Il relativismo sofistico

Necessaria, utile o superflua che sia, la filosofia, in quanto libera ricerca della saggezza, dunque, in ultima analisi, del bene (se per saggezza intendiamo la “scienza del bene”), si scontra con un’ipotesi, emersa anche dal dibattito in aula e on line, cioè che il bene sia diverso per ciascuno di noi (e perfino possa cambiare nel tempo anche per ciascuno di noi).

Se il bene che cerchiamo fosse semplicemente quello che pensiamo che esso sia, non c’è dubbio che registriamo un’ampia divergenza di opinione al riguardo (tra chi aspira alla giustizia sociale, alla gratificazione individuale, tra chi aderisce a una certa religione e chi a un’altra ecc.).

La scommessa della filosofia, tuttavia, è che sia possibile individuare razionalmente un “bene” in qualche modo “assoluto” (noi diremmo: “oggettivo”), dimostrabile, come è la salute del corpo di cui il medico ha scienza, mentre le nostre opinioni al riguardo, certamente varie e diverse, non riuscirebbero ad afferrare il vero bene, ma soltanto parvenze di bene delle quali, prima o poi, ci pentiremmo (come chi pensasse che fosse molto salutare bere ettolitri di vino).

I primi autori che, genialmente, supposero che il bene non fosse assoluto, ma relativo, ossia dipendesse dalle circostanze e dai punti di vista furono i sofisti.

Per comprendere la loro prospettiva radicalmente relativistica possiamo leggere alcuni frammenti del cosiddetto Anonimo sofista (del V sec. a. C.).

Cfr. il manuale, la dottrina di Protagora, maestro dei sofisti, U2, cap. 1, § 4, pp. 108-112.

Cfr.  anche più in generale la cultura sofistica, U2, cap. 1, §§ 1-3 pp. 104-107