La rivoluzione astronomica (il passaggio a un modello planetario eliocentrico) è stata un evento fondamentale per la nascita, se non della scienza in quanto tale, certamente dell’immagine del mondo moderna, restituita della cosiddetta “fisica classica” (la concezione della natura sviluppata da Galileo e Newton, nel Seicento, e giunta quasi senza alterazioni significative come tale fino ad Albert Einstein, cioè fino al primo Novecento).
Infatti, si può facilmente mostrare come l’adozione di un modello eliocentrico richieda “a cascata” o in sequenza, per risolvere i problemi che tale modello presenta, l’assunzione di una serie di “principi” (o, come avrebbero detto meglio di Greci, di “ipotesi”), già intuiti nel mondo greco-romano e perfezionati in età moderna, e precisamente i seguenti (si approfondiscano le relative pagine):
Sulle implicazioni filosofiche e teologiche dell’infinità del cosmo abbiamo già discusso nel 1. modulo (parlando dell’idea di Cusano e Pico che ciascuno di noi, come Dio stesso, sia insieme centro e periferia dell’universo). Cfr. U2, cap. 1. § 5, Dal mondo chiuso ecc., pp. 72-75
Del principio di inerzia il manuale tratta a proposito della sua intuizione in Galileo. Cfr. U2, cap. 2, § 3, pp. 83-85. Tale principio sarà, tuttavia, enunciato in una forma simile a quella che si trova negli attuali manuali di fisica solo da Cartesio e, soprattutto, da Newton.
Sappiamo, invece, che sull’infinità del cosmo Galileo non si pronuncia, anche se tale ipotesi gli sarebbe stata assai utile per fondare teoricamente il principio, che gli sta pure a cuore, della relatività del moto (c.d. relatività galileiana, cfr. il celebre esempio della nave, U2, cap. 2, § 3, p. 88, Il principio di relatività galileiana).
Per la nozione di forza di gravità, invece, intravista da Keplero (che la confondeva, tuttavia, con l’attrazione erotica e, in una seconda fase, con quella magnetica), occorre attendere Newton (seconda metà del Seicento) per avere la sua formulazione matematica moderna (come forza proporzionale alle masse che la esercitano reciprocamente e inversamente proporzionale al quadrato delle loro distanze), all’interno di una teoria centrata su di essa in quanto principio di gravitazione universale. Sappiamo, tuttavia, che tale nozione fu senz’altro intuita dai Greci, anche se questi non ne avevano probabilmente esplicitato la formulazione matematica (leggendo la pagina dedicata a questo tema, non devi per forza studiare ogni singolo argomento invocato da Russo a favore dell’ipotesi che i Greci avessero già intuito l’esistenza della forza di gravità, ma è sufficiente che comprendi il senso generale della tesi di Russo). Galileo, invece, supponendo (erroneamente) che i moti degli astri fossero naturalmente circolari (esattamente come Aristotele), non riteneva necessario, pur all’interno del nuovo modello eliocentrico, postulare l’azione di una forza di attrazione tra tali astri (in particolare tra la Terra e la Luna – di cui non aveva affatto compreso il ruolo nelle maree – e tra la Terra e il Sole). Ciò non impedì tuttavia a Galileo di calcolare con precisione l’accelerazione di gravità.
A questi sviluppi possiamo aggiungere la scoperta, dovuta a Keplero, della forma ellittica delle orbite planetarie, cfr. U2, cap. 1, § 5, p. 71 (Keplero: lo studio delle orbite dei pianeti), che risolve le incongruenze osservative del modello copernicano. Notare che la pubblicazione delle prime due leggi di Keplero nell’Astronomia nova del 1509 precede di un anno le scoperte effettuate da Galileo con il cannocchiale nel 1610 ed è dovuta alla attente osservazioni a occhio nudo del cielo da parte di Tycho Brahe, astronomo di corte di Rodolfo II d’Asburgo, a Praga, prima di Keplero.