! Epicuro, Lettera a Meneceo

1.                In questa celebre lettera il filosofo Epicuro (IV-III sec. a. C, posteriore a Socrate, Platone e Aristotele) suggerisce a tutti la filosofia e l'esercizio dell'intelligenza, ma non propone queste cose tanto come fine a se stesse o dirette al solo scopo di conoscere, come fa Aristotele, quanto.... a che scopo?

1.1.            Epicuro propone la filosofia e l’esercizio dell’intelligenza allo scopo di saper riconoscere le cose che risultano, anche indirettamente, maggiormente utili all’anima allontanando quelle che in realtà sono falsamente piacevoli o temporaneamente piacevoli: questo in realtà potrebbe anche portare a volte a  sacrifici o rinunce. Il fine ultimo, infatti, è quello di vivere un’esistenza bella, giusta, intelligente, felice.

1.2.            Epicuro suggerisce, dunque, la filosofia e l’esercizio dell’intelligenza allo scopo di conoscere le cose che fanno la felicità, perché quando essa c’è abbiamo tutto, altrimenti facciamo di tutto per possederla.  Dunque mentre per i filosofi classici la filosofia è fine a se stessa, in Epicuro essa appare piuttosto un mezzo per conseguire la felicità.

2.                La parte della lettera che tratta degli dèi è concepita anche per distogliere gli uomini dalla paura delle divinità. Come dunque vengono dipinti gli dèi e di che cosa fungono da modello?

2.1.            Gli déi vengono dipinti come materia eterna e felice e fungono da modelli come ideali di felicità. Essi sono il simbolo dell’eternità e della felicità, che sono inscindibili; il dio è, in pratica, il modello del bene assoluto raggiungibile filosofando.

2.2.            Non ha senso avere paura degli dei perché essi si disinteressano delle cose umane.

3.                Qual è il fine a cui è bene tendere, finché viviamo?

3.1.            Il fine primo della vita dev’essere la felicità e la sua ricerca: non bisogna pensare alla durata della vita ma alla sua intensità e al significato che le si dà. Il piacere, inoltre, non consiste nel passare momenti allegri ma avere un’anima serena.

3.2.            Il fine a cui è bene tendere finché viviamo, dunque, è quello di godere a pieno della vita mortale, senza l’inganno del tempo infinito che è indotto dal desiderio della immortalità, ma tenendo come presupposto che la morte non significa nulla per noi.

4.                Come si deve perseguire la felicità, ricorrendo a quali mezzi, esercitando quali virtù, prestando attenzione a che cosa?

4.1.            La felicità va perseguita esercitando la propria intelligenza, esaminando le cause e le conseguenze delle proprie scelte e dei propri rifiuti; facendo però attenzione ai propri desideri, allontanando i dispiaceri dell’anima. La filosofia  e la conoscenza sono indispensabili per acquisire la felicità. Non bisogna accontentarsi del poco né desiderare troppo, ma saper godere di ciò che si ha.

4.2.            Per perseguire la felicità bisogna possedere una ferma conoscenza dei desideri naturali e necessari che portino al piacere, che è il mezzo per la felicità; inoltre bisogna essere indipendenti dai bisogni in quanto bisogna godere del poco se non si ha molto. Saper vivere di poco porta salute e libera dall’apprensione e dall’ansia verso i bisogni della vita , ed inoltre fa apprezzare meglio gli intervalli ricchi della vita e rende indifferenti verso gli scherzi della sorte.

5.                La concezione della morte esposta in questo celebre testo dal filosofo ellenistico Epicuro è compatibile con quella espressa da Socrate nell’Apologia? Perché non dovremmo temere neppure la morte?

5.1.            Il concetto della morte di Socrate è legato alla saggezza dell’uomo: se, infatti, un individuo ha paura della morte, per quanto sia convinto di essere sapiente, non lo è perché ha paura di qualcosa che non conosce.

5.2.            Epicuro, invece, discute dell’esistenza o meno di un individuo: non bisogna temere la morte perché non siamo appartenenti l’uno all’altra: quanto ci siamo noi non c’è la morte e viceversa. Non dovremmo temere la morte perché si deve essere abituati a pensare che la morte non costituisce nulla per noi, godendo della mortalità della vita, dal momento che il godere e il soffrire sono entrambi nel sentire, e la morte non è altro che la sua assenza.

6.                Perché Epicuro, a tuo parere, polemizza contro coloro che, come certi filosofi delle origini, detti fisici o pre-socratici (VII-VI sec. a. C.) o come i cosiddetti "stoici", a lui contemporanei, credono nel destino inesorabile (chiamato a volte "necessità")?

6.1.            Epicuro critica i fisici presocratici e gli stoici in quanto pensa che il destino inesorabile o necessità sia irresponsabile e sostiene che il nostro arbitrro sia libero, perché altrimenti nessuno potrebbe meritarsi biasimo o lode.

7.                Secondo il tuo parere la "ricetta per la vita" di Epicuro è più simile a quella dei sofisti o a quella di Socrate? Argomenta la tua risposta.

7.1.            La filosofia di Epicuro si avvicina a quella dei sofisti: infatti sia Epicuro che i sofisti ricercano il piacere soggettivo, per mezzo dell’utile. D’altra parte la filosofia di Epicuro si accosta anche a quella di Socrate perché, sulla base della sua fisica atomistica, Epicuro crede che tutti gli uomini si procurino il massimo piacere (che per Epicuro coincide col bene) nello stesso modo (vs. relativismo).