Dopo il XII sec., grazie alla rinascita economica e culturale successiva al Mille e al risorgere della vita cittadina con le sue esigenze pratiche e giuridiche, a partire dall’Italia (convenzionalmente si evoca l’anno 1088 e la città di Bologna), precedute dall’esperienza della scholae cattedrali (da cui il nome di filosofia “scolastica”), nacquero e si diffusero le prime università, centri di studi, nei quali la domanda di sapere di studenti (desiderosi di divenire esperti di diritto, in medicina o in teologia) si incontrava con la libera offerta di professori. Inizialmente autonome, successivamente le università furono sempre più legate a doppio filo al potere politico e religioso, dal quale ricevevano riconoscimento (che conferiva valore legale, all’interno di un determinato territorio, al titolo di studio ivi conseguito), ma anche vincoli e obblighi di varia natura (ad esempio a non consentire, in ambito teologico, la diffusione di dottrine eretiche).
Cfr. la pagina sulle università dell’enciclopedia Treccani on line, fino a 1. Le u. degli studi nella storia compreso.
In questi centri di studi (chiamati anche studia generalia, da cui l’attuale denominazione di università degli studi – la parola “universitas” indicava genericamente un’associazione o corporazione di mestiere) erano impiegati a insegnare teologia cattolica, ad esempio a Parigi, particolarmente docenti appartenenti agli ordini religiosi (mendicanti) dei frati francescani e, soprattutto, dei domenicani, sorti nel Duecento, con l’obiettivo, tra l’altro, di combattere le eresie con le armi della dottrina (accanto a quelle delle crociate e dell’inquisizione. cfr. il manuale di Storia, p. 75).
Poiché, in questo stesso periodo, rinasceva l’interesse per lo studio della opere di Aristotele, come scienziato naturale, di cui si traducevano gli scritti dall’arabo (a loro volta tradotti dal greco), si pose in occidente, con una forza prima sconosciuta, la questione del rapporto tra fede e ragione.
Tale questione apparve tanto più rilevante in quanto Aristotele, come sappiamo, negava con buoni argomenti l’immortalità dell’anima, affermava l’eternità del mondo (che dunque non sarebbe stato creato da Dio in un certo momento del tempo) e, in generale, sosteneva, su basi filosofiche, dunque razionali, dottrine apparentemente incompatibili con quelle cristiane.
Anche in precedenza il cristianesimo si era dovuto misurare con la filosofia “pagana”. Tuttavia il cristianesimo delle origini (così come quello “orientale” o “bizantino”, che diede origine all’attuale chiesa ortodossa) non si pose nello stesso modo il problema del rapporto tra religione e filosofia perché, come sappiamo, come anche le altre religioni abramitiche, esso finì per assorbire diverse dottrine filosofiche, in particolare (neo)platoniche, al punto che nessuno nel Basso Medioevo (ad esempio intellettuali come Dante Alighieri) sarebbe stato in grado di distinguere un’originaria dottrina (ebraico)cristiana (p.e. quella della resurrezione dei corpi) dalla successiva reinterpretazione “platonica” della medesima (p.e. in chiave di “immortalità dell’anima”), ritenendo che si trattasse sempre e solo di dottrina cristiana.
Sul rapporto tra fede e ragione leggi questa pagina del sito principale fino alla trattazione dell’approccio di (San) Tommaso (d’Aquino) compreso.
Consolida, poi, la tua preparazione sul manuale di filosofia (F), cfr. U7, cap. 1, §§ 1-2, pp. 535-39; § 5, pp. 546-48 (su Abelardo, fino a Le dottrine teologiche escluso); cap. 2, § 1, p. 566 (su Tommaso) e il testo di Tommaso sul rapporto tra fede e ragione t1, pp. 594-95.