Il rapporto tra la fede e la ragione

Dopo aver fruito del film Agorà dedicato alla filosofa platonica del IV sec. Ipazia (martire della filosofia) possiamo iniziare a riflettere sul rapporto complesso e, come si è visto, non sempre “pacifico” tra filosofia e religione.

La discussione del film ci ha permesso di mettere a fuoco alcuni aspetti:

  1. quanto più l’interpretazione della Scrittura si attiene alla “lettera” tanto meno appare compatibile con la filosofia, intesa come libero esercizio della ragione;
  2. se intendiamo la filosofia come ricerca della verità, essa è incompatibile tanto con lo scetticismo, quanto con la “fede” intesa come preteso “possesso” dalla verità (magari sulla base di “dogmi” fissati unanimemente da concili, come è stato il caso di quelli definiti nel credo niceno-costantinopolitano);
  3. chi ritiene di possedere la verità e, grazie a tale possesso, crede di conoscere la sola via per la “salvezza”, è talvolta indotto a voler esercitare non solo un’autorità “morale” (auctoritas) ma un vero e proprio potere “pubblico” (potestas), ossia una capacità giuridicamente riconosciuta di costrizione fisica, al fine di eliminare non solo gli scritti di chi non è d’accordo, ma anche, possibilmente, la loro fonte, cioè il loro autore, in modo da impedire che false dottrine confondano i fedeli e li conducano sulla via della perdizione (quest’assunzione di poteri “giurisdizionali”, con l’obiettivo, anche, di perseguire i dissenzienti, pagani, ebrei o eretici che fossero, fu parzialmente conseguita dai vescovi cristiani – come Cirillo d’Alessandria – dopo l’editto di Teodosio, ma venne compiutamente ottenuta solo dal Papato in Occidente, che inaugurò una vera e propria teo-crazia, ossia uno Stato clericale)

In questo quadro si direbbe che non resti molto spazio per la “filosofia” né come specifica dottrina filosofica “pagana” (le diverse dottrine filosofiche, che abbiamo studiato quest’anno, pitagorismo, dottrine  di Parmenide ed Eraclito, platonismo, aristotelismo, epicureismo, stoicismo, scetticismo, neopitagorismo ecc., non erano più praticabili da chi aveva deciso di seguire Cristo, considerato come il solo unico maestro anche e soprattutto in campo etico), né come ricerca disinteressata della verità, estranea all’assunzione di credenze da accettare dogmaticamente.

Eppure molti cristiani sono stati sinceramente filosofi e hanno ritenuto irrinunciabile, nel coltivare la loro fede, esercitare anche la ragione. La questione del rapporto tra le fede e la ragione, accennata già nel mondo antico e greco-ortodosso, esplode, per così dire, nell’Occidente latino, nei secc. XII-XIII, nelle neo-nate università, soprattutto dopo la riscoperta  del “pagano”  Aristotele (considerato all’epoca il più grande scienziato mai vissuto, “maestro di coloro che sanno” per quanto riguarda la natura). Essa viene variamente risolta come si può leggere in questa scheda (la si legga fino alla trattazione di San Tommaso d’Aquino incluso).

Cfr.

  1. U6, cap. 2,  § 3p. 535Ragione e fede [in Agostino]
  2. U6, cap. 1,  § 4p. 527-28 Tertulliano: la condanna della filosofia
  3. U7, cap. 1,  § 3p. 591Dialettici e antidialettici
  4. U7, cap. 1,  § 6, pp. 599-600: [Abelardo] Ragione e autorità
  5. U7, cap. 2,  § 2, pp. 611-12: [Tommaso] Il rapporto tra ragione e fede