Studia l’unità didattica su Marx, con le integrazioni di Storia indicate in quest’altra pagina.
Alla luce dello studio pregresso dell’economia politica classica e di Hegel rispondi quindi a uno dei due seguenti quesiti a tua scelta:
- Ti sembra più convincente la concezione hegeliana di uno Stato super partes, fuori da conflitti di interesse, che media tra le parti in conflitto o quella marxiana di uno Stato che finge “ideologicamente” di essere tale, ma, di fatto, sta sempre dalla parte della “classe dominante”?
oppure
- Quale delle prospettive di economia politica incontrate ti sembra più convincente con particolare riguardo alle dottrine di Adam Smith e Karl Marx?
Domanda 1:
La concezione più convincente mi sembra quella di Marx secondo il quale lo stato finge “ideologicamente” di essere tale ma in realtà si schiera sempre dalla parte della classe dominante.
Per Hegel la Sovranità dello Stato deriva da se stessa e a governare lo Stato non devono essere gli uomini ma le leggi; ciò per me non è realizzabile in quanto le leggi non possono crearsi da sole ma devono essere create degli uomini e pertanto qualcuno deve imporre le leggi che ritiene siano giuste agli altri. Questo porta ad una contraddizione del concetto di Stato.
Per Marx, invece, lo Stato finge di riuscire a mediare fra le parti ma in realtà si pone sempre dalla parte della classe dominante. Quest’ultima infatti, tramite l’ideologia, riesce ad “ingannare” la classe dominata facendole credere che tutto è perfetto e tutti stanno bene mentre nella realtà la classe dominante si arricchisce sempre di più sfruttando il controllo sulla classe dominata.
Se creassimo due modelli di Stato nella realtà, uno ispirato a Hegel e un altro ispirato a Marx, il secondo dei due è quello che durerebbe più a lungo in quanto, nonostante la classe dominata sia sfruttata e impoverita al massimo, non le vengono negati i diritti di base (come il diritto alla vita e al lavoro).
Sei quindi anche d’accordo con i sofisti come Trasimaco secondo i quali “il giusto è l’utile del più forte” (e più in generale non esiste una giustizia oggettiva, ma solo relativa a ciascun determinato insieme di “interessi”) e non esiste una legittima aspirazione alla giustizia al di sopra delle parti, come insisteva ad argomentare Socrate?
SECONDA DOMANDA:
A mio parere la teoria di Adam Smith, che poi seguì, modificandola, anche Marx, mi sembra molto valida poiché metteva in secondo piano il commercio e in primo piano la produzione dei beni. Inoltre penso che sia scontato che ognuno renda meglio se produce cose che gli piace fare, proprio per questo l’egoismo di un singolo porta molti benefici alla società visto che il prodotto sarà fatto con particolar interesse.Economicamente stabilì un prezzo di un determinato prodotto sulla base della qualità di esso e del tempo impiegato per crearlo e questo, a parer mio, è una cosa molto intelligente che valorizza il lavoratore. Per quanto riguarda nello specifico Marx, ritengo che il suo ‘pessimismo’ in campo politico ed economico sia stato eccessivo poiché il capitalismo, a differenza di come aveva pensato, riuscì a superare le sue crisi così come la disoccupazione divenne un problema risolvibile.
La risposta è abbastanza chiara, tranne che in un passaggio, quando scrivi che Smith “stabilì un prezzo di un determinato prodotto sulla base della qualità di esso e del tempo impiegato per crearlo e questo, a parer mio, è una cosa molto intelligente che valorizza il lavoratore”. Sembra che il prezzo dei beni sia fissato direttamente da Smith per il bene dei lavoratori, mentre esso viene fissato dal mercato (dalla “mano invisibile”) e non sempre, tra l’altro, se ha ragione Marx, nell’interesse dei lavoratori (semmai dei produttori e dei consumatori).
Domanda 1) La concezione hegeliana di uno Stato “sopra le parti”, che cerca quindi di mediare i poli della società mantenendo una posizione neutra, potrebbe senz’altro sembrare l’ideale: nella pratica si dimostra però essere un obiettivo di difficile attuazione, tanto che la concezione di Marx di uno Stato neutro solo in apparenza, si è spesso rivelata nel corso della storia essere un esempio più ricorrente; questo perché, persino in una società democratica, anche i candidati al governo appartengono a una specifica classe sociale, di cui cercheranno di soddisfare gli interessi una volta eletti. Per ottenere un governo neutrale è necessario che questo sia formato da persone aventi a loro volta tale caratteristica, la quale è però di difficile raggiungimento.
A mio avviso, la validità della concezione marxista dipende piuttosto dagli obiettivi della classe che gode dell’appoggio dello Stato; presupponiamo che in un’ipotetica società la classe dominante sia rappresentata da ricercatori, scienziati e medici, mentre quella dominata sia costituita da individui mediamente ignoranti. In questo caso lo Stato, facendo gli interessi della classe dominante starebbe contemporaneamente beneficiando in modo indiretto anche alla classe dominata in quanto medici e ricercatori, ottenuti i fondi necessari, verrebbero in possesso dei mezzi necessari a migliorare la vita della società intera tramite sviluppi nei campi della medicina e della tecnologia. Ciò si verificherebbe con maggiore difficoltà se lo Stato considerasse in egual misura anche le richieste dei dominati poiché, in quanto ignoranti (in questo caso), cercherebbero di approfittarsene ricavando dei vantaggi individuali e senza contribuire al miglioramento della società. Marx stesso sostiene che, sebbene la rivoluzione preveda inizialmente uno spostamento dell’interesse verso una parte della società (in questo caso il proletariato), i benefici ottenuti in seguito riguarderanno tutti.
Alla luce di queste considerazioni ritengo che la concezione di Marx sia valida nei casi in cui lo Stato stia apertamente appoggiando gli interessi di una classe capace di individuare i mezzi più adeguati a garantire il benessere comune, seguendo una concezione quasi machiavelliana.
Risposta davvero eccellente.
Mi permetto solo tre integrazioni (a conforto della tua analisi e delle tue conclusioni).
Antonio Gramsci, ispirandosi a Marx, considerava il Partito Comunista d’Italia da lui fondato nel 1921 esplicitamente come “Il moderno principe”, appunto per ragioni non diverse da quelle che sostieni. Più in generale si è parlato talora di “doppiezza” di Togliatti (il capo del partito comunista nel secondo dopoguerra) in riferimento a un analogo approccio machiavellico. Si può ovviamente non essere affatto d’accordo sui fini (si può ritenere che il dominio del proletariato o del partito comunista, se questo è costituito da persone ignoranti, non sarebbe migliore, ma peggiore di quello della borghesia), ma, ammesso che l’obiettivo marxiano sia giusto, la logica stessa di Marx prevede che sia conseguito attraverso mezzi non sempre “trasparenti”, per così dire.
Forse involontariamente la tua idea di uno Stato governato da “scienziati”, oltre che riecheggiare la repubblica platonica, è l’ideale del positivismo politico, incarnato ad esempio da Auguste Comte. Oggi parleremmo di tecnocrazia.
Altri autori, i cosiddetti teorici delle élite, certamente evocando Machiavelli, (come gli italiani Mosca e Pareto) pensano che non possa esistere organizzazione politica senza un classe politica o dirigente, cioè un gruppo di soggetti dominanti, anche se la forma dello Stato è democratica (in apparenza). Questi autori, però, a differenza di Marx, non si lamentano di questa circostanza, ma ritengono inevitabile e anzi proficuo che un gruppo limitato di individui esperti si assuma la responsabilità di “condurre il gioco”, per così dire.
Onestamente non saprei scegliere tra Smith e Marx, entrambi secondo me hanno ragione in alcuni punti e torto in altri. Tra i filosofi visti finora però apprezzo molto quello che ritiene Rawls ovvero meglio una società in cui ci sono i benestanti, le persone di ceto sociale medio e i meno abbienti rispetto a una in cui ci sono solo super-ricchi che vivono nel lusso sfrenato e super-poveri che stentano a sopravvivere senza una via di mezzo.
Cerca di rispondere alle domande con maggiore pertinenza. Rawls non era in questione. Sarebbe stato interessante che tu chiarissi per quali punti, secondo te, aveva ragione Smith e per quali Marx.
Ritengo più convincente l’idea marxiana di uno stato che finge ideologicamente di essere al di sopra dei conflitti di interessi. Questo perché il governo è a sua volta formato da individui, che siano un gruppo oppure da una sola persona, dunque questi avranno sicuramente degli interessi propri. In particolare nel caso di una repubblica anche Hegel concorda nel dire che i rappresentati dello stato siano deviati nei loro gesti dai propri interessi e più strettamente, essendo quasi sempre appartenenti al ceto più elevato della società, quelli dei ricchi che dominano il mercato. Nel caso di una monarchia Hegel si trova a proteggere la forma di governo ritenendo che un re che ha tutto non abbia bisogno di proseguire altri fini che quelli del popolo. Ora però pensiamo a un re che fa il massimo bene della popolazione povera, questo porterebbe a un processo di miglioramento interno dello stato, forse, però produrrebbe uno stato più lento nella sua evoluzione, poiché, dicendola in parole povere, aspettando che tutti arrivino allo stesso livello di benessere si otterrebbe un rallentamento generale dell’evoluzione, ossia le nuove tecnologie non sarebbero prodotte in modo così efficiente e lo stato a livello internazionale si troverebbe svantaggiato. Dunque in periodi di grandi rivoluzioni lo stato ha due possibilità rischiare la propria economia per rendere migliori le vite al suo interno oppure produrre il più possibile appoggiando il ceto ricco così da poter guadagnare di più. Inoltre appoggiando la classe dominante e arricchendo il proprio stato si otterrebbero più possibilità materiali di aiutare il proprio popolo attraverso strutture innovative che aiutino la loro vita. Dunque in un periodo di rivoluzioni uno stato appare compiere un’eterogenesi dei fini ad appoggiare la classe dominante. Inoltre appoggiare chi ha soldi in uno stato porta sempre guadagno allo stato stesso anche nel caso in cui non si rinvestino tali ricchezze.
La tua risposta sembrerebbe dare ragione più a Hegel che a Marx, non ti sembra? Accettiamo pure l’analisi di Marx (cioè che in una democrazia parlamentare chi governa tenda sempre a fare gli interessi dei più ricchi e non di tutto il popolo). Proprio per questo limite della democrazia (che Marx chiama “formale”, non sostanziale) potrebbe tornare buono il monarca di Hegel, che tu stessa evochi. Tu gli attribuisci una sorta di volontà filantropica a favore dei più poveri che, se intendo bene, in sostanza potrebbe portare al fallimento dello Stato. Ma che cosa vieta al monarca illuminato immaginario di operare esattamente nel senso che intendi tu? Il monarca potrebbe ragionare così: “Se favorisco troppo l’equità sociale deprimo l’economia e, nel lungo periodo, danneggio lo stesso popolo. Quindi che faccio? Sostengo apparentemente la classe economicamente dominante per favorire la produzione di ricchezza, ma, in un secondo tempo, cercherò di redistribuirla, pur sempre senza colpire troppo la classe produttiva”. Insomma l’ipotetico monarca potrebbe seguire la tua ricetta “liberista”, ma senza l’interesse di parte tipico della classe dominante, né quello opposto della classe dominata, essendo libero da interessi personali.
Risposta al secondo quesito:
Nel quesito da me scelto ho dovuto il dovere di scegliere quale tra le due concezioni di Adam Smith e di Karl Marx sia a parere mio la più convincente, e quindi ai miei occhi più applicabile alla realtà di quell’epoca e dei giorni nostri.
Secondo me, la visione di Karl Marx è quella più coerente e realistica in rapporto con la società per vari motivi:
– In primo luogo, anche se inizialmente la visione “positiva” ed equa di Adam Smith di come effettivamente operasse la legge di mercato mi aveva persuaso, ragionando sugli stessi esempi proposti da Marx l’intera mia convinzione è crollata.
Infatti, anche se a livello teorico il mercato sembrerebbe favorire tutti, tramite un perfetto equilibrio tra domanda e offerta, guadagno e perdita sia del venditore che dell’acquirente, tutto ciò regge come lo stesso Adam Smith spiega unicamente senza l’intervento di sovrastrutture, ossia di tramiti che non renderebbero il mercato più libero, che però sfortunatamente esistono.
– In secondo luogo, Adam Smith mette in luce una società dove effettivamente non c’è uno squilibrio così elevato, come in realtà c’è, tra coloro che detengono i mezzi e coloro che subiscono, ossia industriali e proletari, dove chi possiede i mezzi industriali non può non far dipendere gli altri da se, visto che la stessa economia interna dello stato dipende dall’attività economica in percentuale che produce.
Non a caso, la teoria del servo e del padrone perde di credibilità, perché il servo, anche se a livello teorico e dialettico, sembrerebbe far dipendere il padrone a se stesso, in realtà è lui stesso il vero dipendente
In conclusione, è sicuramente da sfatare una visione come quella di Adam Smith per il semplice fatto, che, partendo dall’esempio del servo de padrone e confrontandolo con la società dell’epoca, il mercato è volontariamente e anche parzialmente involontariamente manipolato dall’alta società, portando quest’ultimo a difendere principalmente i propri interessi anche per la reale presenza delle sovrastrutture come la chiesa, stato o anche la scuola, che non fanno altro che fagocitare questa ingiustizia.
Abbastanza chiaro e convincente, con alcune imperfezioni e punti oscuri.
Ad esempio, che significa “la stessa economia interna dello stato dipende dall’attività economica in percentuale che produce”?
Poi alludi alla dialettica servo-padrone senza spiegarla. Ricordatevi sempre che scrivete per un pubblico generico, non per il prof Giacometti. Questo vi aiuta a essere chiari. Bisognava ricordare brevemente il senso di questa dialettica e richiamare Hegel.
Rispondo al quesito numero 2.
Mi sembra più convincente la teoria di Marx rispetto a quella di Adam Smith, in quanto le teorie di Marx, a differenza di quelle di Smith, sono fondate su uno studio più approfondito della società.
Smith infatti ha una visione troppo ottimistica della società il cui sistema economico è manovrato da una mano invisibile che fa coincidere il pensiero del singolo con il pensiero di tutta la popolazione.
Marx invece studia la popolazione e le interazioni tra classi sociali ed elabora il “materialismo storico” che prende in considerazione, non l’uomo astratto (di Smith), bensì l’uomo concreto nella sua dimensione storico sociale.
E’ così dunque che Marx elabora un programma di azione rivoluzionaria formata dal proletariato, unito in una lotta comune per una società più giusta.
Questa rivoluzione dunque avrebbe dovuto creare una società senza classi andando così a creare una classe unica, più omogenea.
Ritengo perciò che la teoria di Marx sia molto più studiata e abbia alla base degli ideali di uguaglianza e di diritti del lavoratore molto più validi di quelli che si limitava ad esporre Smith nelle sue teorie.
Non ti ho già risposto? C’è un altro tuo post in giro…
Quesito 2
A mio parere la prospettiva di economia politica più convincente tra tutte quelle che abbiamo incontrato fino ad ora è quella di Adam Smith, fondatore della scienza economica attraverso il Saggio sulla ricchezza delle Nazioni. Egli infatti ritene che il sistema economico funzioni come una “mano invisibile” , ossia: quanto più un viene richiesto un bene tanto più il suo prezzo cresce, l’aumento del prezzo favorisce l’aumento dell’offerta quindi l’abbassamento del prezzo e alla fine, spontaneamente, il mercato rende disponibili a prezzi ragionevoli tutto ciò di cui c’è bisogno socialmente. Sono consapevole che questa sia una filosofia ottimista e che abbia anch’essa delle complicazioni ( non dovrebbero infatti esistere dazi doganali sul prodotto e forme di monopolio sulle materie prime ) però fra tutte è sicuramente la più attuabile e convincente.
Apprezzo la tua analisi, tuttavia ti ricordo che i limiti del liberismo puro “à la” Smith non solo soltanto quelli a cui alludi, ma anche altri, riconosciuti dai liberali stessi, prima ancora che da Marx. Cfr. la tesi di Malthus e Ricardo, ad esempio…
Si può affermare che la definizione di Stato di Hegel (cioè un’ entità al di sopra delle parti, fungente da mediatore tra le classi sociali) è ancora in uso oggi, almeno sulla carta, insieme all’idea che il rispetto delle sue leggi sia la strada più morale. E’ anche vero che, nella pratica, tutto ciò non viene sempre rispettato e molte volte gli Stati si sono trovati a favorire una o l’altra classe sociale (più spesso quella dominante, almeno prima dei movimenti operai): per tutto il Medioevo, per esempio, con la frammentazione dei Regni nei feudi e la divisione di potere tra gli aristocratici, anche se il Monarca (inteso come Stato personificato) poteva dare ordine di mediazione tra le classi sociali, la classe dominante era comunque in grado di sovrastare il popolo, rendendo quindi nullo qualsiasi tentativo di parificazione delle opportunità.
Nella concezione di Stato di Marx, trovo condivisibile fino ad un certo punto l’ideologizzazione dell’entità statale: uno stato democratico, per esempio, non è ideologizzato nella sua organizzazione, ma possono esserlo i partiti che una volta votati dal popolo dovrebbero svolgere il ruolo da mediatore, di fatto togliendo la colpa all’ente statale in sé in caso di una mancata riuscita dell’ipotetica mediazione tra le classi; preso nel suo contesto storico, però, trovo più convincente l’ipotesi di Marx perché quella di Hegel risulterebbe più difficile da realizzare e mantenere in termini di costi (aggiungendo anche il fattore errore umano): seguendo la legge dell’Entropia, creare disordine risulta più facile e meno dispendioso di creare ordine, quindi sarebbe plausibile che l’entità Statale, ideologizzata o meno, possa creare squilibrio tra le classi sociali più facilmente rispetto a mantenere l’equilibrio.
Credo che la tua risposta sia particolarmente brillante, ma non la intendo molto bene…
La maggior differenza tra i due filosofi sta nel fatto che il pensiero filosofico di Hegel, per quanto esso sia complesso e completo, non ha applicazioni concrete, mentre Marx, ha come scopo quello di creare una filosofia concreta che porti ad una sua applicazione per ottenere una successiva rivoluzione. Inoltre Marx critica Hegel anche sul rapporto tra società, famiglia e Stato. Secondo Hegel la famiglia e la società sono due momenti astratti che trovano la sintesi concreta nell Stato. Marx ribalta questa teoria giungendo alla conclusione che lo Stato è l’idea astratta, e la famiglia e la società sono i soggetti reali ed indispensabili per esso.
In conclusione sono più d’accordo con la concezione di uno Stato super partes di Hegel, ma preferisco la filosofia di Marx riguardo al fatto che serva un modo di pensare effettivamente attuabile.
Non è chiarissima la tua conclusione. Intendo che lo Stato hegeliano sarebbe uno Stato ideale, ma la prospettiva di Marx sarebbe più realistica. Eppure Hegel si sarebbe rivoltato a sentirsi dire che il suo Stato è un ideale. Come ricordi, per Hegel la filosofia non ha il compito di tratteggiare ideali, utopie, ma di comprendere l’esistente.
Lo stato rappresenta la riaffermazione dell’unità della famiglia, in una dimensione più alta e con un significato più complesso e articolato. Lo stato, che Hegel definisce anche come l’ingresso di Dio nel mondo, è la sintesi del principio della famiglia e della società civile, con lo sforzo di indirizzare i particolarismi verso il bene collettivo.
Hegel rifiuta la concezione liberale di stato, poiché ritiene che comporterebbe una confusione tra società civile e stato, riducendo lo stato a semplice tutore dei particolarismi della società civile. Allo stesso modo rifiuta la concezione democratica, osservando che se la sovranità risiede nel popolo non si va incontro se non a “confusi pensieri” in quanto il popolo al di fuori dello stato è solo una moltitudine informe.
Hegel ritiene che la sovranità dello stato derivi dallo stato medesimo, che ha in se stesso il proprio scopo e la propria ragion d’essere. Lo stato hegeliano è sovrano ma non dispotico ed ha la forma di uno “stato di diritto”, senza però essere uno stato liberal-democratico. E’ proprio questo punto a risultare ambiguo e controverso per i pensatori e i critici successivi.
Hegel poi identifica la costituzione con la monarchia costituzionale moderna, la quale prevede tre poteri: legislativo, governativo, principesco.
Fuori tema. Non ti si chiedeva di riassumere la filosofia politica di Hegel ma scegliere la prospettiva migliore sulla base di tuoi argomenti.
Risposta alla domanda numero 1.
Partendo dal presupposte che dal mio punto di vista nessuna delle due soluzioni sopracitate è quella opportuna, ritrovo quella di Hegel la più corretta e sensata. Secondo me infatti uno dei requisiti fondamentali di uno Stato è l’imparzialità senza favoreggiamenti a classi sociali piuttosto che ad altre (non solo in campo economico ma anche politico e sociale).
E come conseguire questo obiettivo? E’ possibile in una democrazia parlamentare come in una monarchia costituzionale, quale quella che aveva in mente Hegel?
Mi sembra più convincente la teoria di Marx rispetto a quella di Adam Smith, in quanto le teorie di Marx, a differenza di quelle di Smith, sono fondate su uno studio più approfondito della società.
Smith infatti ha una visione troppo ottimistica della società il cui sistema economico è manovrato da una mano invisibile che fa coincidere il pensiero del singolo con il pensiero di tutta la popolazione.
Marx invece studia la popolazione e le interazioni tra classi sociali ed elabora il “materialismo storico” che prende in considerazione, non l’uomo astratto (di Smith), bensì l’uomo concreto nella sua dimensione storico sociale.
E’ così dunque che Marx elabora un programma di azione rivoluzionaria formata dal proletariato, unito in una lotta comune per una società più giusta.
Questa rivoluzione dunque avrebbe dovuto creare una società senza classi andando così a creare una classe unica, più omogenea.
Ritengo perciò che la teoria di Marx sia molto più studiata e abbia alla base degli ideali di uguaglianza e di diritti del lavoratore molto più validi di quelli che si limitava ad esporre Smith nelle sue teorie.
Rilevi tratti effettivamente specifici della teoria di Marx.
In ogni caso non direi che il sistema economico secondo Smith “fa coincidere il pensiero del singolo con il pensiero di tutta la popolazione”, ma semmai “l’interesse del singolo” ecc.
Personalmente ritengo che la mediazione sia uno dei metodi migliori per mantenere la pace tra due parti in comflitto. Ma ritengo che sia più importante sostenere la classe dominante che sorregge la società sebbene sia in numero assai inferiore. Con questo non intendo dire che si debba dare privilegi solo a questi ma che si faccia in modo che il popolo e quindi la classe “inferiore” non si ribelli e si crei un conflitto maggiore.
Ma se tu appartenessi alla classe inferiore penseresti questo? E, in ogni caso, per sostenere la classe dominante, a tuo parere, è lecito servirsi di strumenti ideologici, come scuola, chiesa ecc., anche a condizione di diffondere, per questa via, dottrine ingannevoli?
In ogni caso non è chiaro a quale domanda rispondi.
La maggior differenza tra i due filosofi sta nel fatto che il pensiero filosofico di Hegel, per quanto esso sia complesso e completo, non ha applicazioni concrete, mentre Marx, ha come scopo quello di creare una filosofia concreta che porti ad una sua applicazione per ottenere una successiva rivoluzione. Inoltre Marx critica Hegel anche sul rapporto tra società, famiglia e Stato. Secondo Hegel la famiglia e la società sono due momenti astratti che trovano la sintesi concreta nell Stato. Marx ribalta questa teoria giungendo alla conclusione che lo Stato è l’idea astratta, e la famiglia e la società sono i soggetti reali ed indispensabili per esso.
In conclusione sono più d’accordo con la concezione di uno Stato super partes di Hegel, ma preferisco la filosofia di Marx riguardo al fatto che serva un modo di pensare effettivamente attuabile.
Insomma, non credi che sia davvero possibile uno Stato super partes?
Penso che la concezione di Hegel sia l’ideale e la teoria più equa e giusta in quanto non favorirebbe nessuna classe sociale.
Nonostante ciò ritengo più possibile l’attualizzazione dell’idea di Stato di Marx in quanto le sue riflessioni si basano su studi fondati e su basi concrete e anche perché i membri del governo, in quanto uomini, agirebbero nei loro interessi e quindi negli interessi della classe dominante a cui appartengono.
Non ti sembra tardi per svolgere l’esercizio?
Dal mio punto di vista entrambe le visioni sono troppo discostate dalla realtà e della natura umana e quindi irrealizzabili ma credo che la visione dei Hegel sia la più attuabile in quanto lo stato deve garantire l’imparzialità e l’eguaglianza nei confronti dei propri sudditi economicamente parlando
Non ti sembra un po’ tardi per rispondere? Non sei stato troppo sintetico? Che cosa devo pensare di te?
Mi sembra più convincente la concezione marxiana di uno Stato che finge “ideologicamente” di essere tale, ma, di fatto, sta sempre dalla parte della “classe dominante”, poiché effettivamente i maggiormente potenti sono in grado di flettere a proprio piacimento le leggi mentre i più deboli sono costretti a sottostare a chi detta loro la legge.
In effetti, secondo Marx, anche in una democrazia formale la classe dirigente può “flettere” a proprio vantaggio le leggi servendosi efficacamente dei media, come sorgenti di propaganda (ideologia).
Credo che il modello di economia di Smith sia più convincente di quello Marxista, infatti alcune considerazioni possono essere fatte anche in chiave contemporanea, dove la globalizzazione mette da anni a dura prova quanto costruito in passato provocando la necessità di imporre alcune regole della quale Smith si è fatto promotore, in modo che pur lasciando decidere all’imprenditore i mezzi con i quali è possibile sviluppare il proprio business si devono rispettare dei parametri di legge, e quindi lo Stato che funge da colui che regola, che tutelino i dipendenti in quanto, seguendo proprio le teorie dell’economista scozzese, un salario che non permette di condurre una vita più che dignitosa va a ledere quelle che sono le libertà, ma anche i diritti di ogni singolo lavoratore nonché il ritardo dello sviluppo come precedentemente esaminato.
Per questo considero le idee di Smith più adattabili ai nostri tempi e quindi più convincenti.
Non mi sembra che Smith mettesse l’accento sulla necessità di un “salario che” permetta “di condurre una vita più che dignitosa”. All’opposto egli affida le “dinamiche salariali” al libero mercato, come tutto il resto. E’ vero che Smith assegna allo Stato funzione di “regolazione”, ma solo in senso molto lato (predica, infatti, il non intervento economico della “mano pubblica”). Non hai forse confuso Smith con altro autore?