Come abbiamo visto, i rappresentanti del Terzo Stato, costituitisi in Assemblea Nazionale Costituente dopo il giuramento della pallacorda, iniziarono a riunirsi prima a Versailles e poi a Parigi, disponendosi rispetto alla presidenza con un caratteristico orientamento destra-sinistra, che avrebbe fatto scuola (come avrebbero fatto in modo sempre più chiaro e definito i successivi membri dell’Assemblea Legislativa (1891-92) e della Convenzione repubblicana (1792-99)): a destra i deputati più conservatori, a sinistra quelli più progressisti (desiderosi di accelerare il processo rivoluzionario, il cambiamento).
Osserviamo subito che perché si diano destra e sinistra è necessario che vi sia una rappresentanza del popolo, per quanto ristretta, e un sistema costituzionale. A rigore, dunque, tanto l’estrema destra reazionaria (rappresentata, durante la Restaurazione, dagli ultras francesi e ispirata teoricamente da autori quali De Maistre, Bonald, Donoso Cortes, cfr. § 9.2, pp. 276-78) quanto l’estrema sinistra extraparlamentare, rifiutando i principi del costituzionalismo, si collocano al di fuori del quadro (tanto è vero che, quando conseguono il potere, costoro tendono a instaurare regimi dispotici o totalitari, come fu originariamente quello napoleonico, che tendono ad assomigliarsi molto tra loro al di là della cultura politica che li aveva originariamente promossi).
Sorge poi un altro problema interpretativo: la sinistra è contraddistinta da una volontà di cambiamento nel senso del “progresso”. Già, ma in che direzione marcia la storia? In che cosa dobbiamo riconoscere un progresso? Storicamente, a partire dalla rivoluzione francese, si è inteso che una società sarebbe stata tanto più progredita, quanto più vi fossero stati realizzati i principi di libertà, eguaglianza e fraternità, soffocati nell’ancient regime. Simmetricamente si possono considerare “di destra” coloro che “frenano” rispetto a tale progresso preoccupati soprattutto di conservare il massimo ordine sociale possibile (un ordine spesso contraddistinto da forti diseguaglianze, che, tuttavia, i conservatori in genere giustificano appellandosi alla tradizione, alla religione o alla natura). Tuttavia le cose non sono così semplici: infatti, non è così facile estendere i diritti a un numero crescente di soggetti, rendendoli sempre più “uguali” gli uni agli altri, senza intaccare alcuni di questi stessi diritti (classicamente: il diritto alla proprietà privata e alla libera iniziativa economica; in generale: i cosiddetti diritti acquisiti, quelli già posseduti da un certo numero di persone o da un’intera “classe” di persone).
Ecco un quadro sintetico dello “spettro politico” che si è andato via via configurando nel corso dell’Ottocento, “reintrepretando” le iniziali e “ingenue” contrapposizioni rivoluzionarie tra giacobini e foglianti (Assemblea Legislativa), quindi tra giacobini e girondini (Convenzione), infine, nell’ambito degli stessi giacobini, tra “arrabbiati” e “indulgenti” (Convenzione epurata dei girondini durante il Terrore), per tacere dei “babuvisti” (tra cui Filippo Buonarroti che reincontreremo nel quadro del nostro Risorgimento), che, fuori della Convenzione, tentarono di realizzare una società proto-comunista con la celebre “congiura degli uguali” (1796) di Gracco Babeuf.
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Su liberali e democratici (questi ultimi erano anche, per lo più, “repubblicani”, in quanto ritenevano più rispondente alla piana realizzazione del principio della sovranità popolare un Stato retto non da un monarca ma da un capo di Stato a sua volta eletto dal popolo) che ci interessano ora più da vicino, in quanto ispirarono i primi moti contrari all’ordine della restaurazione, cfr. § 9.2, pp. 278-81.