&  Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, I q. 82, a. 4 (XIII sec. d.C.)

 

Sembra che la volontà non muova l'intelletto[1]. Infatti

 

1. Chi muove è superiore e anteriore al soggetto mosso: perché il motore è agente, e l’''agente è più nobile del paziente", come dicono S. Agostino e Aristotele[2]. Ma abbiamo visto che l'intelletto è prima ed è più nobile della volontà[3]. Dunque la volontà non muove l'intelletto.

 

2. Chi muove non è mosso dal soggetto mobile, se non in via accidentale. Ora, l'intelletto muove la volontà: perché l'appetibile, che è oggetto dell'intelligenza, è un motore non mosso, mentre l'appetito è un motore mosso. Perciò l'intelletto non è mosso dalla volontà[4].

 

3. Noi non possiamo volere cosa alcuna, se essa non è conosciuta. Se quindi la volontà col voler intendere muove all'intellezione, bisognerà che un tale volere sia preceduto da un'altra intellezione, questa poi da un altro volere, e così all'infinito: cosa questa impossibile[5]. La volontà dunque non muove l'intelletto.

 

In contrario: Fa osservare il Damasceno che "in noi c'è il potere di imparare e di non imparare qualunque arte vogliamo". Ora vi è in noi un dato potere in forza della volontà; eppure impariamo le arti mediante l'intelletto. Quindi la volontà muove l'intelletto[6].

 

Rispondo: Una cosa può causare il movimento in due maniere.

 

Primo, sotto l'aspetto di fine: come quando si dice che il fine muove la causa efficiente. E in questo modo è l'intelletto a muovere la volontà; perché il bene intellettualmente conosciuto è oggetto della volontà e la muove come fine.

 

Secondo, sotto l'aspetto di causa agente; come l'elemento alterante muove quello che viene alterato; e ciò che spinge muove la cosa spinta. In questo modo la volontà muove l'intelletto e tutte le potenze dell'anima, come dice Sant'Anselmo. E la ragione è che, in una serie di potenze attive ordinate tra loro, quella che mira a un fine universale muove le altre, che mirano a fini particolari. La cosa è evidente anche nel campo fisico e in quello politico. Infatti il cielo, che esercita il suo influsso per l'universale conservazione dei corpi generabili e corruttibili, muove tutti i corpi inferiori, ognuno dei quali muove per la conservazione della sua specie o per quella dell'individuo. Parimenti, il re che tende al bene comune di tutto il regno, muove col suo comando i vari capi delle città, i quali curano il governo delle singole città. Ora, oggetto del volere sono il bene e il fine nella loro universalità. Invece ogni altra potenza è ordinata a Lui come bene particolare ad essa proporzionato; la vista, per esempio, è ordinata a percepire il colore, e l'intelletto a conoscere il vero. Perciò la volontà muove, come causa agente, tutte le potenze dell'anima verso i loro atti,  meno che le potenze organiche della vita vegetativa, le quali non sottostanno al nostro arbitrio[7].

 

Soluzione delle difficoltà:

 

1. L'intelletto si può considerare sotto due punti di vista: primo, in quanto è conoscitivo dell'ente e del vero universale; secondo, in quanto è un'entità particolare e una particolare potenza avente un suo atto determinato. Parimenti, la volontà si può considerare sotto due aspetti: primo, considerando l'universalità del suo oggetto, in quanto cioè ha per oggetto il bene universale; secondo, in quanto è una determinata potenza dell'anima avente un determinato atto[8]. ‑ Ora, se paragoniamo intelletto e volontà secondo l'universalità dei rispettivi oggetti, allora abbiamo già dimostrato che l'intelletto è, assolutamente parlando, superiore e più nobile che la volontà. ‑ Se invece consideriamo l'intelligenza secondo l'universalità del suo oggetto, e la volontà in quanto è una determinata potenza, allora l'intelletto è di nuovo superiore e anteriore alla volontà: infatti la volontà stessa, il suo atto e il suo oggetto, rientrano nei concetti di ente e di vero, che formano l'oggetto dell'intelligenza. Quindi l'intelletto conosce la volontà, il suo atto e il suo oggetto, come conosce tutti gli altri intelligibili particolari, quali la pietra, il legno, ecc., che rientrano nei concetti universali di ente e di vero[9]. ‑ Ma se si considera la volontà secondo l'universalità del suo oggetto, che è bene, e l'intelletto invece si considera in quanto è un ente particolare e una particolare potenza, allora rientrano, come singolari, sotto la ragione universale di bene, e l'intelletto, e l'intellezione, e il suo oggetto, cioè il vero, ciascuno dei quali è un bene particolare. Sotto quest'aspetto la volontà è più alta dell'intelletto e lo può muovere[10].

Di qui dunque si rivela la ragione, per cui queste potenze si includono a vicenda con i loro atti; poiché l'intelletto conosce che la volontà vuole; e la volontà vuole che l'intelletto conosca. Analogamente, il bene è incluso nel vero, in quanto è un vero conosciuto dall'intelletto; e il vero è incluso nel bene, in quanto è un bene desiderato[11].

 

2. Abbiamo visto che l'intelletto muove la volontà in modo diverso da quello, col quale la volontà muove l'intelletto.

 

3. Non c'è bisogno di procedere all'infinito, ma ci si arresta all'intelletto, come punto di partenza. Infatti è necessario che la conoscenza preceda ogni moto della volontà; non già che la volontà preceda ogni conoscenza; poiché il principio del consigliarsi e dell'intendere è un principio intellettivo più alto del nostro intelletto, cioè Dio, come si esprime lo stesso Aristotele, il quale proprio da ciò dimostra che non è necessario procedere all'infinito[12].



[1] Il termine intellectus nella filosofia medioevale traduce il greco nouV che indica, per esempio in Platone e Aristotele, l’intelligenza cioè la facoltà di intendere, comprendere, conoscere.

[2] Questa tesi di Tommaso, ripresa da Agostino e Aristotele, può essere chiarita con l’esempio dell’amore, che si trova nel Simposio di Platone. Chi è innamorato immagina che il suo oggetto d’amore, che lo attira verso di sé, sia più “nobile” o “superiore” a lui; altrimenti esso non eserciterebbe un tale fascino. Così che è povero (inferiore) cerca il ricco (superiore) affinché questi gli possa donare qualcosa e non viceversa.

[3] Si tratta di un presupposto della psicologia di Tommaso, derivato da Aristotele. Esso può essere fatto risalire al cosiddetto “intellettualismo socratico” e venire argomentato come segue: posso conoscere qualcosa che non voglio (per esempio una malattia), ma non volere qualcosa che non conosco; dunque la conoscenza (intelletto) precede sempre la volontà. E’ chiaro pertanto come solo la prima possa muovere la seconda e non viceversa.

[4] Si tratta di un altro modo per dire che, se conosco una cosa, posso essere mosso a volerla, ma se mi limito a volerla, non sono per questo mosso a conoscerla: sapere che una cosa (una mela) è buona mi spinge a volerla, ma volere una certa cosa non aggiunge niente alla mia conoscenza di essa.

[5] Apparentemente si dà un caso in cui la volontà precede l’intelletto, quando, cioè, io voglio intendere qualcosa che ancora non conosco. Ma anche in questo caso, a ben vedere, si presuppone che la mia volontà di conoscere sia mossa da qualcosa, e precisamente da una precedente conoscenza (non conosco ancora perfettamente qualcosa, ma so, per esempio, che esiste o che è utile ecc.). Anche questa mia precedente conoscenza può essere derivata da una ancor precedente volontà di conoscere. Ma siccome ci deve essere un principio alla catena della cause che non può essere infinita, questo principio, per le ragioni che precedono, deve essere una conoscenza.

[6] Per intendere quest’obiezione del filosofo cristiano del VIII sec. d.C., Giovanni Damasceno, bisogna ricordare che per “arte” gli antichi e gli uomini del Medioevo intendono semplicemente “scienza”, anche se con particolare riguardo a quella diretta alla produzione.

[7] Riprendendo la distinzione aristotelica di causa finale e causa efficiente, Tommaso attribuisce all’oggetto conosciuto come bene il valore di scopo dell’azione e assegna alla volontà la funzione di causa efficiente o motrice. Questa distinzione non modifica però la tesi del primato della conoscenza sulla volontà, ma la traduce in quest’altra: la causa finale o scopo viene prima della causa efficiente. Si tratta di una riformulazione della dottrina socratica secondo cui, posto che la scienza suprema sia la scienza del bene o, in termini aristotelici, l’etica, solo se so o credo di sapere che cosa sia per me il bene mi muovo di conseguenza (intellettualismo socratico).

[8] Dall’intelletto come facoltà di conoscere, in generale, e dalla volontà come facoltà di agire, in generale, Tommaso qui distingue il “mio” intelletto che ora sa questa determinata cosa e la “mia” volontà che ora vuole quest’altra determinata cosa (atti determinati di potenze particolari).

[9] Se, in generale, la facoltà di conoscere è anteriore alla facoltà di agire, essa è anche anteriore al singolo atto volontario, che, evidentemente, presuppone che chi lo compie disponga della facoltà di conoscere, tra l’altro, anche fini (l’oggetto) e mezzi legati a tale specifico atto. Da entrambi questi punti di vista l’intelletto, cioè la conoscenza, è presupposta alla volontà e non viceversa.

[10] Ma se mettiamo in relazione la volontà come facoltà di perseguire il bene dell’agente con il singolo atto di conoscenza, ecco che si dà il caso che la volontà preceda e muova l’intelletto: volendo il mio bene (scopo generale della mia volontà in quanto facoltà), vorrò anche intendere come procurarmelo e metterò in atto, quindi, tutte quelle “intellezioni” particolari che mi serviranno a questo scopo. In questo particolare caso la volontà, in quanto facoltà che ha per scopo il mio bene, mi spinge a singoli atti di conoscenza; dunque muove l’intelletto.

[11] Volontà e intelletto, fermo restando il principio dell’anteriorità della conoscenza, si implicano reciprocamente se si passa alla considerazione della successione degli atti a cui dànno origine: per volere qualcosa, cioè per desiderare qualcosa come un bene, devo prima conoscerlo, ma per conoscere qualcosa, cioè per sapere se qualcosa è vero, devo desiderare conoscerlo.

[12] Il principio di ogni conoscenza è Dio, inteso aristotelicamente come intelligenza che non ha bisogno di voler conoscere per conoscere. Quindi, anche se non facciamo esperienze di conoscenza che non sia precedute da atti di volontà, possiamo ammettere che la conoscenza, in senso assoluto, preceda la volontà, come lo scopo di tutte le cose precede le azioni volte a conseguirlo.