Dopo esserci chiesti in che senso la filosofia sia necessaria e sia utile, domandiamoci in che senso essa, storicamente, sia sorta dalla meraviglia o, forse, perfino dall’angoscia (e possa, in ciascuno di noi, sempre di nuovo risorgere) e che rapporto essa abbia con il mito e la religione che la precedono (anche in ciascuno di noi), cfr. il fondamentale testo della Metafisica di Aristotele riportato in 1A, U4, T1, p. 357 [cioè nel manuale in adozione, volume 1A, Unità 4, Testo 1, a pagina 357].
Circa la questione dell’emergere della filosofia dal mito a partire dalla meraviglia che, tipicamente, i Greci iniziarono a provare (intesa anche come sgomento, dubbio radicale, ansia di verità mai prima provata), possiamo ascoltare l’interpretazione che ne offre Emanuele Severino [min 11:28 – 31:30].
Di questa lettura è interessante sottolineare un punto: la filosofia comincia a ricercare la verità (la sophìa, intesa come il saphés, ciò che è in luce, trasparente, chiaro) allorché il mito non è più giudicato convincente, cioè, nelle parole di Severino, non costituisce più un “rimedio” adeguato all’angoscia che ci deriva dal dolore e dalla morte.
Altri si discostano da questa lettura esaminando con attenzione il contesto in cui Aristotele enuncia la celebre ipotesi secondo la quale la filosofia scaturirebbe dalla meraviglia.
Quale il rapporto tra la “meraviglia” nei confronti della natura e del mondo (dell’essere) e la domanda (etica) relativa a ciò che è meglio per noi (potremmo dire: tra la sapienza cosmica e la saggezza pratica, entrambe traducibili col termine “sophìa“)?
Consideriamo come, in generale, il problema etico (che cosa è bene o saggio fare) possa essere risolto, verosimilmente, solo se sappiamo chi siamo e, più in generale, che cos’è il mondo, tutto ciò che è qualcosa. Il problema etico rimanda, dunque, al problema ontologico (relativo a tutto “ciò che è”, in greco on, plurale onta).
Se, ad esempio, esiste Dio e noi ne siamo figli, se Dio avesse creato il mondo e ci avesse fatto a Sua immagine e somiglianza, se Gesù fosse il Figlio di Dio ed Egli stesso Dio, Egli ci indicherebbe la via per la nostra salvezza e sarebbe sensato comportarsi e agire come suggeriscono i comandamenti dell’Antico e del Nuovo Testamento.
Se, tuttavia, così non fosse, fossimo soltanto animali evoluti casualmente in questo modo, corpi viventi e destinati a dissolversi nella morte, senza senso, come sembra suggerire la scienza moderna, probabilmente sarebbe sensato agire diversamente: perseguire il piacere ed evitare il dolore e, a questo fine, ricercare l’amore degli altri e rifuggire il loro odio ecc.
Se fosse corretta l’interpretazione della natura offerta dai buddhisti le cose sarebbero ancora differenti e così via…
Si capisce come la ricerca filo-sofica sia per noi fondamentale, perché a seconda di come rispondiamo, anche implicitamente, alle domande filosofiche decidiamo come vivere e morire. E non possiamo non rispondere, anche se volessimo evitarlo, perché, se non rispondiamo verbalmente, rispondiamo col nostro comportamento.