Abbiamo visto che, grazie soprattutto a Popper e Lakatos, l’epistemologia contemporanea ci ha consegnato:
- un criterio di demarcazione tra scienza e non scienza (la falsificabilità delle teorie, cioè la possibilità di controllare le loro conseguenze empiriche);
- un criterio di progressività tra teorie scientifiche (il fatto che una teoria generi un “contenuto empirico indipendente” maggiore di un’altra, cioè consenta di risolvere più rompicapi).
Disgraziatamente sembra che approfondendo ulteriormente questi criteri essi non reggano a un esame critico, come quello a cui essi vengono sottoposti da Feyerabend e Quine (U13. cap. 1, §4, pp. 867-69; cap. 2, § 2, La critica al neopositivismo e l’olismo epistemologico, pp. 873-77).
In particolare appare non così facile distinguere in una teoria scientifica la componente teorica da quella empirica (osservativa), che è a sua volta impregnata di teoria (costituisce sempre un’interpretazione dei fenomeni), col risultato che diventa difficile distinguere una teoria scientifica da una “visione” filosofica o religiosa che interpreta in un determinato modo l’esperienza (viene meno il criterio di demarcazione, almeno come criterio rigido); inoltre la caratteristica “serendipity” a cui è soggetta la ricerca scientifica (il fatto che spesso si trovi quello che non si cercava e che vecchi paradigmi tornino inopinatamente d’attualità) getta ombre su qualsiasi possibile criterio di progressività (cioè di preferibilità tra teorie diverse).
Ecco la mia videolezione conclusiva di questo modulo: