Cari studenti, purtroppo, come avete visto, non sono potuto venire a scuola l’ultima settimana prima delle vacanze (per vostra gioia?).
Colgo l’occasione per farvi i miei migliori
auguri di Buon Natale e Felice Anno Nuovo.
Comunque, in vista della verifica di Filosofia programmata per lunedì 13 gennaio fareste bene a ripassare l’intero modulo, articolata nell’unità didattica su Schopenhauer e in quella su Nietzsche, studiando autonomamente le parti del manuale su Nietzsche (indicate nell’unità) che non ho ancora avuto modo di spiegarvi, come so che già alcuni di voi hanno intenzione di fare.
Per “controllare” la vostra preparazione non c’è niente di meglio, a studio concluso, che svolgere il seguente esercizio, diciamo per mercoledì 8 gennaio (il tempo di riambientarvi), cioè entro le ore 24 di martedì 7 gennaio.
- Alla luce dello studio del pensiero di Schopenhauer e Nietzsche il sospetto lanciato da questi autori su certi valori e credenze ti sembra giustificato (anche solo in parte) o, viceversa, tali valori e credenze ti sembrano del tutto ragionevoli e fondati?
A mio parere il sospetto lanciato da Schopenhauer e Nietzsche su alcuni valori e credenze non è per niente giustificato e ragionevole.
Ritengo che il pensiero di Schopenhauer, secondo il quale esiste una distinzione tra fenomeno, cioè la realtà come ci appare, e noumeno, cioè la realtà che si nasconde dietro l’inganno, sia abbastanza fondato ma non concordo sull’idea che l’uomo per superare l’inganno deve viversi solamente come corpo. Ritengo anche che non sia fondata l’idea che esiste un’unica volontà comune a tutti gli uomini che è la vera essenza della vita in quanto da questa affermazione deriva l’idea che la vita è dolore e sofferenza.
Della filosofia di Nietzsche invece non mi convince nessun’idea formulata a partire dal cosiddetto “periodo illuministico”. In questo periodo infatti il filosofo giudica la metafisica, l’arte e la religione, valori sui quali aveva precedentemente fondato la propria visione della vita. Concordo però con l’idea che, nel caso in cui decidessimo di non accettare nessuno dei valori precedentemente condivisi dal genere umano, sarebbe necessario che un “suoperuomo”, dopo aver preso coscienza delle cose, reinventasse e conferisse nuovamente un senso al mondo.
Non è chiaro perché queste opinioni non ti convincano. In particolare, ti sembra che i valori su cui questi autori gettano l’ombra del sospetto abbiano un fondamento metafisico, piuttosto che storico, proprio quello che costoro negano? Ti convince di più, p.e., la concezione di Platone e Aristotele e, per conseguenza, quella della teologia cristiana ufficiale?
Tra fine 800 e inizio 900 prima un ondata di positivismo, seguita da un periodo di profonda crisi (decadentismo), destabilizzarono molti ideali. In questo clima generale di caos si aggiunsero anche la ricerca scientifica e tecnologica ad imporre alla gente processi dimostrativi della ragione puramente logici e, successivamente le teorie di Darwin secondo le quali noi uomini siamo frutto della casualità della selezione naturale. Proprio a causa di questo alternarsi di idee e soprattutto per questa messa in discussione di antiche credenze mi sembra giustificato il sospetto dei cosiddetti maestri del sospetto tra cui Nietzsche e Schopenhauer. Seppur non posso dire essere certamente fondate le teorie dei due filosofi ritengo che abbiano messo in discussione proprio i pilastri della società: la religione (che fin da sempre era stata la salvezza per i popoli) e la natura della moralità (che in un clima di incertezza si andava cercando). Per quanto riguarda la religione il sospetto c’è sempre stato e sempre ci sarà fino ai giorni nostri e lo considero ragionevole dal momento che, come ho già detto, credere in qualcosa di divino, soprattutto in antichità, è stato fondamentale. Per quanto riguarda la moralità, invece, penso che il sospetto di Schopenhauer, poi ripreso anche da Nietzsche, sia un fattore innovativo, non scontato e ragionevole proprio perché effettivamente fa riflettere sul fatto che proprio per le contraddizioni che essa stessa cela, l’unica morale che dobbiamo seguire è il nostro istinto.
Interessanti considerazioni. Non mi è chiaro se la valutazione finale è “tua” o è riferita all’epoca in cui gli autori studiati vissero (cioè se tu ritenga ancora attuale l’esercizio del sospetto o soltanto storicamente plausibile nello specifico contesto culturale che hai lumeggiato).
Ritengo che il sospetto di Schopenhauer e Nietzsche sia dovuto alla necessità di “smascherare” quelle ideologie che propongono visioni consolatrici di un’esistenza alla quale l’uomo non è in grado di aderire completamente per la sua natura intrinsecamente crudele e priva di ordine. Secondo i due filosofi Dio, l’amore e l’ordine cosmico non sono altro che il prodotto di un autoinganno a cui l’uomo cerca di convincersi per poter fronteggiare una realtà altrimenti caotica e insensata, nella quale si sentirebbe smarrito e che pertanto sceglie di rifiutare; ciò che distingue l’uomo dal superuomo è proprio il coraggio da parte di quest’ultimo di accettare la realtà e lo smarrimento generato dall’assenza di un punto di riferimento (a causa della “morte di Dio”), sfruttando al tempo stesso tale condizione come spunto per un’esistenza libera dai vincoli della metafisica e della religione (secondo Nietzsche).
Cruciale è anche il concetto di “libertà della filosofia”, sottolineato da Schopenhauer, secondo cui la filosofia dovrebbe esprimere con autenticità le proprie tesi e dubitare di qualsiasi filosofia accademica che assecondi le idee dello Stato dal quale viene retribuita.
L’analisi è convincente. Tuttavia, ti si chiedeva non a che cosa il sospetto fosse dovuto e che cosa fosse cruciale per intenderlo, ma se esso fosse giustificato. La domanda richiedeva una presa di posizione personale relativamente alla legittimità e fondatezza dell’esercizio del sospetto, presa di posizione che in parte trapela dalle tue parole ma non fino in fondo.
Esercitare il sospetto è giustificato, ossia è ragionevole e giusto esercitarlo? Questo è un quesito molto interessante e sicuramente pertinente all’ultimo capitolo di filosofia sui “maestri del sospetto”.
Prima di tutto avrei piacere che cosa si intende con esercizio del sospetto e quali siano i maggiori esponenti di tale visione della vita e della realtà che ci circonda. Il primo di tutti è sicuramente Schopenhauer, il quale ritiene che noi non abbiamo una esperienza realistica ed oggettiva della realtà, ma piuttosto una semplice rappresentazione di quest’ultima, ossia che le ragioni che noi diamo alle nostre azioni, riguardano solo la nostra rappresentazione, che essendo a posteriori, la quale parrebbe essere illusoria.
In altri termini, lui distingue la realtà in sé stessa da ciò che noi stessi ci “raccontiamo” o pensiamo di cogliere da quest’ultima, dove dietro opererebbe una volontà universale verso l’intento di colmare una insoddisfazione, che è incoercibile e inappagabile. Tutto è un’illusione, ossia il Nichilismo.
L’esercizio del sospetto non è altro che un “parente moderno” occidentale, da cui discende, del Nichilismo, infatti, quest’ultimo non è altro che l’applicazione pratica alla ricerca delle ragioni di affermazioni, credenze, opinioni; ossia non chiedersi unicamente se ciò che si dice è vero, ma anche quale sia la ragione per la quale si parla.
Per capire meglio tutto ciò possiamo fare un esempio: mettiamo caso che un candidato in lizza diventare un esponente politico di rilievo a un suo discorso prometta ai cittadini di portare benessere e progresso, ma dietro le motivazioni che motivano quest’ultimo a volersi candidare potrebbero essere altre rispetto al bene dei cittadini, per esempio il benessere personale, avanzamento di carriera, denaro e prestigio. Tramite l’esercizio del sospetto, io non faccio altro che chiedermi se tutto ciò che appare è veramente come sembra, cioè, in questo caso, chiedermi se il candidato (con i suoi obbiettivi) sia sincero o no.
A mio parere, tale esercizio è utile per varie ragioni.
In primo luogo, come dice anche il detto “non è tutto oro ciò che luccica”, molte volte le cose non sono come dovrebbero e quindi potremmo venire ingannati o ingannare noi stessi, affidandoci con troppa fiducia alle nostre prime impressioni e opinioni (rappresentazioni). Di conseguenza, io ritengo efficace “analizzare” le situazioni e le azioni nostre e degli altri, porsi la domanda su quali siano le ragioni di fondo in maniera tale da avvicinarsi il più possibile alla verità, e anche se in molti casi ci è impossibile, almeno ci saremmo fermati davanti alle cose e capito che le cose potrebbero non essere come appaiono.
In secondo luogo, l’esercizio del sospetto è utile anche a noi stessi e al fine della nostra maturazione e crescita, infatti, una persona che esercita tale sospetto si pone regolarmente delle domande, che sicuramente aiutano la crescita della sua capacità critica e di analisi delle situazioni, opinioni e azioni proprie e altrui, discostandosi dalle persone che in molti casi potrebbero diventare o essere credulone.
Nonostante tali aspetti positivi, tale esercizio presenta delle ombre. Infatti, nella vita criticare e dubitare sempre di tutto significherebbe quasi non credere di primo impatto a niente, ossia non avere fiducia di come ci sembrano veramente le cose, le quali potrebbero anche essere come ci appaiono. Tale nostro atteggiamento andrebbe a discapito delle relazioni tra le persone, le quali non di fiderebbero più delle ragioni alla base delle azioni delle altre ì, supponendo in certi casi il peggio e quindi non avendo fiducia l’uno nell’altro.
Mi sembra che le tue riflessioni personali siano davvero interessanti e condivisibili, dimostrando una capacità di critica e autocritica notevole. Tra l’altro la qualità dell’esposizione è decisamente migliore del solito.
Ho notato solo un’imperfezione, allorché scrivi:
“L’esercizio del sospetto non è altro che un “parente moderno” occidentale, da cui discende, del Nichilismo, infatti, quest’ultimo non è altro che l’applicazione pratica alla ricerca delle ragioni di affermazioni ecc.”
La ricerca della ragioni ecc. è appunto l’esercizio del sospetto, non il nichilismo. Nichilistico può esserne il presupposto (“niente ha senso, niente è vero”) o il risultato. Il fatto poi che tu parli a proposito dell’esercizio del sospetto di un “parente moderno” mi fa pensare che tu abbia confuso la questione del rapporto tra sospetto e nichilismo con la questione del rapporto tra scetticismo antico e nichilismo moderno. In sostanza la tua frase andrebbe rovesciata così:
“Il nichilismo non è altro che un “parente moderno” occidentale dello scetticismo, da cui discende. Il primo si differenzia dal secondo per il fatto che di dare luogo a un esercizio del sospetto, cioè alla ricerca delle ragioni di affermazioni ecc.”
Il sospetto lanciato da questi autori nei confronti delle credenze e dei valori morali su cui la nostra società è fondata è assolutamente corretto. Condivido l’idea nichilista dell’assenza di un vero significato della vita, soprattutto perché studiando materie come storia o filosofia mi sono trovata sempre di fronte a diverse spiegazioni di questa, una valida pressoché quanto l’altra, e ho sempre percepito diverse morali all’inferno di culture diverse o addirittura la stessa nel tempo. Prendiamo ad esempio l’idea di giustizia, un tempo vigeva la legge del taglione, che era considerata una giusta punizione, oggi guardiamo con orrore una simile pratica e siamo volti piuttosto a punizioni diverse meno violente. Questo mette in luce quanto i valori su cui ci basiamo nella nostra vita siano una costruzione della società e che potrebbero tranquillamente, come lo sono state, essere diverse, anzi a volte è un obbligo che mutino forma. Parlando invece dell’essere umano e della sua provenienza e del suo scopo in questo mondo credo sia inutile discuterne poiché non siamo in alcun modo sicuri di alcunché, possiamo raccontarci storie come la religione, che era stata messa in crisi da molti già prima dei nichilisti, oppure sentirci creature amate dall’evoluzione il cui compito è portare ordine, nulla di ciò ha senso. Inoltre siamo quel che siamo anche grazie alla storia, se ad esempio il cristianesimo non avesse preso piede il concetto di libero arbitrio non sarebbe nemmeno risultato essere un problema di alcun tipo.
Detto ciò non condivido le soluzioni a questa assenza di significato avanzate dai due filosofi trattati (l’uno la disperazione, l’altro il super uomo), ma proporrei una soluzione più positiva basata sul fatto che, non avendo un significato la nostra vita di suo, possiamo darle noi una motivazione e accettati o repressi i limiti che la società ci propone cercare di perseguire questo nostro desiderio (essendo consapevoli che se si desidera compiere atti contro le leggi della società si rischi di incorrere in punizioni o altro).
L’analisi è convincente. Sarebbe interessante che tu (in altra occasione) chiarissi e approfondissi la tua “soluzione più positiva”. Se prescindiamo da certi eccessi del superuomo nietzschiano (o meglio a lui attribuiti), la tua concezione non sembra molto lontana da quella di Nietzsche, se la intendo bene: il senso verrebbe dato da ciascuno di noi come in un gioco, nella consapevolezza della sua relatività e caducità, e in relazione ai nostri desideri/istinti (e con la dovuta intelligente attenzione alle regole sociali, non per moralismo, ma in chiave utilitaristica). L’oltreuomo nietzschiano, se inteso come il “fanciullo” di Eraclito che gioca con la tavole dei valori (e potrebbe essere rappresentato da certi anti-eroi della letteratura come p.e. Zeno Cosini in Svevo), non mi sembra lontano da questo orizzonte.
Il sospetto lanciato da autori quali Nietzsche e Schopenhauer pare a me giustificato. Essi infatti si vanno a collocare in un periodo in cui la scienza trionfa ed è proprio quest’ultima ad intimarci di “scavare nel profondo” in modo da smontare tutte quelle credenze o illusioni che non abbiano una spiegazione scientifica verificabile. Inoltre, dal mio punto di vista, cosi come pensa Schopenhauer, esiste una differenza tra il modo in cui noi descriviamo le cose e le cose come sono in loro stesse. Mi sembra, dunque, più che lecito dubitare sia della verità di un concetto sia della ragione per cui si sostiene una tesi. È interessante, poi, anche chiedersi se questa ragione sia frutto di noi stessi e del nostro istinto oppure, come specifica Nietzsche, sia una lettura a posteriori data dalla morale di “gruppo” alla quale l’individuo tende a conformarsi.
Interpretazione chiara e cristallina.
A mio parere, il sospetto lanciato prima da Schopenhauer e poi da Nietzsche su alcuni valori e credenze è giustificato, infatti è sufficiente svolgere un’analisi genealogica della morale, come quella svolta da Nietzsche, per mostrare come il carattere storico dei valori etici si basi su motivazioni create dall’uomo, non realtà ma interpretazioni umane di quest’ultima, e quindi per rendere infondati i valori alla base della nostra società.
Lettura del tutto legittima, anche se non approfondita e argomentata fino in fondo (nel senso che rinvii alle argomentazioni di Nietzsche, ma non ne sviluppi di tue a sostegno della prospettiva nietzschiana).
A mio avviso il sospetto di questi autori nei confronti di certi valori e credenze mi sembra fondato.
Infatti il loro sospetto riguarda tematiche a cui nessuno ha mai risposto con certezza, come, ad esempio, Nietzsche fa nei confronti della religione. Egli infatti si interroga sulla figura di Dio: esiste davvero o è solo una credenza umana al fine di dare risposta ai grandi interrogativi della vita?
A tutto ciò tuttavia non si può dare una risposta esatta poiché non si può provare l’esistenza di Dio, dunque ne rimane il sospetto che tutto ciò sia reale o illusiorio.
Attenzione a non confondere sospetto con dubbio. Dubbi sull’esistenza di Dio ce ne sono stati sempre. Anche la negazione della sua esistenza, l’ateismo, è molto precedente ai “maestri del sospetto” (senz’altro vi furono atei nel Settecento illuministico). Ma il sospetto non consiste solo nel dubitare p.e di Dio (o dei valori). Consiste nel indovinare e denunciare le ragioni inconfessabili che ci fanno credere, ossia nel mettere in luce quello che si nasconde sotto le nostre credenze.
Concordo con il pensiero di Nietzsche che distrugge ogni certezza, verità e tradizione per creare una nuova umanità fatta di oltre-uomini amanti della vita. Inoltre critica la coscienza definendola non “la voce di Dio nel petto dell’uomo”, ma “l’istinto del gregge nel singolo”. Mediante l’uso individuale della volontà l’uomo può trasformarsi stesso in oltre uomo cioè quello che scegli rifiutare vecchi valori fondati sull’ipocrisia e su certezze labili per pervenire a valori autentici. Mentre l’ultimo uomo agisce sulla base di valori falsi illusori oltre uomo è mosso dalla volontà di potenza che lo rende artefice di se stesso e gli permette di giungere ad una nuova concezione del tempo l’eterno ritorno.
Dopo “concordo con il pensiero di Nietzsche che ecc.” segue un riassunto del pensiero di Nietzsche, ma nessuna giustificazione del tuo accordo con lui. Le stesse parole che usi suonano “nietzschiane” sicché non si scorge, neppure in controluce, il tuo effettivo pensiero, le ragioni per le quali ritieni fondato l’esercizio del sospetto. Tra l’altro ti diffondi a descrivere le “prodezze” del superuomo, ma il quesito non riguardava genericamente la dottrina di Nietzsche o la sua concezione del superuomo, bensì l’esercizio del sospetto.
Schopenhauer e Nietzsche vengono definiti maestri del sospetto perché smantellano le certezze dei loro tempi, mettendo in discussione cose che tutti davano per certe.
Entrambi hanno visioni pessimistiche della vita, Schopenhauer però è da considerare come fatalista, infatti afferma che la vita è come un pendolo che oscilla tra la noia e il dolore; Nietzsche condivide questa teoria però pensa sia indispensabile superarla per godere dei piaceri della vita.
Come maestro del sospetto Nietzsche dubita delle ragioni della morale, e allo stesso modo di Schopenhauer, pensa che le cose che appaiono e le azioni che compiamo, ispirate a valori morali e virtù, nascondano l’istinto. Il primo pensa che si debba diventare superuomo, lasciarsi andare alla volontà di potenza e ai propri istinti prendendo filosoficamente la vita; mentre il secondo si abbandona al pessimismo e cerca di estinguere la volontà.
Non ti si chiedeva di riassumere le concezioni dei due pensatori, ma di esprimere il tuo punto di vista su di loro, in particolare sull’esercizio del sospetto che entrambi condividono.
Personalmente ritengo che questi due filosofi lanciando il sospetto su dei valori o tradizioni, legati ad un popolo, alla ricerca della verità svolgano un lavoro corretto e positivo guardando il mondo secondo una prospettiva diversa che prevede un distacco dalla razionalità e da tutto ciò che vede un ordine del mondo e delle specie. Sebbene ritenga che questo pensiero sia positivo lo vedo anche negativo in parte quando applicato direttamente alle persone che ritrovano confutate le credenze o i valori di una vita non sapendo ad un certo punto quali siano corrette e giuste e quali siano sbagliate e negative. Quindi in sintesi penso che fare aprire gli occhi alle persone riguardo a delle verità sia una cosa abbastanza positiva sebbene questa possa stravolgere completamente l’ideale delle persone a cui si propone.
Più che qualcosa di positivo e di negativo insieme, come ti esprimi, (tesi che sfiora la contraddizione, anche se conferisci ai due termini evidentemente significati diversi) intendi probabilmente che l’esercizio del sospetto da un lato sia fondato, cioè capace di smascherare effettive “menzogne” che ci raccontiamo e che coprono la “verità” (come stanno esattamente le cose, p.e. riguardo a Dio), dall’altro lato, ma proprio per questo, possa rivelarsi pericoloso per persone che non sono poi in grado di sopportare la verità emergente. Mi sembra un po’ come il dilemma in cui si trovasse un medico che non sapesse se dire o meno la verità a un suo paziente circa la grave malattia di cui costui fosse affetto, per timore degli effetti collaterali, psicologicamente devastanti, di una tale rivelazione.
Nietzsche che Schopenhauer grazie alle loro supposizioni e sospetti riescono a porre dubbi e domande su tutti i valori e credenze comuni portando ad una nuova definizione di verità. Secondo loro non si può pensare alla verità come descrizione oggettiva delle cose.
La verità assume un nuovo significato che accompagna il fluire della vita. La verità non esiste di per sé e non è qualcosa di determinato; la verità è ogni verità. Questa presenta alla sua base fondamenda storicamente diverse che sono la nostra appartenenza ad una cultura, una società o una struttura psicologica. Questa critica all’idea di verità annienta la comune credenza di un unica verità come origine di tutto. Il loro pensiero funziona come terapia contro le comuni credenze e tradizioni e mira a liberare le persone dai gioghi imposti nei secoli.
Ritengo che le loro formulazioni siano fondamentali e fondate.
La risposta è formalmente corretta ma poco personale. Ti concentri sulla questione della verità (che peraltro non copre tutta la questione del “sospetto”) e ti limiti a dirti d’accordo con la “formulazioni” dei due autori. Ma perché sei d’accordo? I due non esagerano talvolta? Non potrebbe essere che alcuni valori a cui costoro irridono siano in effetti più fondati di quello che essi sospettano?
La versione più grammaticalmente corretta
Dal mio punto di vista la concezione di una parte irrazionale della mente e il sospetto che la società ci insegni a reprimerla sono pensieri giustificati dal contesto storico in cui vivono i due autori sopracitati, in particolare gli atteggiamenti, che derivano dal pensiero positivista, molto cinici e freddi da parte della società non possono che far pensare (sperare) a questi autori la presenza di una vitalità repressa all’interno di loro stessi.
Non è chiaro che cosa tu intenda con “gli atteggiamenti, che derivano dal pensiero positivista, molto cinici e freddi da parte della società” e perché tali atteggiamenti facciano pensare alla presenza di una vitalità repressa. Forse ti riferisci alla critica di Schopenhauer al mondo come rappresentazione (che i positivisti, peraltro storicamente successivi, scambierebbero per “realtà”)? Ma non è la “freddezza” o il “cinismo” della prospettiva positivistica a far sospettare Schopenhauer (che, tra l’altro, quanto a cinismo può essere considerato a sua volta un campione), ma la sua mancanza di fondamento a livello filosofico.