&           da Aristotele, Etica nicomachea, libro VIII, cap. 2, 1155b-1156a

Reciprocità e amicizia

 

Essendo tre, dunque, le cause per cui gli uomini amano [ossia il piacevole, l’utile e il buono], nel caso dell’amore [phìlesis] per cose inanimate non si parla di amicizia [philìa]: non v’è,. infatti, reciprocità d’amore, né possibilità di volere il bene della cosa (sarebbe ridicolo volere il bene del vino, ma semmai lo si vuole conservare, per averlo); invece si dice che si deve volere il bene dell’amico per lui stesso. Tuttavia coloro che vogliono bene in questo modo li chiamiamo semplicemente benevoli se non sorge l’analogo sentimento anche in coloro a cui essi vogliono bene: infatti la benevolenza è amicizia in coloro che vengono contraccambiati. O non si deve forse aggiungere che questo genere di benevolenza [per essere amicizia] non deve rimanere nascosta? Molti, infatti, sono benevoli verso alcuni che non hanno mai visto, ritenendoli onesti e utili. Ora qualcuno di questi ultimi potrebbe provare la medesima benevolenza verso i primi per lo stesso motivo. Tutti costoro, dunque, risulterebbero benevoli gli uni verso gli altri. Ma come si potrebbe dirli amici se i reciproci sentimenti rimangono nascosti? è dunque necessario che [gli amici] siano benevoli gli uni verso gli altri e si vogliano bene, almeno per uno degli argomenti addotti, senza nasconderselo. [Aristotele, Etica nicomachea, libro VIII, cap. 2, 1155b-1156a]