Dopo aver chiarito il senso del nostro interesse filosofico (ma anche storico) per il cristianesimo, possiamo in primo luogo cercare di isolare gli elementi irriducibili a segmenti di filosofia antica (segnatamente neoplatonica) nel cristianesimo “ufficiale”, ossia nella forma che il cristianesimo assunse, dopo l’editto di tolleranza di Costantino il Grande (313 d.C.), nel Credo che si recita a messa.
Possiamo, quindi, chiederci fino a che punto tali elementi caratteristicamente cristiani derivino dall’effettiva predicazione di Gesù di Nazareth. Il che, tuttavia, ci costringe a porci il problema del cosiddetto Gesù storico.
Cfr. vol I, U6, cap. 1, § 3, pp. 133-34: La novità del messaggio ecc.
Una volta riconosciuto, per quanto problematicamente, il “volto” storico di Gesù, con particolare riguardo ai suoi insegnamenti presumibilmente “apocalittici”, possiamo seguire il processo della progressiva ellenizzazione del cristianesimo per comprendere come si sia passati dalle dottrine (ipotetiche) del Gesù storico alla teologia matura delle principali “denominazioni” cristiane.
Cfr. vol I, U6, cap. 1, pp. 135-37: Le lettere paoline, Il quarto evangelo
L’ellenizzazione, intesa come “filosoficizzazione” del cristianesimo, passa anche attraverso l’adozione del metodo di interpretazione delle Scritture allegorico, mutuato da Filone di Alessandria (che ovviamente lo applicava alla sola Bibbia ebraica) e perfezionato da Origene.
In generale l’ellenizzazione, in quanto riguarda tanto i contenuti della religione quanto il metodo di interpretazione delle Scritture, intesa come filosoficizzazione della fede, contraddistingue il periodo della cosiddetta patristica, è l’approccio, cioè, che adottano quasi tutti i Padri della Chiesa, con la sola eccezione dei pochi che, come Tertulliano, si ostinano a contrapporre “Atene a Gerusalemme”, ossia la filosofia alla fede (anche se lo stesso Tertulliano, ad approfondire le cose, “legge” le Scritture con “occhiali” per così dire “stoicheggianti” – del resto, come abbiamo osservato, non si può non avere una propria “filosofia” anche nell’aderire in questo o quel modo a una determinata “fede” – ).
Cfr. vol I, U6, cap. 1, § 4, pp. 137-38: La patristica; § 5, p. 140: Tertulliano.