L’Italia del primo dopoguerra può essere considerata un paradigma illustrativo degli squilibri politici, economici e sociali che, in modi e forme diverse, furono tipici di tutti i Paesi europei che parteciparono al primo conflitto mondiale.
A differenza che altrove, tuttavia, forse a causa della fragilità delle (relativamente recenti) istituzioni liberali e democratiche, in Italia tale situazione sfociò nel giro di pochissimi anni nella dittatura fascista, anch’essa paradigmatica di un’evoluzione simile (a volte anche in parte direttamente influenzata dall’esperienza italiana) – nella direzione di regimi di tipo autoritario – che si registrò anche in altri Paesi solo in un secondo momento (salvo che in Ungheria dove la dittatura del maresciallo Miklos Horthy – cfr. cap. 5, § 4, Dalla rivoluzione di Bela Kun alla formazione della prima dittatura fascista in Europa – precedette addirittura di qualche anno l’avvento del fascismo in Italia).
Per quanto riguarda la nascita del fascismo (sulla quale abbondano le risorse multimediali, in particolare i documentari, spesso di qualità, frutto di diversi montaggi di materiali tratti in gran parte dall’Istituto Luce) può essere utile fruire, oltre che di quanto spiega il manuale (cap. 7, §§ 1-4), di questa sintesi video.
Per quanto riguarda il consolidamento del regime cfr. cap. 9, § 1; § 3
Oltre a quanto si può ricavare dal manuale e dalla scheda video, che cosa possiamo rilevare?
Non deve sfuggire che il fascismo si affermò in modo relativamente “legale”. Dopo la marcia su Roma dell’ottobre del ’22 Mussolini ricevette un regolare incarico come capo del governo, ottenne pure la fiducia del Parlamento (neppure necessaria, stando alla lettera dello Statuto Albertino), vinse le successive elezioni del ’24 (che, certo, si svolsero in quel clima di violenza denunciato a caro prezzo da Matteotti), infine, superata sempre con l’appoggio del Re la crisi conseguente al delitto Matteotti, fece approvare, secondo procedure formalmente corrette, col pretesto degli attentati che subì, leggi sempre più restrittive delle libertà civili e politiche fino a instaurare, di fatto, la dittatura. Da notare che anche Hitler, un decennio dopo, seguì la medesima strada “legale”. Entrambi godettero di un ampio consenso popolare (di una maggioranza almeno relativa di consensi). Queste circostanze dovrebbero farci riflettere sui limiti delle democrazia (in quanto può diventare plebiscitaria, totalitaria) e dello stesso stato di diritto o liberale (in quanto può permettere uno stravolgimento, per così dire dall’interno, degli stessi principi su cui si fonda), in assenza di altri “presìdi” (p.e. una diffusa cultura liberale, una costituzione politica più “rigida” e di difficile “manipolazione” di quanto non fossero quelle italiana e tedesca tra le due guerre, qual è l’attuale nostra Carta ecc.).
Per quanto riguarda il “totalitarismo” che contraddistinse il fascismo si possono fare i seguenti rilievi. Il termine fu usato per la prima volta dagli avversari di Mussolini per indicare la pretesa del nuovo Stato dittatoriale di dirigere in modo pervasivo la vita dei cittadini cancellando ogni residuo spazio di libertà personale (e di associazione). Mussolini stesso si impossessò del termine conferendogli una valenza positiva, ispirato anche dalla dottrina “statolatrica” di Hegel, nella versione di Giovanni Gentile il filosofo italiano che elaborò la “dottrina del fascismo” (in quanto regime). Gli storici, tuttavia, parlano, a proposito del fascismo, di totalitarismo imperfetto, dal momento che
- Mussolini fu costretto fino al ’43 a condividere il potere con il Re (si parla, al riguardo, anche di “diarchia”), il quale il 25 luglio di quell’anno, a seguito dei rovesci militari patiti dal’Italia, riuscì perfino a licenziarlo;
- dopo i Patti Laternensi del ’29 (ancora vigenti, anche se parzialmente corretti dagli accordi dell’ ’84) Mussolini accettò che la Chiesa cattolica continuasse a esercitare la sua influenza sugli Italiani, non solo attraverso le celebrazioni liturgiche, ma anche alcune organizzazioni di base (mentre altre, come i boy scout, erano state sciolte, di fatto sostituite dalle organizzazioni giovanili del regime).
Bisogna poi distinguere i regimi totalitari (perfetti o imperfetti che siano) dai tradizionali regimi autoritari (come la monarchia assoluta di Luigi XIV e il dispotismo del sultanato ottomano). Diversi studiosi hanno rilevato come i regimi totalitari, per realizzare i loro obiettivi politici, in questo parzialmente preceduti da regimi come quelli instaurati a suo tempo da figure carismatiche e popolari come Cesare o Napoleone, hanno bisogno di mobilitare la masse a loro favore, di politicizzarle al massimo, attraverso i nuovi media, mentre i regimi autoritari, soprattutto quelli tradizionali, tendono piuttosto a separare il “sovrano” dal popolo, circondandolo di un velo di impenetrabile mistero ed esautorando completamente il popolo da ogni responsabilità e condivisione “politica”.
Infine ci si può chiedere quali siano le differenze tra il totalitarismo di destra (fascismo e, soprattutto, nazismo) e totalitarismo di sinistra (stalinismo). Molti studiosi, soprattutto marxisti, comprensibilmente sono in imbarazzo o piuttosto critici nell'”etichettare” lo stalinismo come totalitarismo e preferiscono parlare di una “deviazione” del socialismo dalla via legale e democratica. In effetti possiamo forse osservare quanto segue: mentre il nazismo costituisce il prototipo di tutti i totalitarismi, avendo pienamente realizzato in se stesso tutte le caratteristiche archetipiche di questo tipo di regime (e costituendo, come diremo, anche un paradigma fondamentale di riferimento, ovviamente negativo, nel campo della teoria politica) e essendo anche del tutto trasparente sulla propria natura e sulle proprie finalità (basta leggere il Mein Kampf di Hitler per accorgersi di come il dittatore tedesco, una volta salito al potere, abbia cercato a realizzare quasi completamente il programma che ivi aveva abbozzato), lo stalinismo conservò sempre, si direbbe “ipocritamente”, la parvenza di “democrazia” che contraddistinguerà anche in seguito i regimi comunisti. Questa parvenza, tuttavia, forse era qualcosa di più di una parvenza, come dimostrò il successivo processo di destalinizzazione dell’U.R.S.S., che trasformò un regime totalitario in un regime autoritario, centrato non più su una persona, ma sul partito comunista, che, dunque, sopravvisse a Stalin (mentre un fascismo senza Mussolini sarebbe stato, come effettivamente fu, dopo il 25 luglio 1943, inconcepibile).
Altre caratteristiche del totalitarismo, in gran parte teorizzate da Hannah Arendt nel volume le Origini del totalitarismo, scritto nel secondo dopoguerra, sono illustrate nella relativa scheda del manuale.
Dal punto di vista economico, dopo una prima fase “liberista”, Mussolini adottò politiche di conciliazione nei rapporti tra capitale e lavoro, finalizzate al rafforzamento militare dell’Italia e alla conservazione del consenso. A questo fine puntò su magistrature come il giudice del lavoro e su istituzioni come le corporazioni (anche se queste ultime non entrarono mai compiutamente in funzione). Spesso il “corporativismo” fascista viene giudicato negativamente, ma, di fatto, non appare molto diverso dalle politiche di concertazione tra le forze sociali messe in atto nell’Italia del dopoguerra (alternative tanto al dominio di classe quanto alla lotta di classe), care tanto al cattolicesimo democratico quanto al socialismo riformista.
Per quanto riguarda la diffusione di regimi autoritari o francamente totalitari tra le due guerra cfr. la cartina seguente.