Ciò che nel Medioevo non era mai riuscito, il trionfo di un movimento ereticale, di rottura rispetto alla Chiesa romana (ripetutamente, ma invano, accusata di corruzione e di tradire il “vangelo dei poveri”), riuscì agli albori dell’età moderna a quel complesso di movimenti religiosi che vanno sotto il nome di Riforma protestante, che spezzarono l’unità della Chiesa in occidente (dopo che nel 1054, preparato da lunghi secoli, si era consumato lo scisma d’Oriente tra la Chiesa romana e quella “bizantina”).
Protagonista della Riforma fu Martin Lutero, monaco agostiniano che, secondo i biografi e secondo quanto lui stesso racconta, aveva ricevuto una sorta di illuminazione durante una cavalcata (episodio che ricorda in modo sospetto quanto accaduto a San Paolo, autore tanto ammirato e studiato da Lutero, quando cadde da cavallo, incontrò Cristo e si convertì) che lo fece convertire a una forma di pratica religiosa monastica. Entrò, infatti, nell’Ordine degli Agostiniani. Meditando sulla Bibbia ma soprattutto a partire dalla propria personale esperienza religiosa, un’esperienza di grande frustrazione e di grande inadeguatezza personale a compiere il bene, maturò una serie di intuizioni che espose nelle celebri 95 tesi che furono divulgate nell’inverno del 1517 e che la leggenda vuole che fossero state affisse alla portale del Duomo di Wittenberg.
A questo punto dobbiamo chiederci
- che cosa si proponeva Lutero, quali erano le esigenze che la sua personale esperienza gli faceva porre al papa (perché Lutero si rivolse originariamente proprio al papa)
- e poi perché la risposta alle esigenze poste la Lutero fu così calorosa nella sua terra natale in Germania, ma anche accolta con grande fervore in molte parti d’Europa compresi in alcuni settori della cultura italiana e francese innescando un processo che con Calvino, secondo grande riformatore che pubblicò nel 1536 la Istituzione della religione cristiana un altro grande testo fondamentale, portò alla rottura dell’unità religiosa dell’Occidente cristiano.
Come fu possibile, in altre parole, che nel ‘500 si realizzasse qualcosa che nei secoli precedenti non si riuscì a realizzare nonostante che vi fossero numerosi movimenti ereticali?
Ricordiamo i movimenti pauperistici dei primi secoli del basso medioevo, i Patari di Milano, i movimenti ereticali dei Catari tra il XII e il XIII secolo, destinatari di una durissima repressione da parte della Chiesa di Innocenzo III (la crociata contro gli Albigesi), ricordiamo la predicazione dei dolciniani e dei francescani spirituali giudicati eretici dalla Chiesa nel Duecento (quindi siamo già nel XIII secolo) per poi arrivare a fine ‘300 alla predicazione di Wyclif in Inghilterra (negli anni ’80 del Trecento) e, nel Quattrocento, alla predicazione di Giovanni Hus in Boemia (nei primi decenni del XV secolo).
Perché tutti questi movimenti e specialmente gli ultimi due, che avevano molti punti in comune il punto di vista teologico e dottrinario con Lutero, non ebbero successo e come mai invece Lutero e Calvino conseguirono grandi risultati?
Ciò fu reso possibile probabilmente
- da un lato dall’estrema “corruzione” a cui era effettivamente giunta la Chiesa, dopo la cattività avignonese (XIV sec.) e il “vergognoso” scisma di Occidente (quando si giunse a contare contemporaneamente fino a tre papi in lotta tra loro, all’inizio del XV sec.), almeno in una certa prospettiva (ciò che agli occhi di un uomo del Rinascimento poteva apparire raffinato gusto per l’arte e libertà di costumi, agli occhi di un uomo di fede, magari proveniente d’Oltralpe, non sembrava che una peccaminosa inclinazione neo-pagana per il lusso e i piaceri terreni);
- dall’altro lato e soprattutto dall’interessato appoggio politico che in diversi Paesi il movimento riformatore ricevette da parte di principi e sovrani desiderosi di sottrarsi definitivamente all’influenza “romana”, incamerando i beni ecclesiastici e bloccando per sempre l’emorragia di ricchezze connessa al versamento dei tributi dovuti al papa, a cominciare dalla famigerata vendita delle indulgenze.
Il movimento riformatore, almeno nei suoi massimi esponenti, si distinse dai precedenti movimenti ereticali medioevali, generalmente di tipo “pauperistico” (con l’eccezione del movimento neo-gnostico dei catari dei primi del XIII sec.), per una serie di “innovazioni” teologiche peculiari (in parte anticipate solo dai movimenti inaugurati da Wycliff e Hus), che si trovavano già tutte in Lutero e che vennero riprese a approfondite da Calvino, quali le seguenti dottrine:
- libero esame della Sacra Scrittura (di fatto una lettura prevalentemente letterale, soprattutto dal Vangelo) come esclusiva fonte dottrinale (sola scriptura)
da cui conseguono (nella lettura di Lutero e Calvino):
- salvezza o giustificazione per sola fede (sola fide) e non tramite le opere (di misericordia o di penitenza)
- totale gratuità di tale giustificazione immeritata (sola gratia), come insegnava Agostino (contro Pelagio e la filosofia pagana)
- adorazione del solo Cristo (solus Christus), piuttosto che della Vergine e dei Santi
- sacerdozio universale (sicché tutto si gioca nel rapporto diretto tra ciascun cristiano e Dio, senza alcuna mediazione da parte di gerarchie ecclesiastiche, cui – fin dalle originare 95 tesi pubblicate da Lutero nel 1517 – è negato qualsivoglia potere di rimettere colpe o pene e che devono essere sottoposte alla potestas civile)
- riduzione dei sacramenti fondamentalmente al battesimo e all’eucaristia (concepita come luogo della “consustanziazione” – cioè coesistenza – del corpo e del sangue di Cristo con il pane e il vino, in Lutero, o come mero ricordo dell’unico, originario sacrifico di Cristo, in Zwingli e Calvino, mentre la dottrina cattolica la considerava e la considera tutt’ora luogo della “transustanziazione” – cioè totale trasformazione – del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Cristo)
Calvino accentua una dottrina, già presente in Lutero e connessa a quella della grazia: la dottrina della predestinazione di coloro che saranno salvati (e della predestinazione di coloro che saranno dannati).
Il che implica la negazione del libero arbitrio (su cui insiste soprattutto Lutero), inteso non come libertà di indifferenza (di scegliere se p.e. andare a destra o a sinistra), facoltà ammessa (come argomenta Melantone), ma come libertà di scegliere tra bene e male (siamo condannati a fare il male, a causa del peccato originale, se la grazia di Dio non ci soccorre).
Melantone, l’amico e seguace di Lutero, in modo molto efficace argomenta come non sia possibile costringere (con la mera volontà) il proprio “cuore” a seguire i comandamenti di Dio (o della ragione filosofica), se si è preda delle passioni, a meno che non soccorrano altre passioni contrarie o, appunto, la grazia di Dio.
Puoi approfondire questi temi per quanto riguarda il luteranesimo su questa antologia degli scritti fondamentali del padre della riforma e del suo principale seguace.
Calvino, dal canto suo, mette l’accento sui segni della grazia che contraddistinguerebbero i veri credenti (i membri della vera chiesa invisibile dei predestinati o “eletti”): fondamentalmente il successo nella propria attività professionale concepita (come in San Paolo) come vocazione, ciò a cui siamo chiamati da Dio.
Tale prospettiva, nell’analisi che ne farà il sociologo Max Weber, costituirà la premessa dello sviluppo di una cultura “capitalistica”, ossia di un atteggiamento rivolto da un lato a produrre ricchezza e beni (piuttosto che a compiere “inutili” opere di carità o di misericordia), dall’altro lato a non ostentarli attraverso il lusso, ma nell’accumularli per produrne sempre di più “a gloria di Dio”.
N.B. 1 Non si deve pensare che i riformati, perseguitati dai cattolici, dove riuscirono a conquistare il potere, come nella Ginevra di Calvino, fossero più tolleranti dei cattolici, nei confronti di coloro che giudicavano eretici, magari perché ispirati dal principio del “libero esame” della Bibbia…
Michele Serveto, ad esempio, sostenitore dell’unicità di Dio (antitrinitarismo), fu condannato al rogo a Ginevra nel 1553, suscitando il plauso di Calvino stesso (si credeva da parte di molti, come Calvino, che l’eresia, in quanto perdeva l’anima di coloro che vi aderivano, fosse peggiore dell’omicidio, che si limitava a offendere soltanto il corpo di chi lo subiva) e la timida contrarietà di Sebastian Castellion che nel suo De haereticis an sint persequendi osservava come uccidere un uomo non fosse mai colpire una dottrina, ma sempre solo uccidere un uomo.
Così in questi secoli di conflitti religiosi (contraddistinti da un tipico fanatismo connesso a forme di fondamentalismo biblico, soprattutto da parte protestante) si accesero numerosi roghi di eretici e di streghe, ad opera di tutti, ma particolarmente dei protestanti.
N. B. 2 Un’altra considerazione che possiamo fare riguarda la critica dei riformati al principio di autorità, tradizionalmente riferito al magistero della Chiesa e, in Occidente, in caso di divergenza tra vescovi, ad esempio in occasione di un concilio, al Papa di Roma.
Come sappiamo, l’appello a tale principio, che significava e significa tuttora, per cattolici e ortodossi, la valorizzazione non solo della Scrittura, ma anche della Tradizione della Chiesa (considerata guidata e illuminata dallo Spirito Santo), ha una giustificazione: quella di evitare che l’ambiguità delle Scritture, moltiplicata dalla pluralità delle interpretazioni (letterali e/o allegoriche) a cui esse si prestano, favorisca la frammentazione delle “fedi” e, in ultima analisi, la dissoluzione del cristianesimo come religione.
In un certo senso la storia del protestantesimo conferma tale preoccupazione: registriamo nei secoli una proliferazione di sette, guidate da divergenti interpretazioni delle Scritture o dalla valorizzazione di aspetti diversi delle medesime.
Cfr. il manuale (di storia), §§ 12.2-4, pp. 362-76; il manuale di filosofia, U1, cap. 3, §§ 1-2, pp. 41-47.