Alla fine del secolo scorso si è accesa la disputa se sia preferibile l’approccio filosofico “continentale” (che raccoglie diverse correnti, ma è dominato oggi principalmente dall’ermeneutica e dalla fenomenologia, oltre che da studi di carattere storico e filologico) o quello dei cosiddetti “analitici”.
Dopo aver studiato l’ultima unità didattica del modulo (dell’anno e dell’intero ciclo di studi!), dedicata alla filosofia analitica, prova a rispondere, nei limiti del poco siamo riusciti a trattare su questi diversi approcci, al seguente quesito:
- Quale tra i due principali modo di intendere il “lavoro della filosofia”, quello cosiddetto “continentale” e quello “analitico”, ti sembra più attuale e convincente?
Il mondo filosofico vede la contrapposizione tra filosofia “continentale”, ovvero quella che si sviluppa prevalentemente nel continente europeo (Francia, Germania, ma anche Italia) e filosofia “analitica”, diffusa principalmente nei Paesi anglosassoni (Gran Bretagna, USA, Canada).
La prima si occupa di problematiche vicine alla sensibilità umana, per esempio il ruolo dell’uomo all’interno della società o, in un’ottica più estesa, la sua posizione nell’universo; una filosofia che tratta argomenti tradizionalmente europei e quindi attenta alle problematiche della metafisica e morale. La seconda, intesa anche come evoluzione dell’empirismo logico, si tratta di una disciplina incentrata sull’analisi logica del linguaggio comune, mediante il quale parliamo della “realtà”. In poche parole la filosofia continentale è caratterizzata dal fatto che si occupa di teorie viste dall’alto e quindi in generale mentre la filosofia analitica si concentra di più sui dettagli. Secondo me quest’ultima è più convincente e attuale in quanto è più precisa e puntuale e, a differenza di quella continentale, segue una logica quasi matematica e scientifica. In generale il filosofo analitico si chiede il significato dei termini chiave della filosofia di ogni tempo ed esamina il loro uso corretto. Come diceva Wittgenstein non ci sono veri problemi filosofici, ma solo problemi di linguaggio, che la filosofia dovrebbe aiutare a risolvere.
La risposta è abbastanza documentata e argomentata ma sembra costruita su informazioni “di seconda mano” ricavabile facilmente dalla rete piuttosto che sulla base di una meditazione di quanto proposto nelle corrispondenti unità didattiche. Lo testimonia ad esempio il fatto che ignori del tutto la rilevanza dell’ermeneutica e della fenomenologia come approcci rilevanti in ambito “continentale”.
L’approccio ermeneutico rispetto a quello analitico si avvicina di più alla mia visione del mondo. Oltre a considerarlo più affascinante in quanto vede ogni concetto come un qualcosa che costantemente viene arricchito di nuove sfumature,senza mai esaurire completamente lo spazio delle possibilità,sfumature conferite dai contesti storici che si succedono e prendono in considerazione il determinato concetto,l’ermeneutica mi sembra più convincente perché ritengo indispensabile,al fine di una quasi completa comprensione di un concetto,la sua intera storia culturale con le varie interpretazioni che sono state formulate;se il mondo è interpretazione(e questa la mia visione del mondo) ,allora non si può prescindere dalle diverse interpretazioni storiche dei concetti che compongono questo mondo perché ogni nuova interpretazione,quindi anche la mia,deriva inevitabilmente dalle precedenti. Inoltre l’analitica mi sembra(forse un po’ irrazionalmente)troppo semplice o superficiale in quanto ritiene “misticamente” i concetti come già compresi,ma solo mal espressi,come per dire che il problema non è “sostanziale” ma “formale”. In conclusione,non posso pensare nessun oggetto o concetto come diverso da un indeterminazione che tende,ma senza mai toccare concretamente,verso una verità completa,vedo ogni concetto come una “nuvola” dai confini indeterminati,che è sempre in grado di accogliere al suo interno nuovi significati pertinenti.Il mondo non può essere,a mio parere, un oggetto già dato ma solo da comprendere o,peggio ancora,come già compreso ma solo da esprimere correttamente.
Veramente ottima, approfondita e personale risposta.
Entrambi i filoni filosofici mi sembrano convincenti, specialmente quello analitico appare, a parer mio, quello di uso più attuale. La filosofia analitica o del linguaggio, infatti, aiuta le persone a capirsi ed intendersi, eliminando questioni o misteri di tipo filosofico, perché sostiene che il significato delle proposizioni varia in base al contesto d’uso. Tramite le sue componenti principali, ovvero le presupposizioni e il valore d’uso, questa filosofia ha come obiettivo finale quello di costruire una proposizioni grammaticamente corretta e semanticamente vera. Questo perché deve avere un senso all’interno del contesto in cui è inserita, ovvero un significato pragmatico. In questo modo ciò che viene valorizzato è il valore d’uso del linguaggio, dal momento che ci fa capire qual’è l’obiettivo che vogliamo raggiungere con ciò che diciamo. Si tratta perciò di qualcosa di attuale, perché parlare è un modo di agire, soprattutto ai giorni nostri, perciò quando si afferma qualcosa, inconsapevolmente si richiede qualcos’altro a chi ascolta. Il destinatario percepisce così il mio messaggio. Tendiamo, infatti, a compiere un’azione con le parole quando parliamo, e spesso senza accorgercene, produciamo un discorso che è legato ad un obiettivo. Risulta importante, però, chiarire il significato pragmatico delle parole che vengono utilizzate, in modo che il mio discorso sia condivisibile dall’altro e che gli unici equivoci possibili siano quelli di comprensione o di linguaggio.
Considero efficace anche l’ermeneutica, filosofia che, inoltre, presenta analogie con quella analitica, come le presupposizioni iniziali e anche l’uso che facciamo delle proposizioni. Mi sembra un criterio valido perché è molto realista: siamo ancorati a dei pregiudizi , e solo se troviamo degli equivoci siamo costretto a chiederci il significato delle cose e a correggere i pregiudizi sulla base della nostra esperienza. Con l’interpretazione possiamo perciò avvicinarci alla comprensione senza mai raggiungerla completamente, dal momento che siamo parte della dimensione storica. Non possiamo cogliere la verità, ma ci andiamo molto vicino.
Anche in questo caso si tratta di fare un’indagine sul significato della parola, scoprendo che alla fine il nostro modo di pensare deriva dall’eredità del passato e che siamo proprio noi a dare un senso alle cose. È un filone molto attuale pure questo, perché spiega il motivo per cui ci possano essere diverse interpretazioni al mondo , dal momento che siamo proprio noi a dare significato alle cose in base alla nostra esperienza e conoscenza.
Hai messo opportunamente anche se indirettamente in luce le analogie tra i due approcci (analitico ed ermeneutico) che, in effetti, alcuni autori, come Richard Rorty, considerano sostanzialmente convergenti.
Forse però ti sei diffusa troppo nei dettagli dei due approcci, anche se non hai mancato di sottolinearne via via la rilevanza (l’impressione, però, è che tu abbia avuto l'”obiettivo pragmatico” non troppo nascosto di mostrare a questo prof che avevi studiato per bene gli argomenti).
Non direi poi che “obiettivo finale” dell’approccio analitico sia “quello di costruire una proposizione grammaticamente corretta e semanticamente vera”. Gli analitici non sono “maestre elementari” e lasciano che ognuno parli come vuole, anche commettendo non casuali errori grammaticali, se del caso (pensa al lapsus freudiano). Il loro interesse è per il significato pragmatico, che tu giustamente sottolinei nella frase successiva a quella citata.
Secondo me tra le due filosofie quella che risulta più attuale, soprattutto in tempi di Coronavirus, è quella analitica in quanto richiede una maggiore attenzione al particolare e dunque è come se si facesse un ingrandimento al microscopio sulle varie sfide e/o questioni che l’uomo incontra nel corso della sua vita, scoprendo nuove verità e realtà e allo stesso tempo i loro eventuali limiti. Comunque, se non fossimo in questa situazione credo che avrei dato un’altra risposta ovvero che è più attuale la filosofia di tipo continentale, i cui maggiori esponenti sono, ad esempio, Freud e la psicoanalisi, Marx e il marxismo, Hidegger e in generale il movimento esistenzialista, e molti altri filosofi che hanno caratterizzato questo movimento. Infatti ritengo che dal momento che la filosofia continentale si concentra maggiormente su aspetti filosofici generali (e medici, se prendiamo come riferimento Freud che era uno psicologo ,quindi un medico, piuttosto che un filosofo) diffidando delle teorie scientifiche, essa sia più una filosofia nel vero senso della parola, mentre quella di tipo analitico sia da ritenere più come una conseguenza della scienza. Per fare un esempio, credo che quando si fanno discorsi sull’etica a scuola, bisogna avere una base puramente filosofica continentale affinché i ragazzi comprendano il senso dei vari dibattiti come possono essere quelli che riguardano l’eutanasia o l’aborto, i quali partono entrambi da domande esistenziali come “Qual è il senso della vita?” o “Sono degno di vivere la vita in questa condizione vegetativa?”.
In conclusione dunque, credo che la filosofia più “in voga” ai giorni nostri (escludendo ciò che ho detto all’inizio) sia quella continentale in quanto mantiene il termine “filosofia” con il suo originale significato e approfondisce aspetti umani che a volte dimentichiamo di possedere per natura.
Interessante l’analisi degli argomenti che porti per illustrare il valore dell’approccio continentale. Non mi è molto chiaro a questo punto perché all’inizio hai sottolineato quello dell’approccio analitico e, soprattutto, in che senso tu lo abbia messo in relazione con l’emergenza coronavirus.
Per quanto mi trovassi d’accordo con l’approccio ermeneutico di Heidegger devo ammettere che il pensiero del così detto “secondo” Wittgenstein si avvicina parecchio alla mia percezione della realtà.
Il fatto che una proposizione seppur correttamente formulata possa non avere senso se applicata ad un contesto errato mi trova perfettamente d’accordo, a questo pro vorrei portare un esempio(che mi auguro sia calzante): se in questa situazione avessi risposto all’ esercizio scrivendo un codice binario come 1000110100, sicuramente la mia risposta, anche se dotata di senso per ciò che riguarda il campo informatico, a lei sarebbe apparsa come totalmente priva di significato. La stessa cosa varrebbe se ad una domanda della professoressa di inglese rispondessi parlando in tedesco. Dunque ritengo che il concetto di pragmatica della linguistica introdotto dall’analitica sia fondamentale in un mondo contemporaneo nel quale siamo sempre più distanti dal linguaggio originario(ovvero quello principalmente caratterizzato da una funzione conativa) e per questo motivo mi ritengo un sostenitore della filosofia analitica.
Hai colto il valore della pertinenza dei discorsi su cui noi “prof” insistiamo molto, soprattutto nel trienni, rispetto p.e. al valore della mera “esattezza” o “precisione”. Ne va, infatti, dell’efficacia e del senso stesso della comunicazione. Mi sembrano calzanti non solo gli esempi (forse quello del codice binario è un po’ “tirato”, perché in quel caso non è solo questione di pertinenza, ma anche di intelligibilità), ma anche e soprattutto il rapporto tra gli interessi della filosofia analitica e l’uso della comunicazione nel mondo contemporaneo. Tutto richiede sintesi, velocità, informatività ed efficacia, dal marketing pubblicitario alla comunicazione politica. Si potrebbe osservare soltanto che il rischio è quello di assistere al trionfo della retorica e della sofistica sulla ricerca tradizionale “filosofica” della verità.
A mio parere il procedere filosofico di stampo analiticoè quello che risulta più convincente e attuale e in un certo modo supera anche l’ermeneutica di Heidegger e Gadamer. Infatti, oltre a considerare l’origine e il significato storico delle parole che utilizziamo (come suggerito dagli ermeneutici), si concentra sul motivo che ci spinge ad utilizzare tale linguaggio.
Personalmente ritengo molto adeguato e moderno interpretare il linguaggio in chiave finalistica, ovvero interrogandosi sullo scopo del parlante, perchè mi trovo d’accordo con l’idea analitica che ogni nostra affermazione sia mossa da un obiettivo o da un desiderio (concezione, tra l’altro, molto coerente con la prospettiva Freudiana che personalmente prediligo) e penso quindi che tenere presente questo presupposto sia fondamentale nella comprensione del linguaggio.
Considerare i motivi che spingono qualcuno a parlare, infatti, permette di interpretare il suo linguaggio più a fondo e di comprendere quindi anche il messaggio sottinteso o sottaciuto, che si rivela spesso essere quello effettivamente trainante la conversazione o il dibattito.
Hai colto un tratto davvero rilevante dell’approccio analitico (taciuto dagli altri di cui ho letto finora le risposte).
Per “par condicio”, come ho proposto a Marco Orli un paradosso in cui potrebbe essere giudicato incorrere l’approccio “continentale” (ermeneutico), vorrei proporre a te un rischio dell’approccio analitico, in riferimento a quel tratto che hai evidenziato.
Se ogni discorso assume senso in riferimento ai proprio obiettivi, anche il discorso del filosofo analitico avrà la medesima caratteristica. Il collega filosofo analitico dovrebbe dunque discutere le tesi del determinato filosofo analitico ignorando la questione della “verità” o meno di tali tesi (o della loro plausibilità), ma concentrandosi sui loro obiettivi. Ma se così fosse non avrebbe neppure senso la questione di quale approccio, p.e. tra analitico e continentale, sia più attendibile, ma ci si dovrebbe chiedere solo quale sia più utile e in ragione di quali obiettivi. Nessuno accetterebbe il piano del discorso dell’altro, ma tutti eserciterebbero un reciproco sospetto (non a caso evocavi Freud) sugli obiettivi gli uni degli altri. Le questioni agitate (che uso ha il ricorso al termine “Dio” in un discorso) non sarebbero discusse, ma il discorso sarebbe sempre per così dire “spostato” altrove (perché tu ti sei posto la domanda sull’uso del termine “Dio”?, vuoi forse smacherare le pretese dei preti? sei un anticlericale? ecc.).
Ritengo che la filosofia più attuale e convincente sia quella analitica poiché offre gli strumenti adatti per permettere al filosofo di sbarazzarsi di ogni ambiguità: di quei concetti confusi che avevano caratterizzato la cosiddetta “cattiva metafisica”. Dunque essa si pone contro ogni pretesa di universalizzazione e generalizzazione che avrebbe solo allontanato il filosofo dalla risoluzione di una questione o di un problema. Inoltre la filosofia analitica permette di utilizzare il linguaggio come oggetto principale e dunque non più come strumento. A differenza della filosofia continentale che invece vede la letteratura come oggetto (e non il linguaggio). Quest’ultima nominata mi sembra meno convincente perché mette in luce e pone al centro l’esperienza soggettiva e utilizza come strumento anche l’immaginazione. Differenza abissale tra le due filosofie è infine la “questione scientifica”: mentre i continentali ritengono che le scienze naturali non siano le uniche a permettere una spiegazione dei fenomeni naturali; gli analitici invece possiamo definirli “amici delle scienze” poiché ritengono che ci sia un’analogia tra il modo di fare filosofia e il modo di fare scienza, esse richiedono (sempre secondo gli analitici) un lavoro di gruppo, una collaborazione utile a sviluppare e progredire una ricerca (al contrario dei continentali che invece prediligono un lavoro individuale)
Hai sviluppato un ragionamento persuasivo e documentato.
Forse più che la “letteratura” (intendi “filosofica”?) i “continentali” utilizzano linguaggio e letteratura di ogni tempo come lente o filtro per tentare di pervenire all’essenza delle cose (disegno peraltro diretto in Husserl, “ermeneuticamente” mediato in Heidegger e Gadamer), mentre gli “analiticI” sanno che il loro vero oggetto è solo il linguaggio (non la cosa).
Interessanti le tue considerazioni finali sul modo di lavorare “scientifico” che gli analitici apprezzano e adottano (“in gruppo”, su singole questioni problematiche ecc.). Personalmente trovo che la loro forza sia anche la loro debolezza. Dare per “acquisiti”, come molti analitici fanno (non tutti), i risultati delle scienze empiriche significa in parte abdicare all’impegno epistemologico della filosofia (critico della scienza e delle sue pretese9.
secondo il mio punto di vista, la filosofia analitica mi sembra quella più convincente poiché si basa sull’idea che il linguaggio non sia un mezzo neutro in cui formulare i problemi e descrivere la realtà, ma che il linguaggio costituisca il mezzo imprescindibile di accesso alla realtà. La nostra conoscenza del reale è pertanto mediata dal linguaggio; inoltre, mi sembra molto adeguato il metodo di scomposizione del linguaggio che viene utilizzato.
trovo interessante il loro approccio molto preciso nei confronti di un determinato argomento, mentre l’atteggiamento dei continentali, anche se trovo sia in egual modo interessante, penso che spazi troppo su vari argomenti e trovo che facendo ciò non possano al meglio analizzare i quesiti che si pongono.
non trovo che una sia meglio dell’altra, ma apprezzo la minuziosità della filosofia analitica e il loro modo di porre attenzione al “particolare, al “dettaglio, mentre la filosofia continentale si concentra sull’universale.
La tua posizione è chiara. Un po’ meno chiare forse sono le ragioni della tua preferenza, dal momento che non fai esempi concreti di quei modi di lavorare “analitici”, p.e. su questo o quel concetto che ti sembrano così efficaci. Capisco, però, che una breve videolezione, come la mia, su un panorama filosofico così vasto non vi consenta facilmente di approfondire un metodo, ma vi permetta solo di avere un’idea di un approccio.
Ritengo che il mio punto di vista sia più vicino al pensiero espresso dalla filosofia continentale, in quanto mi risulta complicato scindere i problemi su cui si indaga filosoficamente dalla tradizione filosofica che ha portato alla necessità di porsi tali problemi. Una sorta di ricostruzione genealogica e la comprensione del determinato senso storico con il quale ogni teoria si presenta, costituiscono un bagaglio culturale da cui non si può prescindere anche nell’interrogazione riguardo ai problemi contemporanei. La realtà, secondo me, può essere descritta tramite un linguaggio che è l’effetto di una serie di interpretazioni applicate alla nostra precomprensione iniziale (derivante dalla nostra retrocultura), e non indipendente dalla tradizione.
Se tutti i problemi di carattere esistenzialistico (o anche scientifico) venissero ridotti a problemi del linguaggio corrente, si tratterebbe di una banalizzazione non poco rilevante, di una trasformazione del discorso in un pragmatismo troppo spregiudicato. Se utilizzo uno specifico sistema linguistico, oltre a considerare l’uso concreto che effettivamente se ne fa quotidianamente, dovrei analizzarlo in profondità, cercando di comprendere anche come si è arrivati a tale linguaggio, con un insieme di cause-effetti cruciale nella formazione di ciò che penso e come lo penso.
Hai argomentato in modo molto chiaro ed efficace la tua predilezione per la c.d. “filosofia continentale”.
Vi sarebbe da porre forse una questione che qui non si può sviluppare e che chiamerei il paradosso del circolo ermeneutico infinito. Supponiamo che tu voglia comprendere a fondo che cosa intendi per “amore”. Se adotti un approccio ermeneutico (“continentale”) dovresti investigare la “retrocultura”, come la chiami tu efficacemente, che ti influenza, p.e. gli effetti di lungo periodo del Dolce Stil Novo ecc. Tuttavia, chi svolgerebbe tale investigazione saresti sempre tu con la tua “retrocultura”, giusto? La stessa investigazione sarebbe “condizionata” da altri presupposti che andrebbero a loro volta indagati retrospettivamente. E questa ulteriore indagine sarebbe figlia di altri presupposti da indagare e così via all’infinito. Poco male, si direbbe, se il circolo fosse “chiuso”; cioè, se, come nell’esempio che vi ho fatto della parola “legno”, portasse a una comprensione parziale ma verosimilmente sempre più profonda dell'”oggetto”. Disgraziatamente, però, il circolo sembra aperto. Infatti invece di avvicinarti alla comprensione p.e. dell'”amore” apriresti sempre nuove “finestre” (per usare questa metafora multimediale) su altre nozioni senza affatto approfondirle, ma mostrando anche il terreno sempre più insicuro e sdrucciolevole dell’indagine iniziale…
Gli analitici “taglierebbero la testa al toro” all’incirca come segue: poiché nell’inseguire i presupposti dei presupposti della tua nozione di “amore” non si verrebbe a capo a nulla (se non alla messa in luce della generica “storicità” di ogni presupposto e di ogni indagine sui presupposti), vediamo come concretamente adoperi frasi come “ti amo”, verso chi le indirizzi, con quali conseguenze pratiche ecc. (si potrebbe al riguardo evocare il comportamentismo). Tu mentre parli non sei per nulla consapevole della storia dei concetti che usi. Se nella tua famiglia si fosse deciso arbitrariamente di usare la parola “fuffa” al posto di “amore” tu diresti “fuffa”. Ciò che decide del significato di “fuffa” o “amore” è solo il contesto d’uso attuale. Sarà così?
Il metodo che più mi ha convinto (e più mi appassiona) è quello analitico, nello specifico la ripresa di ciò che affermava l’ermeneutica e il pensiero del ‘secondo’ Wittegstein. In primis perchè è assolutamente vero che il significato di una proposizione o di una parola è l’uso che se ne fa: infatti una stessa parola può assumere significati diversi sia per il posizionamento all’interno della frase, sia per l’accento che essa presenta (tipo ‘ancora o anco’ra, utilizzo la virgoletta per sottolineare la cadenza dell’accento), sia per l’intento che essa ha. E qui mi collego al secondo e importante punto della filosofia analitica: ovvero che bisogna prestare attenzione anche al valore d’uso della parola. Infatti tantissime frasi che sentiamo quotidianamente, anche se non in forma esplicita, portano o meglio, vogliono arrivare, ad un obiettivo finale, che è in fin dei conti l’intento comunicativo. Quindi tutte le frasi hanno un intento pragmatico, e condivido pienamente questo punto di vista, anche collegandomi ad esperienze personali: tante volte ho detto delle frasi ad altre persone per indurle a far qualcosa, non dicevo direttamente il mio intento ma cercavo di ‘metterlo/tramutarlo’ nella frase poi espressa vocalmente (ora non mi prenda come un manipolatore, spero si capisca ciò che volevo esemplificarle). Inoltre un ultimo punto che non pensavo e che mi ha fatto stupire più che condividere l’idea è quello sul fatto che non ci siano veri problemi filosofici, ma è tutto una incomprensione data dal differente modo di intendere e significato che si da ad una parola, è un argomentazione che vorrei approfondire di più dato che non saprei dirle se sono d’accordo o no.
Concludo dicendo che sarebbe bello poter affrontare anche il tema sulla ‘filosofia della mente’, dato che mi ha subito incuriosito anche da ciò che ha detto a riguardo all’inizio del video (ovviamente so che è impossibile trattarla per problemi di tempo)
Risposta molto personale e vissuta, davvero apprezzabile. Posso inviarti privatamente un testo relativamente breve dove si parla di alcune questioni di filosofia della mente, senza alcun impegno da parte tua. Se ne leggerai prima dell’esame e le condizioni lo consentiranno potrai parlarne (ovviamente la cosa sarà apprezzabile perché al di là del programma ufficiale). Altrimenti potrai leggerlo quando ti capiterà, quest’estate o quando vorrai.
A mio parere la filosofia analitica mi sembra più convincente per il suo modo di scomporre il linguaggio utilizzato e per l’ approccio preciso sui particolari nell’affrontare un certo argomento. Ritengo comunque anche la filosofia continentale piuttosto valida perché penso che con il suo metodo di spaziare maggiormente gli argomenti sia efficace appunto in certi tipi di argomenti da affrontare. Infatti mi sembra che i due approcci possono essere efficaci in base all’argomento da affrontare, e all’analisi che si necessita di quest’ultimo; o più universale o più dettagliata.
La risposta è abbastanza convincente anche se eccede in sintesi. Eviterei di scrivere “A mio parere… mi sembra…” (o l’una o l’altra cosa).
La filosofia continentale sicuramente è più vicina alla mia cultura, ma il pensiero degli analitici mi sembra essere più moderno e al passo con il modo di oggi, ormai basato quasi interamente sulla comunicazione. Gli analogici prendono in considerazione il messaggio che vuole essere comunicato e prestano attenzione soprattutto nell’uso delle parole (a differenza degli ermeneutici che si interrogano sul significato che il discorso o la preposizione ha). Al giorno d’oggi è importante l’uso attento e intelligente della parola che può servirci non solo a scuola per fare una buona interrogazione, ma anche nel mondo del lavoro per pubblicizzare un prodotto e incentivare un cliente, attraverso un discorso “attraente”, a comprare il mio prodotto . Saper giocare con le parole è fondamentale non solo per presentare qualcosa sotto una nuova luce, ma addirittura per nascondere il vero significato del nostro discorso ( tanto ricercato dagli empiristi), come fanno molti oggi.
A mio parere tra i due pensieri filosofici quello più convincente è quello continentale, in particolare l’ermeneutica di Heidegger. La trovo infatti contemporanea e facilmente capibile da tutti. Infatti, non solo condivido il pensiero di H. sull’impossibilità di fare epochè, ma anche sul fatto che secondo il filosofo l’essenza delle cose si manifesta spesso, in particolare tramite l’arte e la poesia, ma noi non siamo in grado di spiegarla attraverso le parole proprio a causa della continua interpretazione che diamo alle cose e alle persone. Inoltre H. distingue il nostro vissuto in due categorie: uno inautentico, secondo il quale viviamo come tutti gli altri senza domandarci mai il perchè e dove passato e futuro si eguagliano; una autentica che nasce nel momento in cui ci rendiamo conto del limite dell’essere (cioè la morte), ed iniziamo così a vivere in maniera originale vivendo pienamente il tempo e dando un significato irripetibile alle cose e alle persone.
Per quanto riguarda la filosofia analitica invece, la trovo valida ma non condivido il fatto che riduca ogni problema filosofico ad un problema linguistico, perchè a mio parere la filosofia analizza ogni angolo della realtà, ed in quanto tale deve differenziarsi ed avere diverse sfaccettature ed interpretazioni.