Quali le radici storiche e culturali del Rinascimento? Difficile dirlo. Certamente agirono diversi fattori come la grande disponibilità di risorse economiche delle corti italiane, la maggiore attenzione favorita da questa diffusa ricchezza ai beni terreni, anche per reazione a flagelli come le ricorrenti pestilenze (che poté favorire, secondo alcuni storici, un cripto-neo-paganesimo, cioè il ritorno in forma nascosta di una visione precristiana), l’apporto dei dotti provenienti da Costantinopoli, a seguito delle conquiste turche, il periodo di relativa tranquillità seguito alla pace di Lodi (1454), la persistente tradizione greco-romana mantenuta negli ordinamenti civili e testimoniata dalle rovine monumentali dal passato…
Cfr. [vol II], U1, cap. 1, § 1, pp. 5-6.
Cfr anche S, vol. 2, cap. 9, pp. 170-189.
Ma il Rinascimento consistette soltanto nella rinascita dei valori e della visione del mondo greco-romana? No, fu caratterizzato anche da motivi peculiari che, secondo alcuni, inaugurano la moderna visione del mondo e dell’uomo.
Consideriamo la celeberrima Oratio de hominis dignitate di Pico della Mirandola, vero e proprio manifesto dell’umanesimo rinascimentale (la puoi leggere anche sul libro di storia, vol. 1, p. 546), che abbiamo letto e commentato in aula.
In Pico è sicuramente di matrice platonica la dottrina secondo la quale Dio avrebbe creato il mondo sulla base di archetipi (idee platoniche), conferendo a ciascuna creatura una specifica natura sulla base di questi modelli. A tale idea Pico aggiunge tuttavia la caratteristica intuizione che l’uomo sia di natura indefinita e possa, pertanto, scegliere liberamente che cosa essere.
In effetti, la dottrina del libero arbitrio (ignota ai Greci per i quali, ad es. per Socrate, non possiamo non fare ciò che, di volta in volta, ci appare bene) viene sviluppata soprattutto dalla filosofia cristiana antica e medievale, a partire dall’ipotesi che l’uomo, a causa della corruzione che gli deriva dal peccato originale, sebbene sappia ciò che è bene, tende a volere e fare il male. Tuttavia, in Pico, il libero arbitrio diventa “onnipotente”, nel senso che, come già sosteneva l’ “eretico” Pelagio, combattuto da Agostino, noi potremmo divenire ciò che vogliamo (santi o “bruti”) quasi senza l’aiuto della grazia divina (ma – attenzione – a condizione che – come sapevano perfettamente i Greci che elaborarono la nozione di “virtù” – ci esercitiamo duramente a divenire quello che desideriamo, soprattutto se si tratta di ascendere al divino).
Cfr. [vol II], U1, cap. 1, § 7, pp. 11-13.
In generale il rinascimento è contraddistinto da una caratteristica esaltazione dell’Uomo, come ci ha ricordato Diana, che fonde e trascende insieme le sue radici cristiane e pagane. Se secondo la concezione ebraico-cristiana (cfr. il Genesi biblico) l’uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio (dunque è infinitamente superiore agli altri animali, a differenza di quanto credevano i Greci), secondo la concezione classica greca (soprattutto orfica e neoplatonica) l’anima dell’uomo è una scintilla divina, ossia l’uomo non è che Dio (il Principio) dimentico di se stesso (dottrina inaccettabile per ebraismo e cristianesimo ortodossi, per i quali l’uomo, in quanto creatura, è infinitamente inferiore a Dio). Pico riprende dal cristianesimo l’idea della superiorità dell’uomo sui “bruti” e dal paganesimo l’idea dell’identità “inconscia” di Uomo e Dio, tratteggiando così, influenzato in ciò anche dalla qabbalah ebraica e dal Corpus hermeticum, la figura dell’Uomo come “magnum miraculum“.
In questa luce è difficile continuare a parlare di un Rinascimento “terrestre” e “mondano” da contrapporre a un Medioevo “celeste” e “religioso”. Certamente, l’uomo del Rinascimento può essere, se vuole, anche un gaudente (recuperando la tradizione p.e. epicurea. cfr. Lorenzo Valla e poi Pierre Gassendi), dedito alla ricerca del denaro o del potere (cfr. Machiavelli), ma può essere anche un mistico che cerca di fondersi con Dio (ancora più pienamente di quanto fosse possibile concepire all’uomo medioevale). In generale nella prospettiva del Rinascimento l’Uomo acquista una caratteristica “libertà di movimento” sconosciuta alla “rigida” antropologia medioevale (secondo la quale l’Uomo è collocato “fissamente” al di sopra degli animali e al di sotto degli angeli).
Sulle premesse (neo)platoniche del Rinascimento cfr. U1, cap. 2, § 1, p. 22; § 3, pp. 24-26 (Cusano, Ficino, fino a Pomponazzi per ora escluso). Fruisci anche dei due brevi video dedicati rispettivamente al pensiero di Cusano, quale è esposto nel De docta ignorantia (1440), e al sorgere dell’Accademia platonica di Ficino e Pico della Mirandola (1462). Del De docta ignorantia leggi questo estratto.
Come puoi ascoltare e leggere la libertà quasi assoluta di cui i dotti del Rinascimento immaginano che l’uomo goda è strettamente e paradossalmente legata all’ignoranza (in senso socratico) che contraddistinguerebbe questo stesso uomo. Non potendo afferrare concettualmente il mistero di Dio l’uomo può scegliere liberamente le immagini (e le relative religioni) mediante le quali alludere a tale mistero e anche i modi di agire che gli sembrano più confacenti al suo proprio ruolo nel macrocosmo (che, come sappiamo, è simultaneamente centrale e periferico, se si ammette che l’universo sia infinito e che Dio lo abiti segretamente).
Un’altra implicazione della concezione platonica, quale espressa soprattutto da Niccolò Cusano, è legata alla sua dottrina dell’infinità dell’universo, dottrina che sarà ripresa da Giordano Bruno, in tutt’altro clima politico e religioso. Se l’universo è infinito (ed è tale perché sarebbe assurdo che un Dio onnipotente creasse un universo meno che infinito) ogni cosa è contenuta in ogni cosa (complicatio), perché le parti dell’infinito sono a loro volta infinite, anche se sembrano finite, e coincidono con l’intero, Dio è presente in ogni cosa (implicatio) e l’universo stesso, nel suo insieme, ne è espressione (explicatio). Il legame sottile di ogni cosa con ogni altra (dovuto al fatto che in un certo modo ogni cosa contiene ogni altra) costituisce il fondamento filosofico delle pratiche della magia, dell’astrologia e dell’alchimia, ben note da secoli, ma che nel Rinascimento, grazie anche alla crisi che attraversa la religione, conoscono una grande fioritura.
Su Bruno cfr. U1, cap. 5, § 3, pp. 47-52 e i due video di cui abbiamo fruito in aula, quello che espone in sintesi il suo pensiero e l’altro che, attraverso una selezione di citazioni dalle opere del filosofo, ne rilancia il pensiero in chiave New Age.
Il Rinascimento non è solo (neo)platonismo, ma, sulla base delle ricerche dei dotti umanisti e di un rigoroso esame filologico dei testi riesumati, si traduce anche nella rinascita di tutto il ventaglio delle filosofie “pagane”: dall’epicureismo allo scetticismo attraverso lo stoicismo e l’aristotelismo, per tacere della sofistica e delle concezioni dei presocratici.
Oltre alla pagina del sito principale dedicata al rinascimento della filosofia già sopra richiamata cfr. su Montaigne, U1, cap. 1, § 12, Montaigne, pp. 18-19; su Pomponazzi, U1, cap. 2, § 3, Pomponazzi, pp. 27-28.