Rileggi il “denso” estratto del Parmenide di Platone che abbiamo letto in aula, quindi
- prova a riassumere sinteticamente le diverse ragioni per le quali, secondo Platone (dietro la “maschera” di Parmenide), l’uno, se è qualcosa, finisce paradossalmente (antinomicamente) per non essere alcunché.
Quindi, anche alla luce delle suggestioni provenienti dal celebre mito della caverna (cfr. questo video, il testo del mito in U3, P2, T6-7, pp. 259-63 e la sintesi alle pp. 215-217), rispondi al seguente quesito:
- Perché, secondo te, Platone si sarebbe dato la pena di scrivere un dialogo così bizzarro, nel quale, dopo pagine e pagine di antinomie, si finisce per dover ammettere che dell’uno si può dire (predicare, affermare), contraddittoriamente, tutto e il contrario di tutto? Perché, soprattutto, Platone voleva che i suoi discepoli si esercitassero in “meditazioni” dialettiche di questa natura?
Secondo Platone, in questo estratto del Parmenide, se l’uno è qualcosa non è alcunché per due motivi:
– non può essere né parte né tutto in quanto in entrambi i casi sarebbe più di uno (di parti ce ne sono più di una e un tutto è formato da più parti);
– non può essere nel tempo dal momento che, se fosse nel tempo, dovrebbe essere allo stesso tempo più giovane e più vecchio di sé stesso, ma essendo uno non è possibile.
A mio parere Platone voleva che i suoi discepoli si esercitassero in questo tipo di “meditazioni” dialettiche per fare in modo che loro giungessero il “bene” e insegnassero anche alle altre persone a raggiungerlo, come avrebbe dovuto fare lo schiavo che era uscito dalla caverna con i suoi compagni.
Inoltre l’uno se è è anche due “cose”, uno ed ente… Hai colto, come molti, il senso della meditazione dialettica. Resta da capire come essa possa conseguire il risultato a cui alludi.
Platone attraverso Parmenide nel primo discorso afferma che l’uno dovrebbe costare di parti, sia come tutto (una molteplicità di parti), sia avendo parti (ciascuna delle quali sarebbe una frazione, minore di uno). Tuttavia se l’uno vuole essere uno, questo non deve essere molti, perciò non sarà un tutto, ne avrà parti. Quindi se non ha parte alcuna non avrà ne principio, ne mezzo, ne fine, perché queste sarebbero sue parti. Allora l’uno è infinito, non ha principio ne fine, e non sarà nemmeno in nessun luogo (pertanto se l’uno è qualcosa, non sarà alcunché di possibile) perché non può ne circondare ne essere circondato, perciò l’uno non è ne in se stesso ne in altro da sé.
Nel secondo discorso se l’uno è tale, questo non potrebbe assolutamente essere nel tempo, perché se è nel tempo deve essere continuamente più vecchio di se stesso. Allora è necessario che tutto ciò che è nel tempo e partecipa a questo, abbia insieme la stessa età di se stesso e venga ad essere sia più vecchio di stesso sia più giovane insieme. Ma se l’uno non partecipa a nessun tempo, allora non è, non era e non verrà ad essere, perciò l’uno in nessun modo è.
Infine nel terzo discorso se l’uno è, è necessario che un tutto sia l’uno, che appunto è e che ne vengano ad essere parti l’uno e l’essere. Perciò ciò che è uno, è un tutto e ha parti. Infine l’uno ha sempre con sé “ciò che è”, mentre “ciò che è” ha sempre l’uno con sé , pertanto è necessario che, infinitamente sdoppiandosi, non sia mai uno.
Il risultato è che sia l’uno sia, sia che non sia, esso stesso e gli altri, rispetto a se stessi e reciprocamente fra loro, sono tutto, secondo ogni modo di essere, e non lo sono, appaiono essere tutto, secondo ogni modo di essere e non appaiono così.
Platone fa questi discorsi perché vuole portare i suoi discepoli e chi legge i suoi discorsi a pensare ciò che è reale e ciò che non è. Vuole mostrare che tutto può essere finche non arriva una prova contraria a questo discorso. Questo percorso è chiamato ANTINOMIA. Attraverso la filosofia Platone vuole liberare l’essere umano dall’ignoranza, tuttavia la strada per il bene e la conoscenza è ardua e dolorosa. La fatica del duro percorso però, si conclude con un sentimento di gioia per la verità raggiunta e insieme di compassione per quelli che non hanno voluto o potuto intraprenderlo, rimanendo nell’oscurità della realtà. Platone vuole giungere a un luogo e a un pensiero dove l’elevazione dell’anima porta insieme alla verità e alla giustizia.
Ottima e articolata risposta. Ci sarà da capire come effettivamente si possa “uscire dalla caverna”.
1) L’uno, se fosse qualcosa, finirebbe per non essere alcunchè poichè la sua esistenza nel tempo e nello spazio sarebbe paradossale.
Dopo aver stabilito che non può essere nè un tutto (molteplicità di parti, vale più di uno), nè una parte (frazione, vale meno di uno) ne deriva, tramite una serie di passaggi logici, che non si trova in nessun luogo (se si trovasse in un luogo diverso da se stesso ne sarebbe una parte; se il luogo corrispondesse a se stesso avrebbe il valore di due) e pertanto non è.
Sarebbe paradossale affermare anche che “l’uno è”, perchè la sua esistenza nel tempo implicherebbe che sia simultanenamente se stesso, più vecchio di se stesso ma anche più giovane; ciò non è possibile avendo stabilito che l’uno non può essere molti e, non esistendo in alcun tempo passato, presente e futuro, non partecipa all’essere.
In conclusione è impossibile predicare sia l’essere che il non essere dell’uno.
2) Probabilmente Platone scrisse questi dialoghi paragonando i paradossi alle ombre viste dagli schiavi nella caverna: i paradossi sono una percezione dell’uomo ma non si trovano necessariamente nella realtà della natura, di cui le ombre sono soltanto i riflessi.
Sottoponeva i suoi discepoli a meditazioni dialettiche poichè riteneva che l’esperienza e l’esercizio rappresentassero l’unico modo per capire veramenente le conoscenze trasmesse dal filosofo. Solo uscendo dalla caverna gli schiavi avrebbero capito ciò che il loro compagno stava cercando di spiegargli.
Come abbiamo visto in aula, la tua risposta 2) è corretta. Possiamo integrarla con la spiegazione (presunta) della ragione per la quale l’esercizio dialettico, secondo Platone, farebbe “uscire dalla caverna” dell’ignoranza (conoscere è ricordare, la “purificazione” dialettica distrarrebbe la mente da quegli inganni che inibirebbero la “memoria” della verità). La risposta 1) è pure corretta. Si potrebbe integrare con l’argomento n. 3: se l’uno è, sono già in due: l’uno e l’ente…
Nell’estratto che abbiamo letto sono presente 3 antinomie:
– la prima dimostra che l’uno per poter esistere non deve trovarsi in nessun luogo partendo dal presupposto che l’uno non può essere molti, perciò non potrà ne essere parte del tutto ne essere il tutto (poiché sarebbe formato da parti), argomentando poi che deve essere infinito, ma questo infinito non può essere contenuto in nulla, perché sarebbe una parte, e non può essere contenuto in se stesso se no sarebbe duplice, sia contenuto che contenitore;
-la seconda dimostra che l’uno non può subire gli effetti del tempo, poiché mentre si invecchia si è allo stesso tempo più vecchio del passato e più giovane rispetto al futuro, perciò se l’uno invecchiasse sarebbe duplice;
-la terza dimostra che definendo l’uno come qualcosa che è si finisce per duplicarlo, poiché si definisce questo come “qualcosa che è” e allo stesso tempo “uno”.
A mio parere Platone ha fatto studiare ai propri discepoli questo dialogo, poiché essi si sarebbero esercitati sulla base del pensiero del maestro a ricercare il bene e a vedere il mondo nella prospettiva di un filosofo, ossia chiedendosi mano a mano ad esempio perché o come le cose sono oppure non sono. Diciamo che questo dialogo può essere visto come una scaletta di base con la quale i discepoli si esercitavano a vedere il mondo con gli occhi di un filosofo. La fine del dialogo dimostra come nonostante si ragioni sul tutto, non riusciremo a comprenderlo poiché esso va oltre a noi esseri umani.
Ottima l’analisi degli argomenti del “Parmenide”. Senz’altro poi il mito della caverna mette in luce i limiti umani della conoscenza, ma sembra suggerire una “via d’uscita”. Si tratta di capire come tale via possa essere rappresentata da un esercizio apparentemente inconcludente.
Le ragioni per cui l’uno se è qualcosa finisce paradossalmente a non essere alcunchè sono:
– l’uno non è in nessun luogo quindi se è qualcosa non è alcunchè possibile
-l’uno non esiste nel tempo perchè altrimenti sarebbe sia giovane che vecchio e varrebbe più di uno
-se diciamo che l’uno è attribuisco sue caratteristiche all’uno sia che è uno sia che è quindi vale ancora due
Per la seconda domanda ritengo che Platone avesse scritto quel testo e facesse leggere quei testi agli allievi perchè voleva che essi meditassero e ragionassero appunto in questo caso sull’uno e su cosa si può dire contradditoriamente su di lui, ma in generale come la mente interpreta quello che vede e ha sempre visto e che ha sempre creduto fosse reale( mito della caverna)
Se ho ben capito attribuisci alla dialettica (della quale ben interpreti il movimento per quanto riguarda il “Parmenide”) la funzione di mostrare come noi spesso ci inganniamo sul conto delle cose (p.e. sul conto dell’Uno), cioè “siamo nella caverna”. Senz’altro si tratta anche di questo. Tuttavia nella “Repubblica” Platone presenta la dialettica anche come via d’uscita… come attività per mezzo della quale sarebbe possibile conseguire i “principi” non ipotetici della “realtà”.
Nel testo propostoci ritroviamo Platone nei panni di Parmenide, il quale deve convincere il suo discepolo Zenone sul fatto che l’uno, se inteso come qualcosa; paradossalmente viene a coincidere con i suoi opposti, portandolo alla conclusione che non è alcun’che.
Infatti il filosofo per argomentare la sua tesi, pone a Zenone un dilemma: più precisamente, dopo aver identificato l’uno come infinito, poiché è privo di mezzo e fine, pone l’esempio che l’uno sia qualcosa nel tempo, quindi se ne deduce, ipotizzando che la qual cosa identifica il vecchio o il giovane, sia infinita cioè il vecchio lo è stato, lo è e lo sarà e così anche il giovane, paradosso.
Infine ci è stato proposto il mito celebre della caverna, con il quale Platone si esercitò, grazie a molte antinomie, per allenare i suoi discepoli nella dialettica; però il problema di fondo è perché lo ha fatto: infatti, Platone introduce questo mito per spiegare sia come in generale le varie filosofie combacino l’una con l’atra, cioè che le visioni, per esempio il pensiero di Socrate (la scienza del bene), sono impostanti per le altre, come quella di Platone (ricerca saggezza e sapienza); sia per far comprendere quanto siano in realtà false, cioè solo ombre, tutte le cose che ci appaiono (la matematica, la fisica o il sole, cioè il bene) se non usciamo da quella ipotetica caverna e le vediamo come tali.
Questo per Platone è fare Filosofia, cioè uscire dalla caverna, ma come un cieco che vede per la prima volta la luce, nessuno riuscirà mai a raccontare, ritornando ipoteticamente nella caverna, ciò che ha visto agli altri, quindi l’insegnamento, che vuole dare ai suoi discepoli, e di uscire loro stessi e fare filosofia.
MI sembra che tu fossi assente il giorno della spiegazione del testo di Platone, giusto? Questo spiega perché tu ti limiti a coglierne vari spunti, senza andare al “nocciolo” delle diverse questioni. Tuttavia, pur in assenza di spiegazione, riesci comunque a cogliere aspetti rilevanti.
• Come prima cosa Platone dice che l’1 è molteplice in quanto l’1 è sia parte, ed essendo parte è parte di un tutto, sia tutto, ed essendo tutto deve essere composto in più parti in quanto al tutto non può mancare alcuna parte. Successivamente Platone dice che una cosa che con il tempo invecchia diventa nello stesso momento più vecchia di ciò che era e più giovane di ciò che è. Detto ciò se l’uno non “percepisce il tempo” non può ne essere, ne essere stato e non sarà nemmeno. E quindi l’1 non è in nessun modo.
• Forse Paltone ha deciso di scrivere così tanto senza limitarsi ad esporre la sua idea ma anche dandone le motivazioni perché si sentiva in dovere di “illuminare” ai suoi discepoli facendoli capire la causa della sua idea.
Abbastanza corretta, anche se un po’ sintetica, la spiegazione di almeno due delle tre antinomie dell’uno che abbiamo letto nel “Parmenide”. Platone voleva far capire ai suoi discepoli la “causa” della sua idea? Ma perché illuminarli, come scrivi tu, su tali e tante contraddizioni dell’uno?
Platone, sotto il personaggio di Parmenide, comincia ad esporre i vari paradossi dell’uno.
Partendo dal presupposto che l’uno sia effettivamente uno, non può essere definito come tutto, ma neanche come parte di un tutto perché in entrambi i casi sarà definito come molteplice e non “uno”.
Inoltre sarà necessario, affinché l’uno esista come singolo, che sia infinito perché non avendo parti, non può avere né fine né principio né mezzo.
Ma se fosse infinito, non è possibile che esista in nessun luogo perché se fosse in sé stesso si dividerebbe nell’uno “che circonda” e nell’uno che “viene circondato” ma ciò è impossibile e se fosse in un altro luogo dovrebbe avere intersezioni con altri oggetti, ma ciò è sempre impossibile per via della mancanza di parti.
L’uno non può nemmeno essere nel tempo perché si dovrebbe sdoppiare nell’uno “del passato” e quello “del futuro” continuamente con lo scorrere nel tempo ma ciò non è possibile perché dovrebbe essere sempre uno.
Platone fa fare questi esercizi di Dialettica ai propri allievi per mostrare loro che anche la logica ha dei limiti e, non è possibile raggiungere la verità usando solo quest’ultima, ma bisogna andare oltre e cercare di comprendere al massimo la natura anche attraverso i suoi paradossi.
Hai colto un punto molto rilevante della dialettica: occorre andare oltre la logica… Ma su quali basi? E come?
Platone in questo dialogo afferma che è apparentemente impossibile predicare sia l’essere che il non essere poiché pur tentando di dimostrare una tesi , anche per assurdo, si cade in grandi paradossi. Nel dialogo infatti Platone afferma che l’essere non può esistere ne nel tempo (poiché non si riesce a distinguere un essere giovane e vecchio, poiché ricadrebbe nel duplice) ne nello spazio (poiché l’essere non può essere ne tutto ne parte).
Secondo me Platone si sofferma a scrivere questo dialogo poiché vuole suscitare nei suoi discepoli una certa curiosità rispetto al mondo che li circonda. Platone infatti in questo dialogo si sofferma a parlare dell’uno,e ,poiché tutti di base hanno già in mente un concetto, quasi matematico, dell’unità, egli vuole soffermarsi a ragionare su questo postulato dato per scontato per metterlo in dubbio. Così facendo a mio avviso spinge tutti i suoi seguaci ad una maggiore ricerca e curiosità pronta a porsi nuove domande sul mondo che ci circonda in cerca della verità.
L’oggetto del dialogo non è tanto l’ “essere” quanto l’ “uno” anche se è vero che Platone prende spunto dalla nozione di essere di Parmenide (che figura come principale personaggio del dialogo). Del resto le antinomie che il dialogo fa emergere si capiscono se riferite all’uno, non all’essere. Buona intuizione: Platone vuole suscitare curiosità, mettendo in discussione “dogmi” troppo dati per scontati. Tuttavia, l’operazione approderebbe a uno sterile scetticismo se non avesse di mira qualcos’altro, come abbiamo suggerito in aula…
Secondo Platone l’uno è uno e non deve essere visto ne come un tutto che come una parte di un tutto visto che ricaderebbe nella definizione di molteplice. Non potrà essere nemmeno infinito perchè non sarà in nessun luogo ne in altro ne in se. Non sarà neanche nel tempo perchè dovrebbe essere allo stesso tempo più vecchio di se e più giovane di se.
Platone voleva far capire ai suoi discepoli che per arrivare alla verità è necessario comprendere totalmente la natura.
L’analisi del testo di Platone è davvero limitata e anche la tua ipotesi sulla ragioni per cui Platone sottopose i suoi discepoli all’esame dialettico appare poco approfondita.
Uno che condivide l’indeterminatezza dell’Essere,bsebbene, pur in questo “organismo” di enti/elementi in relazione costitutiva reciproca. Uno è al di sopra dell’ente e del non ente, il tempo è del tutto assente. Esso, infatti, compare solo al terzo livello, quello dell’anima del mondo che dà vita e movimento ai corpi. Dunque il tempo sembra proprio avere a che fare, in questa prospettiva platonica.
Il mito della caverna parla del problema della conoscienza. L’uomo infatti vede le cose del mondo ma che non sono veramente reali, sono più reali le idee a cui le cose si ispirano. Per quello il mondo delle cose è solo il 3 grado rispetto alle idee che sono il 1 grado di conoscenza.
Anima del mondo? Da dove hai tratto ispirazione per questa tua risposta poco pertinente? Non rispondi alla mia duplice domanda ma scrivi cose anche corrette, ma del tutto fuori luogo!
Cominciamo con il fatto che l’uno non può essere definito come tutto o come una parte di esso perché in entrambi i casi si finirebbe nel caso della molteplicità e non dell’uno.
L’uno per esistere deve essere infinito non potendo avere parti non avrà: inizio,fine e mezzo. Per essere infinito l’uno non dovrebbe esistere in nessun luogo o tempo, nel caso del luogo dovrebbe suddividersi nel l’uno che circonda e che viene circondato ed è impossibile e se fosse in altri luoghi dovrebbe unirsi ad altro che ancora una volta sarebbe sbagliato per il problema delle parti, tornando al tempo l’uno si dovrebbe dividere nell’uno del presente e del passato caso non possibile perché dovrebbe essere unico.
Platone usa questo dialogo molto complesso per mostrare i limiti della logica che non può essere usata da sola per la ricerca della verità ma va accompagnata ad altri strumenti che permettono di andare oltre alla natura e ai suoi paradossi e problemi.
Esatto. Si tratterà di capire in che cosa consisteranno questi altri “strumenti”….
Secondo Platone l’uno finisce paradossalmente per non essere alcunchè in quanto ha una doppia funzione che lo rende non più uno ma due, facendolo risultare impossibile. In più l’uno non ha un tempo che lo rende passato presente o futuro, quindi non può essere.
Secondo me Platone scrive questo dialogo contraddittorio, dove ammette tutto e il contrario di tutto, perché vuole stimolare i suoi discepoli alla ricerca e alla verità, per andare oltre alle apparenze.
Platone voleva che i suoi discepoli si esercitassero in “meditazioni” dialettiche di questa natura per educarli sulla conoscenza del bene, ovvero la scienza suprema secondo Socrate.
Senz’altro Platone desidera che i discepoli vadano oltre le apparenze. Cogli un punto rilevante. Si tratterà di capire come. Per quanto riguarda gli argomenti intorno all’uno del “Parmenide” sei forse stata un po’ troppo laconica. Come mai l’uno si sdoppia (svolge una doppia funzione)?