Platone, Lachete, 184b?199e
[(178a) Nìcia e Lachéte, due anziani [...] generali, sono interpellati da Lisìmaco e Melèsia, preoccupati dell'educazione da dare ai figli, sulla validità dell'esercizio militare. Nicia ne sostiene l'opportunità, Lachete dubita che sia sufficiente a formare uomini di valore. Socrate, chiamato a dare il suo giudizio sulla questione, porta la discussione sul coraggio]
(184d) So.: Che vuoi dire, Lisimaco? Che intendi accettare l'opinione che avrà
il maggior numero dei nostri consensi? Li.: E che altro si potrebbe fare, Socrate?
So.: Anche tu farai lo stesso, Melesia? Se dovessi decidere a che tipo di esercizi
addestrare (e) tuo figlio, ti rimetteresti alla maggioranza di noi, o a chi
fosse stato educato e addestrato da un buon maestro? ME.: A quest'ultimo, naturalmente,
Socrate. So.: Avresti più fiducia in lui che in noi quattro messi insieme?
ME.: Probabilmente sì, Socrate. So.: Anche secondo me, in effetti, il
valore di un giudizio dipende dalla scienza e non dal numero delle opinioni.
ME.: E come no?
(190d) So.: Allora, Lachete, cominciamo a dire cos'è il coraggio; dopo,
potremo indagare (e) come darlo ai giovani, per quanto possibile, attraverso
l'esercizio e lo studio. Prova dunque a dire cos'è il coraggio. LA.:
Per Zeus, Socrate, non è difficile dirlo. Chi, in battaglia, resta al
suo posto, combatte contro i nemicì e non fugge, questo è un uomo
di coraggio. So.: Dici bene, Lachete, ma forse è colpa mia, che non mi
sono spiegato chiaramente, se hai risposto non a ciò che pensavo, ma
ad altro. LA.: Che vuoi dire, Socrate? So.: Te lo spiegherò, se riesco.
(19la) Certo l'uomo che dici, che resta al suo posto e combatte i nemici, ha
del coraggio. LA.: Almeno credo. So.: Lo credo anch'io. Ma quello che, invece,
non resta al proprio posto, ma combatte il nemico indietreggiando? LA.: Come
sarebbe, indietreggiando? So.: Come fanno gli Sciti, per esempio. [...] (c)
Ma sono io che non ti ho posto bene la domanda. Io volevo chiederti cos'è
il coraggio non solo dei fanti, ma anche dei cavalieri (d) e di ogni tipo di
combattenti, e non solo di chi fa la guerra, ma anche di chi affronta ì
pericoli del mare e le malattie e la povertà e gli eventi politici,,
e di chi non solo resiste al dolore e alla paura, ma sa combattere le passioni
e i piacerì, sia stando al proprio posto, sia volgendo in fuga. Perché,
o Lachete, ci sono anche degli uomini dì coraggio in queste cose. (e)
LA.: E anche molto, Socrate. So.: Dunque, tutti questi hanno coraggio, ma alcuni
lo mostrano contro i piaceri, altri contro i dolori, altri contro le passioni,
altri contro la paura; così come altri, nelle medesime circostanze, mostrano
viltà. LA.: Certo. SO.: Io volevo sapere appunto cosa sono il coraggio
e la viltà. Prova dunque di nuovo, e dimmi cos'è il coraggio,
cioè quel che c'è di identico in tutte queste circostanze.
(192b) LA.: Dunque, se vogliamo dire quale è la sua natura in generale,
in tutte queste circostanze, mi pare (e) che sia una certa forza dell'anima.
So.: Dobbiamo, se vogliamo rispondere alla nostra domanda. Tuttavia, credo che
per te non ogni forza d'animo sia coraggio; e ciò perché credo
tu annoveri il coraggio tra le cose più belle. LA.: Su questo non aver
dubbi. So.: Ma la forza non è bella e buona quando è accompagnata
dal senno? LA.: Certo. So.: E quando è accompagnata da dissennatezza?
Non è allora cattiva e dannosa? (d) LA.: Sì. So.: Non potrai dunque
chiamare coraggio questa forza, visto che non è bella. LA.: Hai ragione.
So.: In base a quanto hai detto, allora, il coraggio è una forza retta
dall'intelligenza. LA.: Così pare.
So.: Vediamo dunque nei confronti di che cosa deve esercitarsi l'intelligenza.
(e) Per esempio, uno che avesse la forza d'animo di spendere oculatamente, in
vista di un maggior profitto, lo diresti coraggioso? LA.: Io no, per Zeus. So.:
E un medico, che di fronte al malato che chiedesse da bere e da mangiare, resistesse
con forza d'animo alle richieste? (193a) LA.: Il suo non sarebbe in nessun modo
coraggio. So.: E in guerra, uno che, calcolando che stanno per venirgli in aiuto,
si limitasse a combattere contro un gruppo meno numeroso e più debole
del suo, e da una posizione più vantaggiosa, tu lo diresti più
coraggioso di un altro che resistesse con tutte le forze tra le schiere nemiche?
LA.: Mi sembra più coraggioso quest'ultimo, che combatte nel campo avversario.
(b) So.: E il cavaliere che combatte conoscendo l'arte ippica, lo dirai meno
coraggioso di quello che combatte senza possederla? LA.: Certo. So.: E lo stesso
dirai del fromboliere, dell'arcíere e di ogni altro che possieda una
tecnica? LA.: Esatto. (e) 1 So.: E così di tutti quelli che mostrano
energia nel compiere certe azioni, pur non essendo degli esperti? LA.: lo la
penso cosi. [...] So.: Ma poco fa non eravamo d'accordo (d) che il coraggio
e la forza non retti dal senno sono brutti e dannosi? LA.: Sì? So.: E
anche che il coraggio fosse bello. LA.: Anche. So.: Ma ora, al contrario, affermiamo
che è brutto, dato che lo poniamo nella forza senza intelligenza. LA.:
Sembra di sì. So.: E ti pare che abbiamo ragionato bene? LA.: Per Zeus,
Socrate, mi pare proprio di no.
(194c) Ni.: Ma Socrate, voi non riuscite a definire il coraggio perché
non utilizzate un'idea che ti ho sentito esporre bene altre volte. So.: E quale,
Nicia? Ni.: Ti ho sentito più volte dire che ciascuno (d) di noi è
buono nelle cose che sa, e cattivo in quelle che non sa7. So.: Per Zeus, è
vero, Nicia. Ni.: Allora, se chi ha coraggio è buono, è chiaro
che possiede la scienza del coraggio. So.: Hai sentito, Lachete? LA.: Sì,
ma non capisco bene cosa intende. So.: Io credo di capire e mi pare che intenda
che il coraggio è una certa forma di scienza. LA.: Quale scienza, Socrate?
So.: Ma non è lui che vuoi interrogare? (e) LA.: Sì. So.: Allora,
Nicia, digli che forma di scienza intendi che sia il coraggio... Ni.: Questa,
Lachete: la scienza di ciò che si deve temere e di ciò che si
deve osare, sia in guerra che in tutte le altre circostanze. (195a) [...] LA.:
Ma questo è assurdo, Socrate! So.: In che senso, Lachete? LA.: In che
senso? Ma la scienza non c'entra nulla col coraggio. (b) Nelle malattie, ad
esempio, non sono i medici a sapere quel che c'è da temere? O ti sembra
che siano i coraggiosi? O chiami coraggiosi i medici? Ni.: Certo che no. [...]
(e) I medici sanno solo distinguere il sano dal malato; ma se per uno sia più
da temere la malattia o la salute, questo non lo sanno... [...] (d) So.: Capisci
ciò che vuol dire, Lachete? LA.: Io capisco che chiama coraggiosi gli
indovini. Chi altri infatti saprà se è preferibile vivere o morire?
[...]
(196d) So.: Vediamo, Nicia: tu affermi che il coraggio è la scienza di
ciò che si deve temere e di ciò che si deve osare? Ni.: Lo affermo.
So.: E che non è da tutti conoscerla, se né il medico né
l'indovino potranno conoscerla né essere coraggiosi, a meno che non aggiungano
al loro sapere questa scienza. Questo volevi dire? Ni.: Questo, sì. So.:
Allora è come dice il proverbio: non ogni scrofa può saperlo ed
esser coraggiosa. [...] (197a) LA.: Bene, per gli dèi, Socrate. Di' la
verità, Nicia: le fiere, che riconosciamo coraggiose, sono più
sapienti di noi, oppure osi, contro tutti, negare che abbiano coraggio? Ni.:
Ma, Lachete, io non dico coraggiosi né le fiere né alcun altro
essere che non tema ciò che va temuto per ignoranza; piuttosto, li chiamo
temerari o pazzi... [...]
(199b) So.: Bene, Nicia... Ma non sei d'accordo che le cose da temere sono i
mali futuri e quelle da non temere i beni futuri? Ni.: Sì. So.: Ma la
scienza che ha per oggetto le stesse cose è la stessa, siano esse future
o di ogni altro tempo. Ni.: È così. So.: Allora, il coraggio non
è solo la scienza di ciò che si deve temere e non temere, perché
non conosce solo i beni e i mali futuri, ma anche quelli passati, presenti e
di ogni tempo, come le altre scienze. (c) Ni.: Così pare. [...] (e) So.:
Dunque, Nicia, il coraggio di cui parli non sarebbe una parte della virtù,
ma la virtù tutta intera9. Ni.: Sembra di sì. So.: Noi però
dicevamo che il coraggio è una parte della virtù. Ni.: E' vero.
So.: Allora, Nicia, non siamo riusciti a individuare che cosa sia il coraggio.
Ni.: Evidentemente no. LA.: E io che credevo che l'avresti scoperto, Nicìa,
visto il tuo disprezzo per le risposte che io davo a Socrate. (200a) Ni.: Son
contento che tu non dia peso alla figura che hai fatto, di non sapere nulla
sul coraggio, ma lo dia al fatto che io mi trovi nella stessa situazione...
(e) LA.: lo invece consiglierò a Lisimaco e a Melesia di lasciarci perdere
entrambi e di rivolgersi a Socrate per l'educazione dei figli.