste esigenze di fondo, che troppo spesso nella prassi quotidiana per mille ragioni rimangono lettera morta, si è pensato di costruire un “diario di bordo” a cui tanto gli allievi, quanto il docente potessero riferirsi come alla traccia fondamentale del percorso di ricerca compiuto assieme[3].
Il rischio, infatti, è che in mancanza di un riferimento preciso, che implica anche una certa selezione dei risultati del lavoro svolto, l’allievo, abituato allo studio sistematico e prevalentemente mnemonico di un certo numero di pagine del manuale o dell’antologia, quando è chiamato a riflettere sui risultati di un lavoro comune, sapendo che la sua prestazione sarà oggetto di valutazione, sviluppi legittimamente forme di ansia e di insicurezza. Perché non bisogna dimenticare che, per quanto il ruolo dell’insegnante, nella prospettiva laboratoriale, si accosti sempre più a quella di un tutor, gli spetta pur sempre la funzione della valutazione che, per non introdurre elementi demotivanti, deve essere percepita il più possibile dagli allievi come disinteressata e oggettiva. Di qui, dunque, la necessità che la memoria del lavoro svolto sia per quanto possibile comunemente condivisa, oggettivata, opportunamente delimitata e di facile accesso.
Ora, per costruire in modo “economico” questa traccia di lavoro si è trovato indispensabile il ricorso proprio allo strumento informatico, strumento che, pertanto, ha fatto da pendant al normale svolgimento dell’attività didattica di un intero anno scolastico[4]. Dall’esperienza effettuata si possono ricavare le seguenti indicazioni operative.
Articolato il programma da svolgere in un anno scolastico in un certo numero di percorsi o di moduli, si dividono gli allievi in gruppi di lavoro (in sostanza in un numero di gruppi per classe pari al numero delle postazioni informatiche disponibili in aula multimediale). In ciascuna unità didattica in cui si è diviso il percorso si assegna a ciascun gruppo, a turno, il compito di verbalizzare i risultati del lavoro in classe: non solo, quindi, di prendere i tradizionali appunti, ricavati dall’esposizione del docente (lezione frontale e/o interattiva), ma anche di annotare gli interventi dei compagni apparsi più significativi per l’articolazione del dibattito. Gli altri allievi, a seconda dei rispettivi stili di apprendimento e del livello della classe, potranno prendere appunti in modo più selettivo e personale e seguire e/o partecipare in modo più libero alla discussione in classe.
Nell’ambito delle diverse U.D. il docente prega, inoltre, gli allievi (o i gruppi di allievi) che sono sembrati fornire le risposte più significative ai quesiti assegnati alla riflessione domestica e/o ai lavori di gruppo in classe di annotare in margine ad esse che si tratta di testi destinati a confluire nel “diario di bordo”, insieme con le eventuali relative “glosse” ricavate dalla discussione comune. Analoga consegna è affidata agli allievi e ai gruppi che hanno prodotto le ricerche o le relazioni scritte giudicate più funzionali al proseguimento del percorso (non necessariamente, dunque, le migliori in senso assoluto). è naturalmente opportuno che il docente offra a tutti gli allievi, anche ai meno brillanti, l’occasione di dare il proprio contributo.
Al termine di ciascun percorso o, in caso di percorso lungo, in uno o più momenti intermedi, si effettua, in aula multimediale, la prima rielaborazione multimediale dei risultati del lavoro svolto. Ciascun gruppo riversa su supporto informatico sia i “verbali” che a turno ha steso del lavoro in classe, sia i frutti giudicati significativi ed eventualmente glossati del proprio lavoro (risposte a quesiti, saggi brevi, relazioni, altri tipi di testo, piccoli ipertesti corredati da immagini e quant’altro).
Naturalmente, nel contesto dell’aula multimediale, se si dispone di tempo sufficiente, è possibile anche correggere, integrare, organizzare assieme il materiale in forma ipertestuale o più propriamente multimediale. Spesso, tuttavia, i limiti di tempo e di disponibilità dell’aula suggeriscono una procedura più agile, anche se più direttiva. Copiato su uno o più floppy-disk il “materiale grezzo” prodotto dagli allievi è il docente (seconda rielaborazione multimediale) che lo verifica, corregge, adatta, integra e/o semplifica per renderlo funzionale agli obiettivi del percorso. Egli riconsegna, innanzitutto, a ciascun gruppo il proprio materiale con la traccia delle variazioni da lui apportate e la loro giustificazione, per favorire negli allievi la riflessione metacognitiva sui procedimenti adottati. L’out-put cartaceo della rielaborazione dell’intero percorso da parte del docente, segmento di quello che alla fine dell’anno costituirà il “diario di bordo” della classe, rappresenta, invece, la guida (eventualmente alternativa agli appunti individuali, non però all’approfondimento e/o al ripasso dei testi e degli altri materiali adoperati) per la preparazione di tutti gli allievi in vista della verifica finale, scritta od orale.
La verifica, pur essendo diretta anche al controllo del possesso delle informazioni fondamentali su testi, autori, temi trattati in ciascun percorso, è soprattutto mirata a valutare la capacità dei singoli allievi di riflettere autonomamente sui materiali elaborati, seguendo le linee di discussione, riflessione, interpretazione contenute nel relativo segmento di “diario di bordo”.
Alla fine dell’anno scolastico ciascuna classe disporrà di un fascicolo contenente il risultato tangibile del lavoro svolto, articolato in un certo numero di percorsi o di moduli, descritti nel dettaglio della rispettiva tessitura. Si tratta in ultima analisi di un vero e proprio testo, integrativo del manuale e dell’antologia e rinviante (“linkato”) a tutti i materiali “esterni” utilizzati. Tale testo, disponibile anche in formato elettronico, può essere ricostruito anche in forma di ipertesto e/o arricchito con indici analitici, elenchi di parole chiave ecc. è facile comprendere che in mancanza dello strumento informatico le procedure qui descritte per la costruzione del “diario di bordo”, con quanto di formativo esse possono implicare, si risolverebbero in un’estenuante e improponibile lavoro di ricopiatura e fotocopiatura di materiali, di bricolage di testi ecc.
Testimoniando pubblicamente della individualizzazione del processo di insegnamento/apprendimento, il “diario di bordo” permette sia agli allievi, sia allo stesso docente di “toccare con mano” - ed eventualmente riutilizzare in seguito - gli esiti di un lavoro non affidato solamente alla coscienza e alla memoria individuale. L’effetto anche psicologico di “rassicurazione” prodotto da un documento cartaceo e/o informatico contenente il dettaglio del lavoro di un intero anno scolastico non è da trascurare. Se da un lato, infatti, docenti e allievi sono sempre più spinti a emanciparsi da una concezione “vincolistica” e burocratica del programma ministeriale e a ragionare in termini di competenze e capacità da sviluppare, proprio per questo essi sono sempre più chiamati a documentare, responsabilmente e tangibilmente, difronte all’“utenza” in senso lato (genitori, territorio, enti locali, ma anche gli stessi organismi scolastici nel contesto dell’autonomia), quello che vanno facendo “nell’ora di filosofia”, non foss’altro che per rendere ragione del suo “senso”.
E ciò appare tanto più irrinunciabile per una disciplina, come la filosofia, che difficilmente può fare acriticamente appello alle comode, note e apparentemente univoche “tassonomie” in cui sono organizzati convenzionalmente gli “obiettivi” generali del processo di insegnamento/apprendimento. Tali tassonomie, infatti, si inquadrano in una concezione tecnologica della didattica i cui presupposti la filosofia non può, per statuto, che mettere sempre di nuovo in discussione. Il che ci conduce alla questione della giustificazione epistemologica dell’esperienza descritta.
La proposta di lavoro qui suggerita è stata concepita essenzialmente, come accennato, non tanto per esaltare la possibile portata “concettuale” dell’adozione dello strumento informatico come tale[5], quanto per rendere immediatamente praticabili e operative una serie di suggestioni della letteratura sulla didattica della filosofia che altrimenti, nel concreto del lavoro scolastico, difficilmente riuscirebbero a filtrare o, quantomeno, rischierebbero, soprattutto per limiti di tempo e di organizzazione, di non diventare prassi quotidiana.
A partire dall’idea gentiliana del laboratorio filosofico non è mai mancato, come si sa, chi ha insistito sul concetto che non si debba tanto imparare, a scuola, la filosofia (degli altri), quanto imparare a filosofare, a partire dalla domanda di senso esplicita e più spesso implicita negli allievi[6]. Ora, il rischio di frammentazione e di dispersione che l’adozione di questa sorta di nuovo dialogo maieutico tra docente e allievi comporta - il dialogo autentico si svolge tra due persone e la classe ha una struttura “inerziale” che non si può ignorare - può essere in qualche misura controllato se, attraverso un’efficiente strategia di registrazione e rielaborazione di quanto accade in aula, come quella resa possibile dallo strumento informatico, i risultati dello scambio dialettico che si realizza di volta in volta tra docente e singolo allievo o tra gli allievi nei gruppi sono non solo socializzati, ma anche opportunamente rielaborati in ragione del livello di comprensione complessivo raggiunto dalla classe.
Analogamente la discussione in classe di temi, anche di attualità[7], può diventare un fatto meno episodico e più organico all’interno di un determinato percorso, certo, a) se i temi sono scelti in modo congruo, b) se docente e allievi si presentano all’appuntamento preparati e documentati, ma anche e soprattutto c) se si fa adeguta memoria dell’esito della discussione con i riferimenti puntuali ai materiali utilizzati.
Per altro verso, come è stato suggerito[8], l’adozione dello strumento informatico rende praticabili quei lavori di costruzione di schede lessicali, bibliografiche ecc. che permettono la graduale elaborazione, a livello di gruppo classe, della struttura concettuale della disciplina, e che, viceversa, se svolti con carta e penna, rischierebbero di assorbire una quantità tale di tempo e di energie da rendere l’operazione controproducente e non competitiva rispetto, per esempio, all’intervento integrativo del docente o alla consultazione del tradizionale dizionario filosofico.
Per quanto riguarda, infine, la spinosa questione della didattica del testo filosofico, al di là degli ovvi vantaggi che il ricorso allo strumento multimediale offre per una rapida socializzazione delle migliori “analisi testuali” prodotte dagli allievi, vi sono anche alcuni rischi connessi al ricorso massiccio ai testi che la complessiva strategia qui proposta può contribuire a gestire. Alla luce di quanto brevemente richiamato circa la necessità di imparare a filosofare piuttosto che di imparare la filosofia, si può esigere, infatti, che il ricorso al testo filosofico miri non soltanto a mettere in luce, come pure è necessario[9], ricorrendo ad adeguati strumenti logico-linguistici, ermeneutici[10], culturali, il significato del testo stesso e neppure soltanto a ricostruire a partire da esso il pensiero complessivo dell’autore, ma soprattutto, attraverso il testo come strumento, a trovare possibili risposte alla domanda, per rispondere alla quale lo si era scelto[11]. E ciò tanto più, quanto più, maieuticamente, il testo scritto, nella sua alterità storico-culturale, dovesse suggerirci che la soluzione da noi immaginata al problema che ci siamo posti è insostenibile o che il problema stesso è mal posto. In questa prospettiva, che non è se non quella della celebre critica di Platone alla scrittura[12], è fondamentale richiamarsi sempre alla domanda di sapere da cui il ricorso ai testi e a ogni altro materiale trae originariamente giustificazione, così come essa è registrata nel verbale di classe di turno.
Analogamente, in sede di rielaborazione multimediale, si potrà valorizzare selettivamente la componente, sia concettuale, sia argomentativa, di un testo esaminato che apparirà più funzionale all’approfondimento del problema per cui lo si era introdotto.
Come si vede, quindi, l’adozione dello strumento informatico è qui concepito essenzialmente non tanto per il valore o disvalore didattico della sua “struttura concettuale” (ipertestualità, multimedialità, ludicità, visività, facilità ecc.), ma per la sua prestazione - in termini essenzialmente di velocità e di capacità di motivazione - per la realizzazione di attività strettamente connesse con lo specifico della didattica della filosofia.
Come indica la metafora del “percorso” il genere di lavoro “supportato” dal computer che qui si suggerisce non si discosta significativamente dalla tradizionale procedura di insegnamento/apprendimento di tipo “lineare”. Anche se la tradizionale lezione frontale è in gran parte sostituita dal lavoro autonomo degli allievi, dalla lezione interattiva, dal dibattito ecc., il docente, che ha in mente il suo piano di lavoro, i suoi obiettivi, i suoi stimoli culturali, tende sempre a tirare le fila di un “discorso” che non dimentica i nodi fondamentali dei programmi, si svolge con ritmi precisi, sulla base di scadenze, nel quadro della programmazione di classe e d’istituto.
Da questo punto di vista l’esperienza qui descritta non può che deludere quanti sono convinti che l’introduzione del computer nella didattica debba necessariamente portare a una destrutturazione della “linearità” dei percorsi cognitivi a vantaggio di una logica ipertestuale, reticolare, che corrisponderebbe alla logica propria delle mente[13] e che, a maggior ragione, dovrebbe impegnare l’insegnamento della filosofia. Si tratterebbe, allora, di lavorare costantemente al computer, in rete con gli tutti gli altri membri della classe ed eventualmente con altre classi di altre scuole, non solo per ricostruire percorsi, ma anche per progettarli, senza definire preventivamente la meta e neppure gli obiettivi didattici. Il computer, per usare le categorie della retorica, non servirebbe solo alla dispositio del materiale, ma alla sua stessa inventio. Senza entrare nella discussione di questa prospettiva, peraltro seducente anche se forse bisognosa di una serie di operazioni di disambiguazione epistemologica, ci si può limitare a osservare che l’esperienza qui proposta si segnala, per contro, per la sua immediata praticabilità e applicabilità, anche da parte di chi ha un’impostazione più tradizionale nell’insegnamento della filosofia.
Sotto questo profilo i limiti della proposta possono costituirne anche i vantaggi e le aperture. L’accelerazione del processo di insegnamento/apprendimento consentito dall’uso dello strumento informatico permette di liberare tempi, energie, risorse per gli approfondimenti e le ricerche individuali, per i ri-corsi su quanto già trattato, i feedback, le problematizzazioni, fino, se lo si vuole, alla stessa ricostruzione del percorso in forma reticolare. L’esperienza concreta che si propone all’attenzione può essere infatti anche concepita come una “piattaforma” di base, il grado zero dell’introduzione dell’informatica, in forma però sistematica, nella didattica delle filosofia. L’idea di “diario di bordo” vuole essere insieme rassicurante, in un contesto di trasformazioni di cui talvolta è difficile cogliere il segno, ma anche flessibile e aperta. Tutto quanto la vivacità intellettuale di docenti e allievi, nutrita dal dibattito culturale sull’insegnamento della filosofia, saprà inventare, compresi i più seducenti voli nel multiverso delle rete, può essere ritrascritto all’interno di una traccia che di lineare dovrà almeno conservare l’eco del momento temporale del suo sviluppo.
[1] Cfr. F. Cambi, L’esercizio del pensiero. Insegnare e apprendere filosofia nella scuola secondaria, Roma, Armando 1992, spec. pp. 85-108.
[2] è l’idea della classe come laboratorio, rilanciata da A. Cosentino, Imparare a pensare nel ciclo dell’orientamento, “Comunicazione filosofica”, 1997, n. 2.
[3] L’allineamento di docente e allievi lungo l’itinerario di ricerca è una fondamentale esigenza posta a più ripresa da M. De Pasquale, per es. in Didattica della filosofia. La funzione egoica del filosofare, Bari, Laterza, 1994.
[4] In ciò l’esperienza didattica che qui si rilancia si discosta da quelle nelle quali il ricorso al computer è concepito come un momento speciale, parte di un progetto autonomo, esterno al normale iter didattico, come p.e. quella descritta da W. Maraschini, in Costruzione di prodotti ipertestuali, “Iter”, 1998, n. 1, pp. 112-117.
[5] Il riferimento è, ad esempio, all’idea di iperscuola in A. Calvani, Iperscuola. Tecnologie e futuro dell’educazione, Padova, Muzzio 1994.
[6] Cfr. oltre il contributo già citato di De Pasquale, l’idea di metodo zetetico in F. Bianco, Insegnamento della filosofia: metodo “storico” e metodo “zetetico”, ora in L’insegnamento della filosofia oggi. Prospettive teoriche e questioni didattiche, Fasano, Schena, 1994.
[7] Secondo il modello offerto p.e. da A. Porcarelli, Una disputatio per il licei, “Bollettino della Società Filosofica Italiana”, 1996, 157, pp. 43-59.
[8] Cfr. E. Ruffaldi, Insegnare filosofia, Firenze, La Nuova Italia, 1999 (testo peraltro di riferimento fondamentale per un quadro aggiornato della didattica della filosofia), pp. 207-210.
[9] Si tratta di un obbligo anche “normativo” come ci ricorda uno dei membri della “Commissione Brocca” più impegnati nella ricerca didattica, D. Massaro, p.e. in Storicità e centralità del testo nei nuovi programmi di filosofia, “Paradigmi”, 1992, 29.
[10] Che l’ermeneutica possa assai fecondamente applicarsi all’approccio testuale, ma, a differenza di un’astratta “analisi testuale”, in una prospettiva tale da coinvolgere anche il “vissuto” del discente, lo ha ben documentato M. Marchetto, in Per un approccio ermeneutico agli esercizi di filosofia, “Insegnare filosofia”, 1998, n. 2, pp. 15-20.
[11] Questa osservazione, che non toglie nulla al valore del lavoro sui testi, ma pretende di inquadrarlo nel complessivo “progetto esistenziale e teoretico” di un lavoro filosofico con una classe, va del resto nella direzione delle conclusioni delle più recenti riflessioni sulla didattica della filosofia. Cfr. il documento finale del Convegno “La filosofia nella scuola del domani”, del 25-26 sett. 1997, di cui dà conto “Insegnare filosofia”, 1998, n. 2, pp. 9-11.
[12] Platone, Fedro, 275d-276e.
[13] Cfr. G.O. Longo, Informatica, cultura e apprendimento, “Iter”, 1999, n. 6, pp. 4-9.