&  Cicerone[1], De Fato (I sec. a. C.) , in Stoicorum veterum fragmenta, II, 974

[.. ] Ma Crisippo, pur non volendo ammettere la necessità assoluta e in pari tempo volendo affermare che nulla può avvenire senza cause precedenti, per sfuggire il necessitarismo e salvare insieme il destino disse che delle cause alcune sono perfette e primarie, altre coadiuvanti e prossime[2]. Ragion per cui, quando noi diciamo che tutte le cose avvengono per destino in base a cause antecedenti, non vogliamo con questo intendere "in base a cause perfette e primarie", ma "in base a cause coadiuvanti o prossime". Perciò a quell'obiezione che ho detto sopra risponde così: "se tutte le cose si verificano per destino, ne consegue che si verificano sempre per via di cause antecedenti, ma non anche per via di cause perfette e primarie; basta che si tratti di cause coadiuvanti e prossime. E se queste non sono in nostro potere, non ne consegue che non siano in nostro potere gli impulsi; mentre ciò conseguirebbe se si trattasse di cause perfette e primarie; allora non solo non sarebbero in nostro potere le cause ma neanche gli impulsi. L'argomento vale perciò contro chi, insieme con il destino, vuole introdurre anche l'assoluta necessità, ma non contro chi pone sì cause antecedenti, ma non dice che debbano essere per forza perfette e primarie". E poiché essi sostengono che l'assenso si dà in base a cause antecedenti, egli ritiene di poter facilmente spiegare di che tipo di causalità si tratti. L'assenso non si può dare se non dopo che sia avvenuto un movimento causato dall'oggetto percepito; ma poiché questo oggetto percepito rappresenta una causa prossima e non primaria, ecco che la cosa rientra in quanto prima si è affermato. Crisippo non afferma che l'assenso possa verificarsi senza sollecitazione dall'esterno (necessariamente l'assenso è causato da qualcosa di percepito), ma ritorna a quel suoi esempi del cilindro e del turbine, che, se non ricevono una spinta, non possono mettersi il moto; pensa che, quando ciò avviene, per il seguito poi il cilindro si gira e il turbine si agita secondo la natura loro propria. “Così come ‑ egli dice ‑ chi ha dato una spinta al cilindro gli ha con ciò impresso l'inizio del movimento, ma non gli ha dato la capacità di volgersi. Così l'oggetto percepito impressiona l'organo dell'assenso e quasi segnerà nell'anima la sua forma, ma dare l'assenso è poi  in nostro potere, così come si può dire del cilindro che, per quanto sia spinto dall'esterno, per il resto si muove per la capacità naturale che ha in sé”[3].

 



[1] Il famoso oratore romano, Marco Tullio Cicerono, riferisce qui le argomentazioni con cui gli stoici, come Crisippo, tentavano di sfuggire alle accuse degli epicurei di introdurre la necessità assoluta, distruggendo, in tal modo, la possibilità di lodare e biasimare le persone.

[2] Crisippo distingue qui tra necessità e destino, intendendo per necessità la costrizione che ci verrebbe dall’esterno, ossia dagli stimoli che colpiscono i nostri sensi, senza lasciarci alcuna autonomia, mentre il destino sarebbe la serie di eventi che, pur non potendo essere diversa da com’è,  tuttavia dipende anche da noi (secondo il motto latino: homo faber fortunae suae, l’uomo è l’artefice del suo destino). Per giustificare questa differenza Crisippo distingue tra cause primarie, che si riferiscono alla “natura” delle cose, e cause coadiuvanti, ovvero gli stimoli occasionali che possono o meno indurre comportamenti a seconda della natura di ciò che toccano.

[3] La tesi di Crisippo, che presuppone la dottrina stoica dell’assenso e del giudizio, in sostanza è la seguente. Quando diciamo che è “destino” che succeda qualcosa, ci riferiamo a un evento dovuto a un evento precedente. Ma in questo caso le cause non sono primarie, ma semplicemente occasionali, o prossime. Dunque la necessità non sarebbe assoluta, ma relativa, appunto, a queste cause. Per esempio: se spingo un  cilindro, causa prossima del suo rotolamento è certamente la spinta. Ma se il cilindro non avesse la sua forma, non potrebbe rotolare. Quindi la causa primaria del rotolamento è la sua forma e non la spinta. Così il turbine: è innescato da qualcosa, ma poi “vive di vita propria”, per la sua natura di turbine. L’uomo, infine, è certamente sollecitato dal percepire qualcosa (che è il destino a mettere sulla sua strada), ma l’assenso o meno che dà a ciò che percepisce (per esempio, il giudizio: “questo è buono”) dipende dalla sua natura (per esempio, dipende a seconda che lui sia saggio o stolto). Quindi, in ultima analisi, ognuno fa (e gli succede) non già qualcosa che non dipende da lui e di cui sarebbe, quindi, innocente, come sarebbe se noi subissimo passivamente gli stimoli esterni, ma quello che “si merita”, a seconda della sua “natura” (o della sua intelligenza), esattamente come, si potrebbe dire, il cilindro “si merita” di rotolare, mentre il cubo no.