Se tu fossi uno scettico (antico), come giudicheresti il seguente ragionamento “stoico”? In particolare, con quali argomenti ne metteresti in discussione la tesi?
Poiché è bene praticare la virtù e poiché chi fa ciò che è bene è felice, chi pratica la virtù è sempre necessariamente felice, anche tra i tormenti, come nel caso del filosofo Zenone che, condannato dal tiranno Falaride a bruciare vivo nel toro di metallo, non emise un solo lamento.
Se io fossi uno scettico antico sicuramente metterei in dubbio il fatto che “è bene praticare la virtu’ ” in quanto per spiegare ciò ricorrerei in un’infinità di sillogismi non arrivando mai a una conclusione. Di conseguenza viene messo in dubbio anche il fatto che “chi pratica la virtu’ è sempre felice”.
Secondo me non possiamo sapere che Zenone era felice di essere bruciato vivo perché’ ciò viene solo dedotto dal fatto che non emise un solo lamento ma lui potrebbe tranquillamente essere turbato dentro di sé e non mostrarlo agli altri.
Dopo avere studiato tutte le dottrine a proposito delle virtù, quindi stoici, epicurei e infine Aristotele, abbiamo iniziato a discutere riguardo una nuova visione del mondo e quindi ciò che ci circonda, cioè lo scetticismo.
Questa visione a differenza di quelle precedenti ragione non tanto sulle virtù e sul loro utilizzo, quindi se finale o di mezzo, ma piuttosto sulla loro verità, o meglio cerca di confutare se l’uomo, in quanto essere razionale, riuscirebbe a “dedurre” delle conoscenze certe tramite la ragione. Nel pensiero propostoci, uni scettico avrebbe pane per i suoi denti, cioè, capita la visione e il volere degli scettici, possiamo iniziare a discutere non tanto dell’episodio di Zenone, che è conseguente al pensiero di fondo, cioè:
Poiché è bene praticare la virtù e poiché chi fa ciò che è bene è felice, chi pratica la virtù è sempre necessariamente felice
Questa frase non rappresenta altro che un sillogismo aristotelico, e ni sappiamo, dopo aver letto i limiti di questa tipologia di deduzione, che presenta molti interrogativi, non tanto sull’ipotesi ma quanto sulla veridicità delle due tesi.
Infatti noi come scettici non possiamo essere certi che che praticare la virtù sia un bene e inoltre che fare il bene ci renda felici.
Quindi questa deduzione è errata perché manca di tesi verificate.
Se fossi uno scettico antico mi direi che non è detto che si faccia bene a praticare le virtù e anche che chi le pratica sia necessariamente felice, piuttosto direi che è indifferente praticarle o meno. Quindi secondo uno scettico antico non ci sarebbe modo di verificare la veridicità di questa affermazione.
Più che “indifferente” (al bene) praticare le virtù, è “indimostrabile” se sia o no un bene, a meno di non fondare questa tesi (premessa della conclusione) su altre tesi, cadendo così in un regresso all’infinito nella catena delle premesse.
Essendo io uno scettico giudicherei questo argomento discutibile. Come faccio per esempio ad essere sicuro che praticare la virtù mi faccia bene se giudico di non sapere nulla?! Inoltre da cosa nasce questa teoria che fare ciò che è bene mi rende felice se non so nemmeno cosa mi fa bene. Sono realmente sicuro che per esempio nell’episodio del filosofo Zenone, esso abbia fatto bene a tacere piuttosto che lamentarsi?! NO, poiché nulla è vero, nessuna opinione è meglio delle altre e io non posso giudicare se non so nemmeno cosa sia vero. Perciò in questo caso vivo nel dubbio che non mi impone o determina alcuna cosa.
Attenzione a non presupporre quello che deve risultare dalla critica alla tesi altrui Uno scettico è tale perché ragiona in un certo modo, NON ragiona in un certo modo perché è tale (scettico).
Se fossi uno scettico antico giudicherei questo ragionamento stoico un vano tentativo di dare una spiegazione alla vita umana e alla natura delle cose.
Da scettico greco ipotizzerei infatti che l’uomo non sia in grado di conoscere la verità delle cose e che tutte le dottrine siano false, poiché, se fossero vere non ce ne sarebbero così tante e anche contrastanti fra loro.
In particolare, non concorderei con il ragionamento sopra riportato in quanto afferma di conoscere la verità su ciò che è bene, cosa ipoteticamente impossibile per l’uomo secondo lo scetticismo, e lo identifica come l’esercizio della virtù che corrisponde al raggiungimento della felicità, fine della filosofia. Se questo ragionamento fosse vero, non esisterebbe la dottrina epicurea, che, a differenza della dottrina stoica, vede nella virtù un mezzo per raggiungere il piacere e non un fine.
In aggiunta, non ci è dato sapere con certezza quali fossero le emozioni veramente provate da Zenone durante la sua morte e pertanto è (ipoteticamente) scorretto affermare che questo fosse felice, nonostante l’assenza di lamenti.
La premessa della tua riposta (primo capoverso) sarebbe forse suonata meglio come conclusione per le ragioni più volte esposte ai tuoi compagni. In ogni caso lo scettico non intende sostenere che le tesi altrui sono false (altrimenti lo si potrebbe accusare di “possedere una verità”, ossia la certezza della falsità delle tesi altrui), ma solo indimostrabili. Nel secondo capoverso ti vale dell’argomento, evocato da Agrippa, della pluralità delle dottrine filosofiche (che contrasta con la pretesa unicità della verità). Nel terzo capoverso richiami una debolezza della nostra esperienza soggettiva (argomento di Agrippa), anche se indirettamente (riferendoti a Zenone). Tuttavia, non evochi altri più immediati argomenti che confutano le pretese di verità di qualsiasi sillogismo o ragionamento, come il regresso all’infinito nella catena della premesse, ad esempio.
Se fossi uno scettico giudicherei non veritiero il ragionamento stoico presentato. Io infatti, in quanto scettico,poichè dubito di tutto e non credo a nulla, non ho la certezza che tutte le persone che fanno il bene sono felici poichè, anche volendolo dimostrare, mi posso basare solamente su pochi elementi e mai su tutti; così facendo non potrò mai arrivare ad una conclusione veritiera e precisa che mi confermi che chiunque agisca bene sia felice. Quindi, in conclusione, poiché non so la verità, e non ho modo di arrivarci, non posso affermare che il bene corrisponda alla felicità.
Sei sulla strada giusta. Dovresti precisare che cosa intendi per “pochi elementi”. Intendi pochi casi per poter generalizzare la tesi? Allora ti servi della critica scettica all’induzione. Tuttavia, nel caso dei sillogismi, è ancora più immediata ed efficace la critica che mostra come qualsiasi ragionamento (o sillogismo) comporta un regresso all’infinito nella catena delle premesse che richiede.
Se fossi uno scettico non potrei ritenere vera quella frase visto che per uno scettico l’uomo e in questo caso io non posso conoscere la verità delle cose quindi dalla frase non so se la virtù coincide con il bene.
Presupponi quello che dovrebbe risultare dal ragionamento. Il giudizio critico su questo sillogismo, per uno scettico, non è automatico, ma scaturisce da una critica circostanziata (che diversi tuoi compagni hanno evidenziato).
Se fossi uno scettico valuterei questo ragionamento in modo negativo e ne metterei in discussione la tesi cercando di definire il “bene” e la “felicità”
Che significa valutare qualcosa in modo negativo? Come falso? No, come indimostrabile. Inoltre uno scettico per “definizione” non cerca di definire alcunché perché pensa che sia impossibile. Egli, piuttosto, procede per confutazioni.
La tesi può essere messa in discussione a causa della presenza di continui sillogismi come “È bene praticare le virtù” e “chi pratica le virtù è sempre felice” che non possono essere dimostrati senza ricorrere ad altre ipotesi e via all’infinto. Infine l’ipotesi adottata per favorire la tesi non è necessariamente universalmente corretta, perciò se fosse stato vero che Zenone non avesse emesso un lamento durante la sua morte (cosa già difficile di sè, data la morte orribile, accentuata dal fatto che doveva tenere un certo decoro per sostenere la sua scuola filosofica), ciò non implica che per chiunque perseguire il bene valga la morte sofferente.
Esattamente questo sarebbe l’approccio degli scettici. Attenzione, però, perché le proposizioni che metti tra virgolette non solo sillogismi ma (discutibili) premesse di sillogismi (che, appunto, in quanto indimostrabili, non ci permettono di concludere alcunché). In greco “syllògismos” significa “ragionamento” e si riferisce a un “sistema” di almeno tre proposizioni (due premesse e una conclusione), tanto nella forma del sillogismo aristotelico, quanto nella forma del sillogismo stoico.
Essendo uno scettico cercherei di smentire la tesi partendo dal fatto che le virtù e la felicità sono cose completamente diverse per tutti. Inoltre le virtù sono ambigue poiché non vengono espresse in modo chiaro e confutate
La tesi che virtù e felicità sono cose diverse per tutti è troppo forte per un scettico, che dubita di tutto (e non può dunque né affermare né escludere che virtù e felicità coincidano). Forse un epicureo ragionerebbe come te per confutare uno scettico (dal momento che per gli epicurei la felicità coincide con il piacere e non con la virtù). La messa in luce dell’ambiguità della virtù ci porta sulla strada giusta, ma è ancora poco per uno scettico…
Io lo giudicherei falso visto che non esiste per uno scettico un opinione giusta quindi non posso dire come arrivare al bene se tutte le opinioni sono errate. Quindi se fossi uno scettico direi un uomo può essere felice anche se non pratica la virtù e che se un uomo è tormentato non può essere felice.
Se tu arrivassi a quelle determinate conclusioni (“un uomo può essere felice anche se non pratica la virtù e se un uomo è tormentato non può essere felice”) non saresti più uno scettico, perché arriveresti a una specie di verità. Ricordiamo che diversi scettici, per evitare l’accusa di credere alla verità dello scetticismo, sostenevano la tesi paradossale: “Non so se so o se non so”. Nel nostro caso la tesi scettica sarebbe: “Non so se il ragionamento stoico in questione sia vero o falso, mi sembra, tuttavia, ma potrei sbagliare, che esso sia indimostrabile”.
Innanzitutto, poiché sono uno scettico reputo questo ragionamento stoico falso o comunque indimostrabile. Inoltre se fossi come Agrippa direi che non si può dimostrare se una propria ipotesi è un principio se baso il mio ragionamento sulla mia esperienza soggettiva e parziale ( come in questo caso riportando come esempio Zenone).
Il richiamo al modo di pensare di Agrippa è sensato. Tuttavia, come scritto ad altri, non si tratta di partire dal presupposto del proprio scetticismo, nel giudicare un ragionamento, ma nel far risultare il proprio scetticismo da argomenti ben precisi (come, appuntom quelli di Agrippa). Il risultato è che ogni ragionamento si rivela, non FALSO, ma, come poi scrivi, INDIMOSTRABILE.
Se io fossi uno scettico giudicherei il ragionamento “stoico” falso, in quanto penso che non si possa dimostrare vero perchè non posso affermare che il bene coincide con la felicità. Ne metterei in discussione la tesi in quanto si basa su delle ipotesi, e accontentandomi che la mia opinione che determina il bene sia il principio, ottengo solamente un’altra ipotesi ancora.
La critica del ragionamento è corretta, ma attenzione: la conclusione a cui pervieni non è il ragionamento è falso, bensì indimostrabile.
Se fossi uno scettico penserei innanzitutto che niente di quello che è stato detto è vero o dimostrabile.
Inoltre per formulare una tesi mi baserei sulla mia esperienza che è soggettiva.
Per mettere in discussione la tesi inizierei col chiedermi cos’è realmente la felicità e perchè la si debba raggiungere con il bene. E se è possibile esercitare la virtù in un altro modo
E per quale ragione niente di quello che è stato detto è dimostrabile? In ultima analisi quello dello stoico è un sillogismo, cioè una dimostrazione logica. La falla, in effetti, si trova nelle premesse… La soggettività della tua esperienza come interviene a farti dubitare della tesi? Forse perché non si può generalizzare il caso di Zenone? Non serve chiedersi che cosa sia le felicità, perché questa ricerca presuppone che si possa trovare una verità, cosa di cui, come sappiamo, gli scettici dubitano. E’ sufficiente dimostrare l’infondatezza del ragionamento stoico (non serve, dunque, sviluppare nuovi ragionamenti sulla virtù e sulla felicità).
Se io fossi uno scettico dire che questa tesi si può discutere perchè nessuna opinione è migliore delle altre, sicché possiamo seguirne una qualsiasi senza paura di sbagliare. La tesi la possiamo discutere anche sotto l’aspetto che nulla è vero. Per esempio per me la felicità non deve includere tormenti. Tutto è relativo, perché invece di soffrire come il filosofo Zenone avrei scelto di smettere di praticare la virtù. Quindi per qualsiasi scettico tutte le tesi possono essere cambiate, discusse.
In questo ragionamento presupponi quello che devi dimostrare. La tesi stoica in discussione non è dubitabile perché, in generale, per gli scettici tutte le tesi sono dubitabili, ma è dubitabile per una serie di ragioni (messe in luce da alcuni tuoi compagni), p.e. perché non se ne possono dimostrare le premesse ecc., che si possono, successivamente, applicare a tutte le altre tesi. Insomma, non dubito di questa tesi perché sono scettico, ma, poiché dubito di questa come di altre tesi per una serie di RAGIONI, allora sono scettico (e concludo, p.e., che tutto è relativo ecc.). Insomma lo scetticismo, col relativismo che esso comporta, è un risultato non una presupposto. Devi dimostrare a chi ti legge che è ragionevole essere scettici, per convincerlo, non presupporre lo scetticismo come un dogma, altrimenti non fai filosofia, ma indottrini.
Se io fossi uno scettico giudicherei falso questo argomento, e dubiterei innanzitutto del fatto che per essere felici si debba per forza seguire la virtù.
Perché ciò dovrebbe essere vero? Su quali prove si fonda? Certo, qualcuno potrà anche essere felice grazie all’esercizio della virtù, ma ciò non è valido per tutti gli uomini (si può prendere come esempio un qualsiasi criminale, persona corrotta o disonesta che non intende cambiare la propria vita e che è felice della sua situazione, consapevole dei rischi) e , in generale ogni persona potrebbe ritenere piacevole e quindi sentirsi felice in maniere differenti.
Poi, si potrebbe discutere del fatto che si possa essere felici anche nei tormenti, grazie alla virtù; in base alla forza di volontà di una persona, ci si può convincere che fare il bene anche in mezzo ai tormenti ci possa rendere felici, e quindi “salvarci”. Ma se una persona non ha una grande forza di volontà e non riesce a convincere se stessa che “seguire la virtù” sia la cosa migliore da fare anche nelle situazioni estreme, cercherebbe con molta probabilità un altra via d’uscita oppure si abbandonerebbe al dolore.
La tua critica entra forse troppo nel merito della tesi dell’avversario stoico (dello scettico). Lo scettico non cercherebbe tanto di confutare la tesi avversaria (che comporterebbe pervenire alla verità della sua negazione, dunque comunque a una verità, p.e. “per essere felici non è affatto sufficiente essere virtuosi”), quanto di mostrarne l’indimostrabilità (non si potrà mai sapere se sia vera o falsa).
Se fossi uno scettico riterrei il seguente ragionamento “stoico” sicuramente falso, poiché essendo uno scettico farei di tutto per trovare degli argomenti per i quali far crollare queste tesi. Ad esempio: il fatto che sia bene praticare la virtù e che chi faccia ciò che è bene sia felice sono due premesse che ovviamente esistono ma non sono necessariamente vere. Quindi questo tipo di sillogismo esiste ma non abbiamo dei validi criteri per renderlo sicuramente vero e di conseguenza per uno scettico sarebbe falso
Esatto. Avremmo un regresso all’infinito nella ricerca del fondamento. Inoltre non sarebbe neppure sufficiente a dimostrare la tesi l’eventuale veridicità del caso di Zenone.
Secondo me questa tesi può essere discutibile per la presenza di alcuni “sillogismi”, che non possono essere dimostrati senza fare ipotesi su ipotesi, come per esempio “E’ bene praticare le virtù” e “Chi pratica le virtù è sempre felice”
Si, anche secondo gli scettici sarebbe così. Tuttavia avresti potuto chiarire meglio il concetto e indicare altri possibili punti deboli del ragionamento stoico dal punto di vista scettico.