&  Agostino, De libero arbitrio, libro II, 1, 1 e 3; libro III, 3, 8 (IV-V sec. d.C.)

 

Evodio ‑ Se è possibile, manifestami la ragione per cui Dio ha concesso all'uomo il libero arbitrio della volontà. Se non l'avesse, non potrebbe peccare.

Agostino ‑ Ma per te è apoditticamente[1] noto che Dio gli ha dato questo potere e pensi che non doveva essergli dato?

Evodio  ‑ Per quanto mi è sembrato di capire dal libro precedente, si ha il libero arbitrio della volontà e soltanto per esso si pecca.

Agostino ‑ Anche io ricordo che questo tema ci si è reso evidente[2]. Ma ora io ti ho chiesto se tu hai conoscenza certa che proprio Dio ci ha dato questo potere che evidentemente si ha e per cui evidentemente si pecca.

Evodio  ‑ Nessun altro, penso. Da lui siamo[3] e tanto che si pecchi o si agisca bene, da lui si hanno pena e premio.

Agostino ‑ Ma anche questo voglio sapere, se ne hai conoscenza certa, oppure se, mosso dall'autorità, lo ammetti per fede opinativamente, senza averne scienza[4].

Evodio  ‑ Ammetto che sull'argomento dapprima mi son rimesso all'autorità[5]. Ma che cosa di più vero che ogni bene è da Dio e che ogni cosa giusta è bene e che è cosa giusta la pena a chi pecca e il premio a chi agisce bene? Ne consegue che da Dio è retribuito con l'infelicità chi pecca, con la felicità chi agisce bene[6].

Agostino ‑ Se l'uomo è un determinato bene e se non potesse agire secondo ragione se non volendolo, ha dovuto avere la libera volontà, senza di cui non poteva agire moralmente. Infatti non perché mediante essa anche si pecca, si deve ritenere che per questo Dio ce l'ha data. La ragione sufficiente per cui doveva esser data è il fatto che senza di essa l'uomo non può vivere moralmente. Si può inoltre comprendere che è stata data per questo scopo anche dal motivo che, se la si userà per peccare, viene punita per ordinamento divino. Ma sarebbe ingiusto se la libera volontà fosse stata data non solo per vivere secondo ragione ma anche per peccare.

Come infatti sarebbe giustamente punita la volontà di chi l'ha usata per un azione per cui è stata data? Quando invece Dìo punisce il peccatore, sembra proprio dire: "Perché non hai usato la libera volontà per il fine cui te l'ho data?"; cioè per agir bene. Se l'uomo fosse privo del libero arbitrio della volontà, come si potrebbe concepire quel bene per cui si pregia la giustizia nel punire i peccati e onorare le buone azioni? Non sarebbe appunto né peccato né atto virtuoso l'azione che non si compie con la volontà. Conseguentemente, se l'uomo non avesse la libera volontà, sarebbero ingiusti pena e premio. Fu necessario dunque che tanto nella pena come nel premio ci fosse la giustizia poiché questo è uno dei beni che provengono da Dio. Fu necessario quindi che Dio desse all'uomo la libera volontà

 

Agostino ‑ Pensa, ti prego, con quanta cecità si dica: "Se Dio ha avuto prescienza di un futuro mio volere, è ineluttabile che io voglia ciò di cui ha avuto prescienza perché non può avvenire se non quello di cui ha avuto prescienza. Se dunque è ineluttabile, si deve ammettere che io lo voglio non per volontà ma per necessità". O singolare stoltezza! Come dunque è possibile che avvenga soltanto l'evento, di cui Dio ha avuto prescienza, se non si dà il volere che egli ha preveduto avvenisse?[7]

Tralascio l'altro pregiudizio, egualmente mostruoso, che, come ho detto, il medesimo tizio potrebbe esprimere così: "E necessario che io voglia così". Egli tenta in effetti di demolire la volontà sostituendole la necessità. Se infatti è necessità che voglia, con che cosa vorrà se non v'è volontà?[8] E se non dicesse così, ma che egli non ha in potere la volontà perché è necessità che voglia, gli si può rispondere col tema che hai esposto, quando ho chiesto se puoi esser felice contro volontà. Hai risposto che saresti già felice se tu ne avessi il potere. Hai detto appunto che lo volevi, ma ancora non potevi. Ed io ho soggiunto che la verità gridava dal tuo intimo. Infatti possiamo dire di non avere il potere soltanto se non è presente in noi l'atto del volere; nell'atto poi che vogliamo, se ci manca la volontà, evidentemente non vogliamo ‑. E se è assurdo che non vogliamo quando vogliamo, è evidentemente presente in chi vuole la volontà ed è in potere soltanto l'atto che è presente in chi vuole. Dunque la nostra volontà non sarebbe volontà se non fosse in nostro potere[9]. Effettivamente perché è in nostro potere, è per noi libera. Non è appunto per noi libero ciò che non abbiamo in nostro potere e non può non esserlo ciò che abbiamo in potere. Conseguentemente noi non possiamo negare che Dio è presciente di tutti i futuri e tuttavia che noi vogliamo ciò che vogliamo. Se egli è presciente di un atto del nostro volere, esso sarà quello di cui è presciente. Sarà dunque un atto del volere perché di un atto del volere è presciente. Tuttavia non sarebbe atto del volere se non fosse in potere. Quindi è presciente anche del potere. Dunque non mi si sottrae il potere a causa della sua prescienza, anzi esso sarà più sicuro perché egli, la cui prescienza non s'inganna, ha avuto prescienza che l'avrò[10].

Evodio  ‑ A questo punto non nego più che necessariamente avvengono tutti gli eventi di cui Dio ha prescienza e che ha prescienza dei nostri peccati in maniera che rimanga libera la nostra volontà e posta in nostro potere.



[1] In modo dimostrato, dunque assolutamente vero.

[2] Nel “libro precedente”, ossia nel primo libro dell’opera di Agostino, è stato argomentato, non diversamente da come argomentava Epicuro contro gli stoici, che si può venire biasimati per azioni malvagie (peccati, nel linguaggio cristiano) solo a partire dal presupposto che si goda del libero arbitrio.

[3] “Da lui siamo”, cioè il nostro essere deriva e dipende interamente da lui.

[4] Si noti, tra parentesi, che qui Agostino distingue tra conoscenza e fede e mette esplicitamente dalla parte della fede l’opinione e l’autorità.

[5] Si intenda delle Scritture e dei Padri.

[6] Ecco un esempio concreto di come un autonomo ragionamento si accorda a quanto ritenuto per fede.

[7] Agostino qui argomenta: la prescienza prevede tutto, non solo l’azione compiuta, ma anche la volontà che liberamente la vorrà. Dunque la prescienza non solo non nega la libertà, ma, in un certo senso, prevedendo che determinate azioni saranno liberamente volute, quasi la esige.

[8] Se opponiamo volontà e necessità e diciamo che la volontà è un prodotto della necessità, diciamo anche, paradossalmente, che è necessario volere, ossia essere liberi.

[9] L’argomentazione di Agostino è essenzialmente la seguente. I casi nei quali non si può ciò che si vuole (per es., essere felici), ossia l’atto della volontà (noi diremmo: l’oggetto, lo scopo) ci è precluso,  ci suggeriscono che,  se invece si potesse, si otterrebbe immediatamente quello che si vuole (altrimenti, se si potesse essere felici, ma non lo si diventasse, questo vorrebbe dire appunto che non lo si voleva). Quindi, mentre non sempre si ha in proprio potere l’atto della volontà (l’oggetto, lo scopo), perché vi possono essere ostacoli alla sua realizzazione, senza dubbio si ha sempre in proprio potere questa volontà stessa, che, in quanto è in nostro potere, dipende solo da noi, ed è libera.

[10] La prescienza, in quanto è prescienza di atti voluti, dunque che sono in nostro potere, dunque liberi, non solo non contraddice alla libertà, ma, si direbbe, la rafforza, perché prevede non solo questi atti stessi, ma anche il fatto che essi siano liberi..