&            Platone, Teeteto, 171c-176a

L’ozio filosofico

 

a.        Teodoro: - Non abbiamo tempo libero [scholé], Socrate? Socrate: - Sembra di sì. Spesso, amico mio, […] a quanto pare, coloro che dedicano molto tempo alla filosofia, quando vanno nei tribunali, come oratori appaiono ridicoli. Teodoro: - Che cosa intendi dire? Socrate: - Ho paura che coloro che fin da giovani si aggirano per i tribunali o in luoghi del genere, a paragone di coloro che sono stati allevati nella filosofia o in attività simili, sono stati allevati come servi, a paragone di uomini liberi.

b.       Teodoro: - In che senso? Socrate: - Perché gli uni [i filosofi], come tu dici, hanno sempre tempo libero [scholé] e compongono in pace e in ozio [scholé] i loro discorsi; e come noi cambiamo, ora, discorso, per la terza volta, così fanno anche loro, purché, come a noi, un discorso nuovo li attragga più del presente. E non si dànno pena di fare discorsi lunghi o brevi, purché soltanto possano conseguire la verità. Gli altri, invece, parlano sempre in continua agitazione, incalzati dall’acqua della clessidra, né è loro permesso di comporre discorsi su ciò che desiderano, ma l’avversario, costringendoli e recitando l’atto di accusa, sta loro innanzi - e questi sono termini fuori di cui non si può parlare. […]

c.        Socrate: - [I filosofi], fin da giovani, ignorano la via che porta alla piazza, e dove sia il tribunale, o il consiglio, o altra sede pubblica della città; non vedono e non odono le leggi e le deliberazioni, sia pronunciate che messe per iscritto; congiure per prendere il potere, convegni, cenacoli e conviti in compagnia di flautiste, non viene loro in mente nemmeno in sogno di farli; se uno in città sia di nobili o di umili natali, o se qualche traccia di mancanza di nobilita gli sia derivata dal ramo paterno piuttosto che da quello materno della famiglia, tutto ciò gli sfugge più di quanto non gli sfugga il calcolo delle gocce del mare. E, tutte queste cose, neppure sa di non saperle […].

d.       Teodoro: - Che cosa intendi dire, Socrate, con questo? Socrate: - Ciò che si dice di Talete, Teodoro, che, mentre interpretava i moti regolari delle stelle e guardava al cielo, cadde in un pozzo; e una servetta tracia, arguta e graziosa, lo prese in giro dicendogli che, mentre si sforzava di conoscere le cose del cielo, gli sfuggivano quelle che aveva davanti a sé e ai propri piedi. Lo stesso scherzo si adatta a tutti coloro che si dedicano alla filosofia. Infatti al filosofo sfugge di chi gli è vicino, o del dirimpettaio, non solo che cosa faccia, ma quasi se sia un uomo o un’altra bestia; ma che cosa sia mai l’uomo e che cosa, in base alla sua natura, gli si addica fare o patire, a differenza di tutte le altre cose, questo egli indaga e fa continui sforzi in questo senso. Comprendi, ora, Teodoro? Teodoro: - Sì, dici il vero.

e.        Socrate: - Ebbene, carissimo, se un tale [filosofo], in privato o in pubblico, […], in tribunale o altrove, è costretto a discutere delle cose che ha davanti ai piedi o agli occhi, suscita il riso non solo delle servette tracie, ma anche di tutta la gente, cadendo, per inesperienza, in pozzi e in ogni sorta di vicoli ciechi; e la sua goffaggine è tremenda, procurandogli fama di stoltezza. E, insultato, non sa nulla di adatto a contraccambiare l’insulto, perché, non essendosene mai dato pensiero, non conosce nulla di cattivo riguardo a nessuno; e nel suo imbarazzo appare ridicolo. E, se altri sono lodati e magnificati e lui si mette, visibilmente, a ridere, non per supponenza, ma sinceramente, sembra che sia uno sbruffone. Se, per esempio, un tiranno o un re viene lodato come un  pastore, egli crede di sentirlo lodare come un vero pastore di porci, di capre o di buoi, da cui egli possa mungere molto latte […]. Ebbene, un tale uomo è deriso dai più, sia perché, come pare, manifesta troppa presunzione, sia perché ignora le cose che ha tra i piedi e si trova continuamente in difficoltà. Teodoro: - Le cose accadono proprio in questi termini, Socrate.

f.         Socrate: - Ma se egli, carissimo, solleva qualcuno in alto e questi accetta di seguirlo al di là della questione “Che ingiustizia ho commesso nei tuoi confronti e tu nei miei?”, per indagare la giustizia in se stessa e l’ingiustizia, e che cosa sia ciascuna delle due e in che cosa differiscano da tutte le altre cose o tra loro; o [lo conduca] al di là di questioni come “è felice il re?” oppure “è felice chi possiede dell’oro?”, per indagare intorno alla regalità, alla felicità e all’infelicità dell’uomo […], ebbene se intorno a tutte queste questioni dovesse rendere ragione colui che è pusillanime, cavilloso, adatto ai tribunali, egli pagherebbe [al filosofo] il pegno: sospeso in alto, guardando verso dall’alto il basso, preda delle vertigini per mancanza di abitudine, pieno di difficoltà, balbettante, susciterebbe il riso non di servette tracie o d’altri privi di educazione, che non si accorgono di nulla, ma di tutti coloro che sono stati allevati in modo non servile.

g.       Questo, Teodoro, in verità è il costume dell’uno e dell’altro: l’uno, che chiami filosofo, allevato nella vera libertà e nell’ozio [scholé], sembra un inetto e un buono a nulla se gli sono affidati compiti servili […]; l’altro, invece, che è in grado di adempiere con precisione e velocità questi servizi, non sa “gettarsi sulla spalla destra il mantello”, come si dice degli uomini liberi, né, afferrando correttamente l’armonia delle parole, celebrare, inneggiando, la vera vita degli dei e degli uomini felici.