Nel modulo precedente abbiamo visto come la filosofia, in Socrate, il “filosofo” per eccellenza, sia nata come ricerca della saggezza, cioè del bene, inteso come qualcosa di assoluto, piuttosto che di relativo, qualcosa di valido per tutti, qualcosa per amore del quale si può essere disposti a sacrificare la propria stessa vita.
D’altra parte lo stesso esercizio filosofico, secondo p.e. Aristotele (ma anche Platone, almeno a quanto ne scrive in un passo del Teeteto, nel quale si evoca la caduta di Talete nel pozzo), può essere considerato in se stesso qualcosa di buono e di bello, da praticare per se stesso, per soddisfare p.e. alla curiosità che scaturisce dalla meraviglia per i fenomeni della natura (anche da questo punto di vita: a costo di mettere a rischio la vita stessa).
Ma come si fa a riconoscere il vero bene? Più, in generale, come si fa ad avere scienza di qualcosa (non limitarsi all’opinione, che se ne può avere, diversa da persona a persona)?
Abbiamo fatto il paragone con la salute del corpo. È abbastanza intuitivo che, se credo (opino) che bere molto vino mi giovi (faccia bene al mio corpo), ho torto, mentre ha ragione (dice il vero, possiede la scienza) il medico che mi sconsiglia di farlo. Infatti, se persisto, probabilmente mi ammalo o, perfino, muoio (ottengo il contrario di quella salute che speravo).
Non potrebbe essere così anche per l’anima? Se credo che per me sia una cosa molto buona (oltre che divertente) cambiare frequentemente fidanzata, illudendo e deludendo tutte le donne che si innamorano di me, come Don Giovanni (esempio del filosofo moderno Soeren Kierkegaard), non potrebbe essere che sbagli? Oggi si tende a credere (relativisticamente) che ognuno, non solo sia e debba essere libero di vivere come vuole (il che potrebbe anche essere giusto, entro certi limiti), ma che possa essere felice (conseguire il bene) come meglio crede, dal momento che “non siamo tutti eguali”. Ma è proprio così? Può darsi che vi sia una “legge” (psicologica ad esempio) per cui il “Don Giovanni”, oltre che fare del male alle sue vittime (questione che andrebbe, tuttavia, approfondita a parte), alla lunga finisce per soffrire del suo stile di vita, che gli impedisce di stabilire ad esempio legami profondi, durevoli e davvero appaganti. Il “filosofo” che glielo “dimostra” non potrebbe essere un po’ come il “medico” della sua “anima”?
Tuttavia nella ricerca di ciò che è “scientificamente” buono e cattivo per noi ci imbattiamo subito in una difficoltà. Se tutto continuamente è soggetto al mutamento, come riuscire a trovare “valori” che rimangano stabili nel tempo?
Se, ad esempio, credo nel valore dell’amicizia o della fedeltà, ma, nel frattempo, l’amico mi tradisce, come posso restare fedele a tali valori? O se credo per una serie di ragioni che il solo matrimonio “sano” sia quello tra persone di sesso opposto in grado di procreare, ma, nel frattempo, le leggi dello Stato a cui appartengo (che ho il dovere di rispettare per altre ottime ragioni) mi impongono (p.e. se sono un sindaco) di celebrare un matrimonio tra persone dello stesso sesso, come posso restare fedele ai miei valori?
Più in generale come posso conoscere le cose (averne scienza), se queste nel tempo “evolvono”, si trasformano?
Dobbiamo dunque approfondire, attingendo alla sapienza di importanti precursori di Socrate, Platone e Aristotele (in particolare a Eraclito e Parmenide), quindi alla stessa “teoria della scienza” di Platone e Aristotele, la questione del rapporto tra il divenire delle cose così come esse appaiono e il loro essere (stabile) quale è necessariamente presupposto da chi cerca o pretende di averne scienza.