&  da Platone, Liside, 211a1-213d5

 

Amicizia e reciprocità

 

a)      «Rispondimi, Menesseno, a quello che ti chiederò. Fin da ragazzo mi succede di desiderare il possesso di qualcosa, come altri desiderano il possesso di qualcos’altro. Chi, infatti, desidera possedere cavalli, chi cani, chi oro, chi onori. Per parte mia provo indifferenza verso queste cose, mentre sono assolutamente desideroso del possesso di amici e vorrei avere un buon amico piuttosto che la migliore quaglia o il miglior gallo del mondo e, sì, per Zeus, lo preferirei a un cavallo e a un cane (e penso, per il cane!, che piuttosto che possedere l’oro di Dario, anzi, piuttosto che lo stesso Dario, preferirei di gran lunga un compagno) tanto io sono uno a cui sono cari i compagni.

b)     Vedendo voi, dunque, te e Liside, sono colpito e mi congratulo con voi due che, pur essendo tanto giovani, siete stati in grado di procurarvi presto e facilmente questo possesso: tu hai trovato in costui, presto e bene, un tale amico e costui, a sua volta, ha trovato te; mentre io sono così lontano da questo possesso, che non so neppure in quale modo mai uno divenga amico di un altro. Ma questo voglio che lo dica tu, che ne sei esperto.

c)     E dimmi: nel caso che uno provi amicizia per un altro chi dei due diviene amico di chi, chi prova amicizia per colui per il quale la prova o viceversa? O non c’è alcuna differenza?».

d)     «Mi pare che non ci sia alcuna differenza» disse. «Che intendi dire?» domandai. «Ciascuno dei due, dunque, diviene amico dell’altro, nel caso in cui uno solo provi amicizia per l’altro?». «Mi sembra di sì» disse.

e)      «Davvero? Non è forse possibile, provando amicizia, non essere ricambiati da colui per cui la si prova?». «è possibile». «Ebbene? Non è forse possibile, provando amicizia, venire odiati? Sembra che talvolta gli innamorati subiscano un trattamento del genere dai loro amasii. Pur provando la più grande amicizia, infatti, gli uni pensano di non essere ricambiati, gli altri perfino di essere odiati. O non ti sembra vero questo?». «Senz’altro vero «disse.

f)      «Dunque in una simile circostanza» chiesi io «l’uno prova amicizia, mentre per l’altro la si prova?». «Sì». «Chi dei due, allora, è amico di chi? Chi prova amicizia di colui per cui la prova, sia che venga ricambiato, sia che venga odiato, o viceversa? O nessuno dei due, in una circostanza simile, è amico dell’altro, nel caso in cui non tutti e due provino amicizia l’uno per l’altro?». «Sembra che le cose stiano appunto così». «Mi sembra quindi ora che le cose stiano diversamente rispetto a quel che sembrava prima. Allora pareva, infatti, che se uno solo provava amicizia, entrambi fossero amici; ora, invece, risulta che, se entrambi non provano amicizia l’uno per l’altro, nessuno dei due sia amico». «Ho paura di sì» disse. «Non è, quindi, amico di qualcosa di amichevole alcunché che non ricambi l’amicizia». «Pare di no».

g)     «Neppure, pertanto, sono amici dei cavalli coloro la cui amicizia non sia ricambiata dai cavalli, né vi sono amici delle quaglie, dei cani, del vino, della ginnastica, della saggezza, se, per esempio, la saggezza non li ricambia. Oppure ciascuno prova amicizia per queste cose, senza, però, che queste gli siano amiche e s’inganna il poeta che dice “beato colui a cui sono amici i fanciulli, i cavalli dall'unica unghia, i cani da caccia e l’ospite straniero”?». «Non mi sembra proprio» fece lui. «Ti sembra che dica piuttosto una cosa vera?». «Sì». «Perciò colui per il quale uno prova amicizia è amico di colui che la prova, Menesseno, come appare, sia che provi a sua volta amicizia, sia che addirittura odi. Allo stesso modo anche i bambini da poco nati, gli uni non provano amicizia, gli altri addirittura odiano, tutte le volte che sono puniti dalla madre o dal padre, e tuttavia, pur odiandoli, nello stesso momento sono, tra le tutte le cose, le più care per i loro genitori». «Mi pare che le cose stiano proprio in questi termini» disse. «Dunque, in base a questo ragionamento, non chi prova amicizia è amico, ma colui per il quale la si prova».  «Sembra».

h)     «Allora sarà nemico chi è odiato, non chi odia». «Pare». «Dunque, se è amico non chi prova amicizia, ma colui per il quale la si prova, a provare amicizia per molti sono i nemici, molti sono odiati dagli amici, e sono amici dei nemici e nemici degli amici. Eppure è una grande incongruenza, caro amico, anzi penso che sia perfino impossibile essere nemico dell’amico e amico del nemico». «Pare che tu dica il vero, Socrate»  riconobbe. «Se, dunque, questo è impossibile, ciò che prova amicizia sarà amico di ciò per cui la prova». «Sembra». «Ciò che odia, a sua volta, sarà nemico di ciò che viene odiato». «è necessario». «Succederà, dunque, che sia necessario accordarci sulle cose che abbiamo detto prima, cioè che spesso si è amici di chi non ci è amico, spesso addirittura di un nemico, nel caso che si provi amicizia per una cosa che non la prova per noi o che addirittura ci odi; spesso si è nemici di chi non ci è nemico, addirittura di un amico, nel caso che si odi una cosa che non ci odia o che addirittura prova amicizia per noi». «Ho paura di sì»  disse.

i)       «A che cosa mai faremo ricorso, allora, se non saranno amici né coloro che provano amicizia, né coloro per i quali la si prova, né coloro che si trovano in entrambe queste condizioni? Ma oltre a questi diremo che sono altri ancora coloro che divengono amici gli uni degli altri?». «No, per Zeus, Socrate «disse «non trovo alcuna via d’uscita». «Forse che, Menesseno» feci io «non ricercavamo affatto correttamente?». «Mi pare proprio di no, Socrate» disse Liside e, dette queste cose, subito arrossì. Mi pareva, infatti, che quanto aveva detto gli fosse sfuggito involontariamente, dal momento che prestava la massima attenzione a quanto si diceva ed era evidente che si era comportato così anche mentre ascoltava.