La distinzione weberiana tra etica della responsabilità ed etica dell’intenzione (o dei principi) ci permette di inquadrare brevemente le questioni che vengono caratteristicamente discusse in quella peculiare disciplina (storicamente nata in contesti in cui la filosofia, in senso tradizionale, era assente) che va sotto il nome di bioetica.
Per bioetica si possono intendere cose leggermente diverse a seconda del significato che si assegna ai due termini che figurano in questa parola composta (bìos, cioè vita, teoricamente non solo umana, ma anche animale e vegetale) ed etica (la classica branca della filosofia che si occupa dei valori, i quali, però, con l’avvento del nichilismo e di forme di relativismo culturale sembrano avere perso il tradizionale fondamento metafisico, complicando notevolmente la problematica.
Oggi si intende generalmente per bioetica la riflessione sulle questioni etiche (concernenti delicate scelte da effettuare) legate a situazioni estreme, in cui è coinvolta la vita umana, tipicamente situazioni rese possibili da uno sviluppo tecnologico e scientifico senza precedenti (e dunque impensabili in epoche passate). Ci si riferisce, in genere, alle situazioni di inizio vita (statuto ontologico dell’embrione e del feto, legittimità dell’interruzione di gravidanza ecc.) e di fine vita (eutanasia attiva e passiva, accanimento terapeutico ecc.).
Come si può intuire, in questi casi delicati le questioni propriamente etiche sono intrecciate a questioni ontologiche (o metafisiche) concernenti le nozioni di “vita”, essenza “umana”, “morte”, nozioni i cui confini empirici e concettuali sono resi problematici dallo sviluppo della scienza e della tecnologia.
Per quanto riguarda l’inizio vita è chiaramente fondamentale stabilire quando si possa parlare di vita propriamente umana. Al di là di questo, è dirimente decidere se si debba tutelare la vita nascente ad ogni costo o se vi siano altri principi (salute della madre, libertà decisionale della donna, utilità del progresso scientifico ecc.) di cui tener conto per tracciare un bilancio etico. Per quanto riguarda il fine vita, oltre che stabilire quando si possa parlare propriamente di “morte”, si tratta di discutere e approfondire distinzioni solo apparentemente chiare, come quella tra eutanasia attiva (“far morire”) e passiva (“lasciar morire”, per evitare, ad esempio, l’accanimento terapeutico). In concreto non è affatto facile stabilire se un determinato comportamento (per esempio non idratare o non nutrire artificialmente) sia un’omissione (di soccorso) e un’azione positiva diretta a uno scopo eutanasico.
Senza entrare nei dettagli di tali problematiche, per un rapido inquadramento appare utile ritornare alla già evocata distinzione di Weber, tra etica dei principi ed etica della responsabilità. Questa distinzione può essere tradotta bioeticamente come opposizione tra sostenitori della sacralità della vita (come principio non negoziabile) e sostenitori della qualità della vita (disposti a mediare tra diversi principi spesso tra loro in conflitto sulla base del criterio del “male minore”).
Tipico esempio della seconda linea (quella che sostiene la qualità della vita sulla base di un’etica della responsabilità) è rappresentato dai 4 principi di Beauchamp e Childress:
- beneficenza
- non malevolenza
- rispetto per l’autonomia
- giustizia
I primi due criteri possono essere fatti risalire a Ippocrate, il quarto introduce un principio di utilità generale (pragmatistico), il terzo è figlio della concezione illuministico-liberale per la quale ciascuno deve essere libero di decidere per se stesso quando le decisioni che assume non nuocciono ad altri (Kant).
Non si tratta di principi determinanti, ma solo di presupposti irrinunciabili di una discussione che rimane aperta. Ad esempio è facile concordare che sia giusto 1. massimizzare il bene goduto e 2. minimizzare il male patito da una certa persona, ma il doppio principio non dice se sia meglio allungarle la vita al prezzo di un maggiore carico di dolore o ridurle il dolore al prezzo di accorciarle la vita (“aggiungere giorni alla vita o vita ai giorni”). Lasciare che 3. sia la persona stessa a decidere (“rispetto per l’autonomia”) parrebbe la cosa migliore da fare, ma non sempre la persona è in grado di farlo (anche quello che la persona avesse lasciato scritto come “testamento biologico” quando era in salute potrebbe non corrispondere a ciò che la persona vorrebbe ora per sé nel momento del bisogno, se fosse cosciente; ma una maggiore garanzia non è offerta neppure dal parere dei parenti o dei medici). Infine vi possono essere 4. diversi criteri di equa distribuzione delle (scarse) risorse sanitarie disponibili in ogni determinato contesto (si pensi ai criteri che presiedono al c.d. triage in un reperto di pronto soccorso).