Adesso che ciascuno di voi dovrebbe essersi pronunciato sulla fenomenologia vi chiedo, dopo aver concluso lo studio dell’unità didattica sulla “filosofia continentale” approfondendo l’approccio ermeneutico di Heidegger e di Gadamer, di valutare quale dei due vi sembra migliore.
N.B. Poiché dovresti avere già risposto al quesito su Husserl qui puoi omettere di richiamare analiticamente la fenomenologia ma concentrarti ad argomentare la tua preferenza per l’uno o per l’altro approccio.
L’ermeneutica teorizzata da Heidegger e da Gadamer parte da una base fenomenologica ma si distacca e ne confuta alcuni aspetti. I filosofi ermeneutici ritengono infatti che fare epoché non permette di cogliere pienamente l’essere in quanto gli oggetti di conoscenza hanno un senso solamente in base all’utilizzo che ne facciamo.
Heidegger indaga il senso dell’Esserci e lo definisce come un insieme di possibilità, le quali possono portare ad un esistenza autentica o inautentica. Teorizza anche il “circolo ermeneutico” cioè la comprensione di un ente che parte da una precomprensione già esistente.
Gadamer, partendo dal “circolo ermeneutico” di Heidegger, indaga sulla comprensione degli enti cercando di riabilitare le definizioni di pregiudizi, autorità e tradizioni. Secondo Gadamer, visto che siamo coscienti della determinazione storica, cioè siamo consapevoli che la nostra esistenza è esposta agli effetti degli avvenimenti storici, noi umani non possiamo essere pienamenre neutrali di fronte alla storia e non la possiamo conoscere completamente.
Alla luce della teoria ermeneutica di Heidegger e Gadamer, ritengo che la critica che questi ultimi fanno ai filosofi fenomenologi sia fondata e ben argomentata. Infatti, nella risposta precedente avevo accennato alla difficoltà nell’attuare il procedimento dell’epoché di Husserl. Inoltre ritengo che, come sostiene Gadamer, non possiamo essere pienamenre neutrali di fronte alla storia e non la possiamo conoscere completamente in quanto, vivendola in prima persona, il nostro giudizio sarà sempre permeato dell’esperienza vissuta e della conoscenza che abbiamo acquisito nella nostra vita.
Ottima analisi e pregevole approfondimento autocritico. Forse, però, non era necessario riferire nel dettaglio i diversi aspetti dell’approccio ermeneutico, specie quelli non utili ai fini della risposta al quesito.
L’ermeneutica di Heidegger, in quanto “figlia” delle fenomenologia di Husserl, condivide con essa il presupposto secondo cui le cose hanno significato a partire dalla nostra coscienza.
Tuttavia, Heidegger si discosta dal suo maestro nel rilevare l’inefficacia dell’epochè poiché considera gli oggetti come delle presenze immobili, trascurando il significato che assumono in base all’uso e al modo in cui ci relazioniamo con essi: non è quindi possibile separare il soggetto dal mondo, proprio perché con “essere” s’intende un modo di essere al mondo. Riducendo il soggetto a pura coscienza e “decontestualizzandolo”, l’epoché non permetterebbe di cogliere le essenze dal quale invece si allontanerebbe.
Reputo l’approccio ermeneutico migliore soprattutto perché, a differenza di quello fenomenologico, coglie ed è consapevole del limite per il quale l’uomo è condizionato da una storia e un vissuto dal quale non può separarsi e che influenza la sua interpretazione della realtà: come sottolinea Gadamer, è impossibile giungere a delle essenze universali in quanto queste assumono un significato diverso a seconda della nostra storia.
Più che aspirare a una forma di conoscenza oggettiva delle cose e della realtà dovremmo quindi interrogarci sul senso dell’esistenza tramite un’indagine storica e un approccio “autentico” che ci predispone a una continua reinterpretazione e rivalutazione dei nostri pregiudizi col fine di avvicinarci alla verità (senza mai poterla raggiungere a causa del limite che il vissuto ci pone), in un processo conoscitivo detto “circolo ermeneutico”.
Ottima risposta. E’ un esempio di quello che intendo per discussione critica. Mentre necessariamente esponi l’approccio ermeneutico sottolinei il suo valore (non ti limiti a riassumerlo) in confronto con quello fenomenologico. Usi talvolta perfino il condizionale quando riporti la teoria di Heidegger (“l’epoché non permetterebbe ecc”, sottinteso: secondo Heidegger). Poi ti assumi le tue responsabilità: “Reputo l’approccio ermeneutico migliore perché ecc.” argomentando le ragioni della tua preferenza. Fai tuoi i ragionamenti di Heidegger e Gadamer (ma nondimeno li riferisci). Concludi con una sorta di appello al lettore, che coinvolgi nella discussione, o all’uomo in generale, con una prima persona plurale: “dovremmo quindi interrogarci ecc.”.
Nonostante nella mia scorsa risposta mi sono proposto tutto sommato come un sostenitore della filosofia fenomenologica, approfondendo l’unità didattica riservata all’ermeneutica, ho avuto modo di cogliere alcuni aspetti di critica alla prima. Tutto ciò alla fine mi ha fatto avvicinare alla visione della filosofia ermeneutica. Ma per quali motivi? Secondo la filosofia ermeneutica, i secoli in passato in cui è stata praticata la filosofia non hanno fatto altro che aiutare ad oscurare il quesito più importante a cui bisognava dare risposta, ossia “quale sia il senso dell’essere, della vita?”. Infatti, in passato si è sempre ritenuto di maggior importanza interrogarci sul conoscere le cose, facendone scienza, senza però porci la domanda a monte di tutto ciò. Però, dare una risposta a questa domanda risulta essere impossibile, e davanti a tale idifficoltà, Heidegger si concentrò sul senso non tanto della vita in sé, quando dell’esserci, ossia dell’uomo non quanto soggetto (che impone l’esistenza di un oggetto), ma in quanto qualcosa che c’è (cosciente di sé). Riguardo a ciò, Heidegger sostiene che l’esserci si presenta in due aspetti diversi, autentico e inautentico, sulla base del modo in cui il singolo da senso alla vita a il significato che lui stesso vuole dargli e quindi la sua mentalità di approccio ad essa. L’esserci autentico, a differenza dell’inautentico, da un valore originale ad ogni cosa indipendentemente dal significato che tutti gli altri danno alle cose, e, pienamente coscienti della limitatezza della vita, la affrontano in maniera risulta e coscienziosa senza esserne sottomesso. Da questo punto di vista, mi trovo d’accordo con la visione di Heidegger, poiché esistono vari significati a cui uno può dare un significato al suo vissuto e al suo esserci, decidendo o meno di seguire o no il gregge. In secondo luogo, sostengo pienamente l’opinione di Heidegger e Gadamer sull’impossibilità di staccarsi dai giudizi. Infatti, nel momento in cui veniamo a conoscenza di qualcosa è impensabile pensare che ciò che ho letto sia staccato da pregiudizi e che io stesso lo sia. Infatti, la nostra cultura e la nostra stessa formazione fin da bambini, per quanto una persona possa pensare e provare a renderla imparziale e priva di giudizi, non lo sarà mai totalmente e ciò involontariamente avrà un effetto anche sul nostro giudizio. Sembra quindi impossibile sospendere il giudizio a tutto ciò che abbiamo studiato del vissuto, poiché anche se ci paresse tale, comunque continuerebbe a essere immerso nei giudizi, poiché siamo figli della nostra epoca e cultura. L’essere è nel tempo e il suo senso lo posso solo intuire e interpretare. Per esempio, l’immagine che un individuo si crea di qualcosa sarà sempre leggermente differente da quella altrui, e anche se le modellassimo tutte per sembrare uguali secondo un criterio, nulla ci esclude che tale criterio sia anch’esso impregnato di giudizio. Inoltre, le parole cambiando significato in base alle successive e così all’infinito, rendendoci impossibile coglierle singolarmente. Sebbene tutto ciò, non condivido pienamente la visione ermeneutica secondo cui ciò che contraddistingue l’uomo in quanto tale non sia tanto la coscienza quanto “il prendersi cura di sé, degli altri e delle cose”, o meglio: condivido che sia un aspetto caratteristiche che contraddistingue l’uomo, ma anche la coscienza gioca un ruolo identificativo importante.
La risposta è ben documentata e convincente. Tuttavia, dal punto di vista retorico e della piena soddisfazione del quesito avresti forse dovuto “girarla”. Mi spiego. Invece di scrivere: Heidegger dice così e così e così e io sono d’accordo per queste ragioni, avresti potuto e, forse, dovuto scrivere: a ben pensarci chi può prescindere dai propri pregiudizi? è proprio vero che le cose sono semplici oggetti? ecc. ecc. tutti questi sono i limiti dell’approccio di Husserl, come sostiene Heidegger, con cui dunque concordo. In altre parole, come vi consiglio spesso, quando siete d’accordo con un autore, potreste fare vostro il suo ragionamento, con qualche accorgimento (magari in forma di domande retoriche o con qualche “forse” in mezzo per non sembrare voi stessi gli autori dell’intero ragionamento), quindi aggiungere un “come dice x” e concludere con un “con cui mi trovo, dunque, d’accordo”. Nella versione attuale della tua risposta a un certo punto il lettore si dimentica la questione centrale su chi abbia ragione tra Husserl e Heidegger e viene invitato a leggersi una riassunto della filosofia di Heidegger, di cui, però, si perde di vista la funzione.
Un esempio di quello che intendo come “piena soddìsfazione del quesito” (anche se con il limite, forse, di una sintesi eccessiva, che, certamente, non si può imputare viceversa a te) lo ha offerto Chiara Cernoia. Leggi la sua risposta e anche il mio commento ad essa. Senz’altro Chiara ha scritto molte meno cose di te. Una risposta ricca come la tua (rispetto a quella di Chiara), ma scritta con lo stile di quella di Chiara sarebbe stata davvero eccellente.
A mio parere, l’approccio ermeneutico migliore è quello sostenuto da Heidegger poiché condivido la sua idea che per raggiungere una condizione di vita autentica si debba partire dalla condizione umana concreta e reale con i pregiudizi e i condizionamenti che comporta e non dalle epochè, tutti noi siamo diversi e sottoposti a tradizioni e culture diverse che definiscono la nostra precompressione del mondo.
Condivido inoltre quando sostiene che la concezione dell’essere non possa essere spiegata attraverso l’utilizzo della lingua e che solo l’arte riesca ad avvicinarsi alla spiegazione di quest’ultimo, in alcuni brevi momenti di interpretazione soggettiva di essa.
Infine, sono d’accordo con Heidegger anche nel suo aspetto nichilista in quanto non penso che l’uomo riuscirà mai a concepire l’essere stesso ma solo alcuni tratti di esso.
La tua posizione è chiara. Non mescolerei però alla questione ermeneutica la questione esistenziale, relativa alla distinzione tra vita autentica e inautentica (forse non sono stato abbastanza chiaro nella mia videolezione e prendo a pretesto la tua risposta per un chiarimento). La critica all’epoché si basa sulla messa in luce dell’irriducibilità della nostra “precomprensione” (dei nostri pregiudizi) e porta all’attivazione del circolo ermeneutico. La distinzione tra vita autentica e inautentica è concettualmente “secondaria”, anche se, seguendo Heidegger, ne ho parlato subito. Entrambe le forme di vita escludono l’epoché.
Dal momento che Heidegger introduce il concetto di circolo ermeneutico per criticare l’epoque di Husserl e che Gadamer se ne serve come strumento fondamentale delle scienze umane, a mio parere mi sembra migliore l’approccio di Gadamer poichè, pur avendo una base già solida da cui partire, mi sembra sviluppare al meglio il suo concetto. Indubbiamente Heidegger cambiò la visione degli oggetti trasformandola a utensili, ma soprattutto introdusse quella componente importante “interpretativa” che fino a Husserl non era ancora presente, tuttavia successivamente si soffermò molto nel confutare e screditare le idee opposte alla sua senza fondamentalmente spiegare al meglio le sue teorie come fece Gadamer. Gadamer, abbandonando la dimensione esistenzialistica di Heidegger (essere autentico inautentico) ed evitando la polemica sulla visione delle cose non come oggetti ma come utensili (oblio essere), affermò che la vita è interpretazione (Nietzsche) ovvero noi non conosciamo niente ma attiviamo un circolo ermeneutico su tutta la realtà. Questa interpretazione, tuttavia, non porta alla comprensione dell’oggetto finale poichè siamo sempre davanti a interpretazioni e quindi se ad esempio leggiamo un libro dove viene scritto “noi interpretiamo un quadro” attraverso i nostri preconcetti intendiamo il quadro come un oggetto di arredamento tuttavia se continuassimo a leggere troveremmo “noi interpretiamo un quadro storico in modi diversi”. In questo caso la parola “quadro”, che prima avevamo interpretato come oggetto d’arredamento, adesso identifica una momento storico e quindi abbiamo mutato i nostri preconcetti iniziali. Andando avanti nella lettura mi presentano molte caratteristiche del quadro storico così ognuno inizia a immaginarlo sempre più uguali.
Più leggo e mi documento più mi avvicino a una comprensione della verità del testo comune a tutti quelli che leggono il testo tuttavia per quanto noi leggiamo il testo non usciamo mai dal circolo dell’interpretazione e quindi ci saranno comunque alcune cose diverse nel nostro pensiero che ci porteranno ad avvicinarci ad una realtà pur sempre irraggiungibile.
Hai colto gli aspetti fondamentali dell’approccio ermeneutico. Si perde, tuttavia, la tua riflessione in materia. Inoltre il confronto da fare non era tanto tra Heidegger e Gadamer, quanto tra loro e Husserl.
Preferisco l’approccio ermeneutico di Gadamer perchè Heidegger sostiene che il linguaggio è la casa dell’essere, non solo un’identità, Gadamer invece dice espressamente che l’essere è il linguaggio, c’è quindi identità. La posizione di Gadamer è diversa da Heidegger anche se è suo debitore per quanto riguarda la sua filosofia. Gadamer dimostra che essere è linguaggio, o meglio che tutto ciò che noi possiamo comprendere dell’essere è linguaggio. Per Gadamer questa verità ermeneutica coincide col linguaggio. Il dialogo dato che c’è una ripresa dell’interpretazione dialogica platonica, e la poesia perché (come per Heidegger) non ha carattere denotativo, non serve a nulla, non comunica alcun oggetto, non è presenza ma assenza, permette di cogliere il senso. In questo modo poesia e dialogo sono strutture ermeneutiche, devono quindi essere interpretate: non esiste parola che non debba essere interpretata, noi siamo dei decodificatori che devono decodificare i vari linguaggi.
Quindi le due caratteristiche fondamentali sono che nel linguaggio si esprime l’ontologia ed ha carattere speculativo, per cui l’interpretazione ci permette di avere senso come totalità, le cose non hanno senso se non perché noi ne abbiamo colto la loro proprietà più nascosta (ovvero il loro senso di essere e modo di esistere).
Potrei riscrivere quello che ho appena scritto ad Anna. Leggiti dunque la mia replica a lei che in sostanza vale anche per te.
L’ermeneutica di Heidegger le cose hanno significato a partire dalla nostra coscienza.
Heidegger si discosta dal suo maestro perchè per esempio, considera gli oggetti come delle presenze immobili e trascura il significato che asumono in base agli usi.
L’approccio ermeneutico è il migliore infatti è consapevole del limite secondo il quale l’uomo è condizionato dal suo passato e dalle sue esperienze. Impossibile quindi distaccarsi da ciò.
*con
Molto, troppo sintetico. Se scrivi: “Heidegger si discosta dal suo maestro perchè per esempio, considera gli oggetti ecc.” sembra che a considerare gli oggetti ecc. sia Heidegger, mentre dal contesto si capisce che è Husserl. Dovevi scrivere “quest’ultimo”.
Secondo me l’approccio di Heidegger rappresenta la migliore interpretazione del pensiero ermeneutico. Sono d’accordo infatti con esso, nel momento in cui sostiene che sia fondamentale partire da una condizione di vita concreta e reale, ben distante dalle epoché, per poterne raggiungerne una autentica. Infatti tutti noi siamo differenti e legati a culture e stili di vita diversi, che inevitabilmente influenzano la nostra visione del mondo.
Sono d’accordo anche con il suo sostenere una concezione dell’essere non decifrabile con il solo uso del linguaggio, ma soprattutto attraverso l’arte, la cui interpretazione può portare alla spiegazione, appunto, dell’essere.
Anche l’ideale nichilista di Heidegger può trovarsi in linea con i miei pensieri, perché secondo me difficilmente l’essere umano potrà capire completamente sé stesso.
Ecco, finalmente una risposta più personale, che, sebbene un po’ sintetica, soddisfa adeguatamente il quesito, che non chiedeva di riassumere, ma di valutare.
A mio parere l’approccio ermeneutico di Heidegger e di Gadamer è migliore rispetto a quello fenomenologico.
Concordo infatti con l’idea che sia impossibile liberarsi completamente dei propri pregiudizi, cosa che invece Husserl introduce nella sua metodologia tramite il concetto di epochè. Piuttosto, come sostiene Gadamer, credo che sia più “realistico” il circolo ermeneutico, ovvero un processo, teorizzato inizialmente da Heidegger, che consiste nella continua correzione dei nostri pregiudizi grazie al quale possiamo avvicinarci alla realtà, ma senza mai raggiungerla in quanto tutto si tratta pur sempre di interpretazioni.
Inoltre concordo con la distinzione di Heidegger tra vita inautentica e autentica.
Soprattutto in una società così sviluppata come la nostra, viviamo una vita inautentica nella quale facciamo ciò che comunemente ci si aspetta senza mai chiederci il perchè e, solo quando ci rendiamo conto che le nostre azioni non avranno più conseguenze poichè andiamo in contro alla morte e lo accettiamo, iniziamo finalmente una vita autentica.
Buona e argomentata (anche se lievemente tardiva) risposta. Elisabetta, più in generale, ti vedo cresciuta e maturata “filosoficamente”. Peccato non averlo potuto verificare in presenza e non poterti seguire anche all’esame di Stato.
L’ermeneutica rivoluziona il modo di vedere l’oggetto sottolineando che questo non è semplicemente volto alla conoscenza umana, ma ha un suo uso che essendo intrinseco nella natura di questo ci impedisce di fare epochè nei suoi confronti. L’uomo rimarrà sempre il soggetto osservante e non potrà liberarsi da tutti i suoi pregiudizi guardando un oggetto, ma si potrà gradualmente, attraverso quello che è chiamato ciclo ermeneutico, reinterpretare queste sue credenze gradualmente ottenendo sempre più una visione corretta di questa, ma mai completamente esaustiva e libera dalla propria storia.
La realtà dell’oggetto esiste, è quella che Kant chiamava cosa in sé, però questa è un concetto limite e l’uomo può accedere a quello che era chiamato fenomeno, ossia un’immagine mentale costruita tramite le nostre percezioni che sono influenzate dalla nostra storia personale. L’ermeneutica appare essere simile alla teoria di Kant, rende impossibile scindere l’esperienza del soggetto dall’oggetto e offre una visione più completa del mondo perché non si limita innocentemente a pensare che questo possa essere raggiunto attraverso le uniche percezioni.
Inoltre la preferisco anche perché ritrovo il concetto nichilisti de “la vita è interpretazione” anche se in questo caso si sottolinea l’idea che si possa raggiungere un’idea comune di realtà approfondendo la nostra ricerca in un determinato campo.
Forse un limite dell’ermeneutica rispetto p.e. alla concezione di Nietzsche è che essa concede troppo alla storia e alla cultura di un’epoca, introducendo un certo “conformismo” culturale, come se fossimo tutti prigionieri di una precomprensione culturale da cui nessuno, individualmente, può fuggire. E’ vero che Heidegger distingue tra vita autentica e inautentica (la prima potrebbe essere associata al superuomo di Nietzsche), ma è sufficiente? Non ci può essere chi rompe gli schemi o magari, misticamente, attraverso qualche forma di meditazione, attinge veramente le essenze, come pensava Husserl?
A me pare migliore l’ermeneutica per i seguenti motivi. Innanzitutto non credo si possa fare epoché (fenomenologica), ovvero sospendere il proprio giudizio sul mondo per tornare alle cose stesse, e osservare i fenomeni per come li viviamo, avendo un’intuizione della loro essenza. Siamo sempre e comunque preda di un certo senso comune che anche se non lo vogliamo ci condiziona almeno in parte. Da questa “precomprensione” possiamo, invece, partire, cercando connotazioni diverse di un oggetto a seconda del contesto in cui è posto. Non potrò mai conoscere la verità, ma sarò in grado di dare un’interpretazione della mia esperienza, che sarà sempre più vicina a essa ogni volta che ripercorro il circolo ermeneutico. Quando mi interrogo sul senso di qualcosa è importante osservare le risposte che sono state date a riguardo, poiché esse sono utili per capire anche noi stessi dato che ci influenzano culturalmente.
Sintetica ma chiara.
A mio avviso è più convincente l’approccio ermeneutico di Heidegger il quale è stretto discendente dell’approccio fenomenologico di Husserl. Anche secondo Heidegger, infatti, noi soggetto siamo inseparabili dall’oggetto; tuttavia, il suo approccio si discosta dal maestro Husserl in quanto secondo Heidegger l’epochè non è sufficiente: vi si introdurrà sempre una parte soggettiva nello studio e nella comprensione.
Ecco, dunque, che secondo Heidegger non ha più senso discostarci da noi stessi; bensì ha più senso ESSERCI e vivere autenticamente. Poiché se si facesse epochè del proprio essere ci si discosterebbe dalla realtà. Ecco, dunque, che nella vita vince il così detto Carpe diem: vince dunque chi non si lascia vincere dalle convenzioni sociali e dà un significato irripetibile a sé stesso, non facendosi utilizzare dagli altri.
L’essere, dunque, risulta essere un’essenza intrinseca all’uomo, la quale è incomprensibile e irraggiungibile, nemmeno attraverso l’epochè. Tale essenza, tuttavia, può essere colta piuttosto nell’arte e nella poesia: uniche essenze in cui si può scorgere la vera e più pura essenza.
Come ho scritto anche a Viola, bisogna evitare, nel discutere una filosofia, di cadere nella semplice restituzione della filosofia stessa con l’aggiunta o la premessa “Sono d’accordo”.
Trovo che la filosofia ermeneutica sia più convincente rispetto alla fenomenologia in quanto, come sostiene Heidegger, non trovo che sia possibile fare epoché, ovvero guardare un oggetto come se fosse nuovo senza fare riferimento e confrontarlo con la nostra esperienza passata.
Infatti concordo sia sul fatto che l’oggetto venga prima di tutto considerato in base alla sua funzione e visto quindi come un utensile, sia con la teoria di Heidegger secondo la quale i pregiudizi che abbiamo nel guardare un oggetto possono essere corretti tramite l’esperienza, senza però arrivare ad una verità oggettiva.
A questo proposito si può anche fare riferimento al circolo ermeneutico di Gadamer, maggiore esponente della filosofia ermeneutica che, oltre a condividere la critica alle epochè di Heidegger, sosteneva che la vita fosse interpretazione e che gli oggetti assumano significato in basa all’interpretazione che noi gli diamo.
Il circolo ermeneutico di Gadamer consiste nell’andare da concetti più generali a concetti sempre più specifici avvicinandosi sempre di più ad una realtà comune ma mai alla realtà oggettiva.
D’accordo, hai studiato queste cose. Ma sostenere una prospettiva filosofica (sono anni che cerco di spiegarvelo!) non significa esporla e poi aggiungere “sono d’accordo”, ma argomentare perché lo si sia (magari facendo esempi tratti dalla propria esperienza personale o sottolineando i vantaggi di un approccio rispetto a un altro).
A che domada dovrebbe rispondere la Filosofia? Quale dovrebbe essere il suo posto nella società odierna? La risposta a questi due quesiti è tutt’altro che scontata, soprattutto se si cerca di rispondere mettendo in confronto i movimenti filosofici più diffusi nel mondo degli studiosi (se non si tiene conto delle religioni) odierni.
La fenomenolgia, in particolare, fonda il suo pensiero (che come abbiamo visto presente delle lacune) nella ricerca della vera essenza degli enti con cui ci interfacciamo nelle vita, rispondendo insomma alla domanda del “Che cosa è?” un oggetto, cercando una conoscenza prescentifica del mondo.
L’ermeneoutologia, invece, partendo dal presupposto che il modo reale con cui ci rapportiamo con gli enti è di tipo strumentale piuttosto che conoscitivo, sposta il suo pensiero nei confronti del senso di ogni ente piuttoste che verso l’essenza di esso: ripondendo alla domanda “Quale è il reale senso di ciò?”, che secondo Heidegger trova risposta nel nostro passato (parte della teoria molto discutibile dal mio punto di vista).
In questa chiave di lettura ripongo la mia prefenza nell’ermeneutologia, infatti tale filosofia risponde alle domande che io stesso, prima di iniziare lo studio scolastico della materia, pensavo che la filosofia fosse portata a rispondere, con particolare riferimento alle domande universali su cui spesso siamo indotti a pensare quali il senso della vita, il senso dell’universo e il senso della partecipazione sociale.
A mio avviso l’ermeneutica risulta essere più convincente rispetto alla fenomenologia. Difatti non credo che per conoscere la vera essenza di un oggetto dobbiamo decontestualizzarlo, e quindi trascurare il significato che assume in base all’uso e al modo con cui ci relazioniamo con esso. Casomai è l’inverso. Basti pensare ad un banale oggetto come potrebbe essere un bicchiere oppure una penna od un foglio: se dovessi fare epochè, prediamo come esempio il bicchiere, esso mi sembrerebbe semplicemente un oggetto di vetro, magari colorato, ma non riuscirei mai a capire la sua vera funzione se non mi facessi influenzare dalla mia personale esperienza avuta nel passato con quel determinato oggetto.
Inoltre, reputo migliore l’apporoccio ermeneutico in quanto è consapevole del limite dell’uomo secondo il quale è condizionato da un vissuto dal quale non è possibile separarsi e questo influenza l’interpretazione della realtà.
Credo che l’approccio Ermeneutico sia più convincente di quello fenomenologico.
Infatti considero più verosimile il meccanismo di conoscenza tramite il circolo ermeneutico rispetto all’ Epoché di Hussler: la completa liberazione dai pregiudizi è da considerare impossibile perché, oltre ad essere creati dall’esperienza del vissuto, alcuni di essi sono impliciti all’interno della mente umana, sviluppati durante il processo evolutivo e alimentati dall’istinto di conservazione (quindi di connotazione irrazionale e legati all’inconscio, es. paura dell’ignoto, diffidenza verso il cambiamento…) ; qualsiasi tentativo di “Epoché assoluta” si scontrerebbe, quindi, con gli stessi meccanismi di pensiero che ci permettono di formulare frasi e dare “senso” al mondo che ci circonda. Da qui, si può dire che la proposta di “limare gli effetti dei pregiudizi” offerta dall’ ermeneutica, la quale porta ad un progressivo miglioramento del grado di interpretazione dell’oggetto in questione da parte della coscienza, risulti un metodo più efficace nell’indagare la realtà, con l’ulteriore vantaggio di avere ben presente i limiti della conoscenza umana e i fattori di pre-comprensione che possono influenzare le nostre idee ( al fine di cercare una risposta più distaccata ed oggettiva possibile alla domanda iniziale.).