Per comprendere l’imperialismo di fine Ottocento bisogna fare un passo indietro.
Ricordiamo che la prima metà dell’Ottocento è stata in Europa l’epoca del nazionalismo romantico, contraddistinto per lo più (anche se non sempre) da ideali liberali e democratici (come nel repubblicano Giuseppe Mazzini e nella sua Giovine Italia).
Questo spirito aveva animato, ad esempio, le guerre d’indipendenza combattute con successo tra gli anni Dieci e Venti dell’Ottocento dai coloni latino americani (guidati dalla minoranza dei creoli) contro la Spagna (cfr. vol 2, § 14.1, pp. 499-503, anche nella sintesi di p. 515), oltre che i moti liberali e democratici degli anni Venti e Trenta in Europa, culminati nella fallita, ma non meno significativa, “primavera dei popoli” del 1848-49.
Tuttavia, dopo la metà del secolo, a seguito della sconfitta dei movimenti democratici che ispirarono le rivoluzioni del ’48 in Europa e della crescente minaccia costituita, per la classe borghese, dal movimento operaio, si registrò in molti Paesi (ad esempio nelle neonate Italia e Germania, ma anche in Francia e, fuori dall’Europa, in Giappone) una saldatura tra la borghesia in ascesa e le antiche élites aristocratico-militari (basti pensare alla Germania di Bismarck).
Tale alleanza non impedì lo sviluppo in diversi Paesi, a cominciare dalla neonata Germania, del cosiddetto “stato sociale” (welfare state, Wohlfahrt Staat), cioè di un insieme di provvidenze economiche e sociali a favore del proletariato e dei ceti meno abbienti, talora in funzione anti-socialista, talaltra sostenuto dagli stessi socialisti (ormai avviati verso una concezione non più rivoluzionaria, ma riformista o, come si disse, “revisionista” dell’ideologia marxista) e da parte della cultura cattolica, ispirata all’enciclica Rerum novarum di Leone XIII (1891) (cfr. vol 2, §§ 18.2-3, pp. 606-610, anche nella sintesi di p. 634, e il doc. 1, p. 627).
La crisi economica (“grande depressione”) che, secondo le previsioni di Marx (ma con effetti meno dirompenti, grazie appunto alla nascita dello “stato sociale”), colpì l’Europa (una crisi di sovrapproduzione con conseguente caduta dei prezzi) tra il 1873 e il 1896 fece il resto: favorì il protezionismo doganale e la transizione verso un nazionalismo aggressivo e illiberale (espressivo di queste nuove classi dirigenti), che si colorò verso la fine del secolo, complici gli scritti di autori come Gobineau e Barrès, di tinte razzistiche.
Ciò innescò la corsa all’accaparramento della maggior quantità possibile di possedimenti coloniali extraeuropei, in particolare in Africa (dal 1870 circa). Questa nuova forma di imperialismo ebbe dunque motivazioni in parte economiche (data la crisi e il conseguente desiderio di reperire nuovi mercati di sbocco per le produzioni industriali europee e nuovi territori da cui ricavare materie prime e in cui insediare come coloni elementi provenienti dai ceti meno abbienti), ma anche o, forse, soprattutto, motivazioni di tipo politico e ideologico.
Cfr. questa mappa dinamica, di cui abbiamo fruito anche in aula.
Non bisogna peraltro dimenticare che questa nuova corsa alle colonie si innestò su un’espansione coloniale iniziata agli albori dell’età moderna e anche prima (come ricordiamo, le prime colonie portoghesi in Africa e Asia risalgono alla prima metà del Quattrocento, prima ancora della scoperta dell’America) e che era proseguita anche nella metà dell’Ottocento (durante il periodo “liberale” dell’Ottocento) per quanto riguarda soprattutto la Gran Bretagna, la Francia e gli Stati Uniti nei confronti del Giappone (cfr. vol 2, §§ 14.2-5, pp. 503-511, anche nella sintesi di p. 515; cfr. anche § 15.1, pp. 525-527 anche nella sintesi di p. 548).
Per quanto riguarda l’imperialismo vero e proprio di fine Ottocento in rapporto alla grande depressione, oltre a questa pagina del sito principale, cfr. vol. 2, §§ 17.1-2, pp. 571-582, anche nella sintesi di p. 601 e § 17.4, pp. 586-97, anche nella sintesi di p. 602; per quanto riguarda le motivazioni della corsa alle colonie puoi approfondire il § 17.3, pp. 583-85, la scheda Imperialismo a p. 583 e la poesia di Kipling Il fardello dell’uomo bianco, doc 1, p. 598; infine il § 18.6, pp. 622-26 su nazionalismo, darwinismo sociale e razzismo.