Nell’ultima unità didattica dedicata alla c.d. “filosofia continentale” incontri una prima corrente filosofica diffusa nel nostro continente, la fenomenologia, risalente alle ricerche di Edmund Husserl (nel frattempo ho inserito anche la videolezione su Heidegger e Gadamer, ma per ora puoi ignorarla con i connessi riferimenti testuali). La sfida è essenzialmente quella di restituire al sapere filosofico un ruolo nel quadro della rifondazione dei saperi nel nuovo clima dei primi del Novecento.
- Questa sfida ti sembra riuscita? Può secondo te la filosofia assolvere anche oggi un ruolo come fenomenologia nel senso di Husserl?
Nel quadro della rifondazione dei saperi nel nuovo clima dei primi del Novecento, ritengo che la sfida di Husserl di conferire alla filosofia un ruolo di rifondazione della scienza in modo rigoroso sia riuscita.
Husserl infatti, “sfruttando” la crisi delle certezze e della scienza, afferma che, per rifondare la scienza, dobbiamo cogliere la realtà in se stessa, cioè dobbiamo interrogarci sui fenomeni non tenendo conto delle convinzioni che già abbiamo. Husserl indaga anche sulla coscienza: questa è il residuo fenomenologico dell’epoché e viene indagata in relazione ai propri oggetti, infatti non esiste senza di questi e questi non esistono senza di lei. In generale Husserl cerca di distinguere i fatti dalle loro interpretazioni sospendendo il giudizio dello scienziato che esamina i fatti.
Ritengo che, nonostante il processo teorizzato da Husserl sia molto complicato da attuare, teoricamente parlando sia il più adatto fra quello studiati fino ad ora per analizzare gli oggetti e il mondo che ci circonda.
Risposta davvero buona per le seguenti ragioni: è data con grande anticipo sulla scadenza, coglie aspetti della fenomenologia che hai ricavato dal manuale o da altre fonti senza limitarti soltanto alle mie indicazioni scritte e orali, è ben argomentata. In effetti “il processo teorizzato da Husserl è molto complicato da attuare”. Sono curioso di sapere come giudicherai la prospettiva di Heidegger e, in particolare, le critiche che costui muove al suo maestro Husserl.
Come sappiamo il Novecento è un secolo denso di eventi e scoperte scientifiche e filosofiche con una notevole importanza storica, dove teorie come la relatività, l’avvento della fisica quantistica e la nuova grande fiducia nella scienza hanno cambiato notevolmente la mentalità delle persone e il loro approccio all’esistenza. Inoltre, la filosofia, la quale fino ad allora aveva mantenuto un ruolo importante a livello culturale, sembra essere sempre meno considerata e ritenuta importante anche a cause del giudizio che i maestri del sospetto avevano di essa. Da questo punto di vista, Husserl continua ad avere fiducia nel ruolo della filosofia, cercando di farla risorgere come sapere rigoroso come in passato, poiché la ritiene che sia possibile cogliere la realtà come essa è in sé stessa tramite quest’ultima. Quest’ultimo ritiene che per ridare alla filosofia quell’importanza sia necessario in primis lasciare da parte ogni modello interpretativo, concentrandosi sul nostro vissuto tramite il quale saremmo capaci di capire anche il vissuto degli altri. Quindi non bisognerebbe concentrarsi sullo spiegare le cose, quanto a capire prima cosa significano queste ultime per me. Infatti, questo interrogativo precede ogni prova o esperimento empirico ed è utile a mappare la realtà, distinguere i contenuti della coscienza, evitando che ci siano equivoci in un secondo momento. Questa mappatura della realtà in regioni ontologiche ci permette di giungere alle essenze senza che tali risultati possano essere smentiti da qualsiasi esperimento, poiché dipendono dalla nostra coscienza. La coscienza non può essere oggetto, ma unicamente condizione stessa dello studio. Ma Husserl ha completato questa sfida? La filosofia ha riacquistato un ruolo? A mio parere, nonostante la teoria di Husserl sia pienamente sostenibile da alcuni, personalmente non ritengo che sia molto convincente. Infatti, “abbandonare le interpretazione e concentrarsi sulle cose in quanto tali” rappresenta un ostacolo che nonostante sia facile da spiegare, è più complesso di quanto sembri. Infatti, tale meccanismo richiede che un individuo riesca ad abbandonare ogni giudizio che ha su qualcosa di cui fa scienza e definirne un significato sulla base del mio vissuto, ma a mio parere noi siamo figli del pregiudizio. Tutti noi siamo figli dell’epoca e della cultura che abbiamo alle spalle, la quale influenza necessariamente la concezione che noi abbiamo delle cose. Supponiamo che una persona si ponga l’interrogativo su quale sia il significato di innamorarsi per lei, e supponiamo che riesce a delinearne un significato sulla base del proprio vissuto, siamo veramente sicuri che tale significato sia totalmente privo di giudizi impliciti? Ciò che ci sembra non è com’è a mio parere, perché questi pregiudizi sono molto più radicati in noi di quanto si possa pensare e anche se qualcuno tentasse di allontanarsene, sì riuscirebbe a intravedere la verità, ma non riuscirebbe mai a raggiungerla. Nonostante ciò, mi sento comunque in dovere di dire che appoggio anche qualche aspetto alla fase della visione fenomenologica, come l’importanza in ogni caso di effettuare un lavoro di introspezione, anche se sarà impossibile abbandonare totalmente i pregiudizi; oppure sul ruolo importante che la coscienza svolge in tale lavoro. Da questo punto di vista mi sento più legato alla filosofia Ermeneutica rispetto a quella Fenomenologica, anche se condividono alcuni aspetti in comune, come l’essere d’accordo che sia necessario partire da noi per conoscere il mondo.
Hai discusso Husserl muovendo implicitamente proprio da una prospettiva simile a quella di Heidegger e degli “ermeneutici”. In effetti è difficile liberarsi dai propri pregiudizi.
Certo, per sostenere questa tesi avresti anche potuto semplificare grandemente la prima parte della tua risposta che si diffonde in aspetti particolari poco pertinenti alla tua giusta osservazione critica.
Intendendo per filosofia, la scienza che analizza e tenta di comprendere il mondo in cui viviamo con tutte le sue cose, persone e dinamiche interpersonali, ritengo che il sapere a lei connesso abbia un ruolo importante e che quindi la sfida sia riuscita. Infatti è proprio essa che ci permette di approfondire concetti e di capire realmente le cose, senza limitarci ad una conoscenza mnemonica e superficiale. Sicuramente oggi la filosofia può assumere il ruolo della fenomenologia di Hussler, infatti anch’essa presuppone una sospensione di giudizio e dei presupposti imparati fino ad ora per procedere con un’analisi dei fenomeni che ci permettono di fare esperienza e vivere le cose, che diventano parte integrante di noi e non solo concetti teorici. Esattamente come aveva fatto Albert Einstein agli inizi del Novecento quando ha messo in discussione tutti i principi teorici fino a quel momento studiati per descrivere qualcosa che lui ha pensato e vissuto.
Sono curioso di sapere se la penserai nello stesso modo dopo aver studiato Heidegger e Gadamer.
Non assocerei Husserl a Einstein: nella prospettiva del primo il secondo non ha messo in gioco il suo vissuto, ma proprio al contrario un modello astratto. Il tempo vissuto (cfr. Bergson) non è certamente il tempo spazializzato relativistico. Non viviamo dilatazioni temporali e contrazioni spaziali.
A mio parere la filosofia, nei primi anni del 900, ottenne un ruolo nel quadro della rifondazione dei saperi dal momento che, grazie alle critiche di Husserl sulle psicologie scientifiche che mescolavano considerazioni tratte da osservazioni di vario tipo con ipotesi antropologiche sulla natura del soggetto analizzato, la filosofia divenne l’unico modo per tornare a vedere le cose stesse, per come esse apparivano (fenomeni) al soggetto che le percepiva. Proprio per questa nuova importanza data alla filosofia, essa entrò in gioco come nuovo modo di pensare e divenne oggetto di discussione al pari delle discussioni epistemologiche del tempo infatti, nello scenario del 900, stava ad ogni persona la scelta di sfruttare metodi più scientifici o più filosofici. Per quanto riguarda la filosofia, secondo me può esistere come fenomenologia nel senso di Husserl però in rari casi poichè al mondo d’oggi, dominato fino a pochi mesi fa da una frenesia data dalla modernità e dal progresso, la cosa che interessa di più è chiedersi “perché qualcosa esiste” e non riflettere su “che cosa esso sia” poichè richiederebbe troppo tempo. Tuttavia, pur ammettendo anche che uno si interroghi sul “che cosa esso sia” forse sarebbe difficile attuare l’epoché, ovvero la sospensione del giudizio naturale sul mondo, dal momento che non tutti sono in grado di eliminare i propri pregiudizi. Proprio per questo, seppur non in ugual modo a come lo intendeva Husserl, ritengo che anche al giorno d’oggi una determinata cosa è in relazione al vissuto del soggetto che la vive infatti possiamo dire di aver coscienza del sentimento della paura solamente se abbiamo avuto un’esperienza diretta di questo fenomeno tuttavia non possiamo applicare alla lettera tutte le “condizioni” che applicò Husserl.
Mi sembra che tu abbia espresso un’opinione equilibrata anche se meritevole di approfondimento. Forse lo studio di Heidegger e dell: ermeneutica potrà aiutarti a completare il tuo pensiero.
Husserl insisteva sulla necessità di sospendere il giudizio naturale che abbiamo del mondo (“fare epoché”) nell’osservazione dei fenomeni: tale approccio porta a una comprensione intuitiva delle essenze che precede una conoscenza empirica e condizionata dal nostro vissuto. Per ottenere questo risultato è necessario porsi nell’atteggiamento dello “spettatore disinteressato” che implica un distanziamento dal mondo (che non si annulla, ma rimane ininfluente) in modo da rivolgere la propria indagine alla pura essenza dei fatti e degli oggetti.
Sicuramente si tratta di un criterio fenomenologico auspicabile in quanto teoricamente in grado di fornire una comprensione oggettiva e assoluta della realtà, ma dal punto di vista pratico non mi è chiaro come possa essere possibile il raggiungimento di una simile condizione.
Mi sembra inoltre che una forma di conoscenza del tutto slegata dal mondo e dal contesto possa essere penalizzante: riportando l’esempio della penna, una sua completa comprensione può essere ottenuta solo considerando la funzione che deve assolvere nel mondo esterno e fenomenico (ossia quella di scrivere). Se considerassi la penna nella sua pura essenza perderebbe di significato.
Buona argomentazione. In effetti in un orizzonte ermeneutico la penna è tale in relazione all’uso che se ne fa, che, tra l’altro, può essere diverso in contesti diversi.
Come forse sai questa tua critica a Husserl è assai simile a quella di Heidegger, Gadamer e dell’ermeneutica.
Secondo me Husserl è riuscito attraverso la filosofia a rifondare il concetto di scienza.
Mettendo da parte il concetto di scienziato che esamina i fatti e quindi in un certo senso li contamina si dovrebbe identificare i fatti senza tener conto delle sue interpretazioni. Dovremmo anche cercare di indagare sui fenomeni senza usare le nostre convinzioni.
Questo metodo è il più convincente secondo me; non bisogna farsi influenzare dalla propria esperienza, dal proprio essere quando si analizzano i fenomeni. Quello che conta sono i fatti e non le loro interpretazioni.
Come fai a scrivere una cosa del genere “dopo” aver scritto quello che hai scritto a favore dell’ermeneutica di Heidegger?
Il metodo di Heidegger mi era sembrato convincente appunto tenendo conto delle proprie esperienze e interpretazioni ma dopo aver compreso a fondo Husserl ritengo il suo sia il migliore. Personalmente quindi analisi non è interpretazione
Poiché Heidegger muove proprio da un critica a Husserl questa “inversione” della rilevanza dei due autori appare scarsamente giustificata. Non dico che sia impossibile (altrimenti valenti docenti universitari di filosofia come la prof.ssa De Monticelli non aderirebbero alla fenomenologia), ma andrebbe meglio motivata di quanto tu non abbia fatto.
Personalmente ritengo che Husserl sia riuscito a ridefinire la filosofia rifondandone quindi i valori che essa esprime, rifondandone quindi i saperi.
A mio parere la filosofia al giorno d’oggi non può venire associata alla fenomenologia di Husserl questo perchè essa presenta una visione poco concreta e realizzabile, secondo il quale bisognerebbe concentrarsi principalmente sul ‘che cosa esso sia’ e non sul ‘perchè esso esista’ quindi analizzando le cose in relazione alla nostra esperienza. Penso quindi che essa non si possa applicare al giorno d’oggi proprio perchè il nostro presente è contraddistinto, non solo da una estrema velocità e mancanza di tempo, ma soprattutto da una visione del mondo volta allo studio e alla ricerca di conoscenza, quindi più legata al ‘perchè esso esista’. Questo avviene proprio perchè è molto difficile, attuando l’epoché descrivere un oggetto in relazione al soggetto, senza che in noi intervengano dei pregiudizi.
Penso che la sfida di Husserl sia riuscita in quanto riteneva che la fenomenologia si dovesse basare sulla ricerca dell’essere dell’oggetto e no sulla motivazione dell’esistenza di un determinato fenomeno. Riteneva infatti che fosse fondamentale concentrarsi innanzitutto sull’essere per poter comprendere i fenomeni, e pensava che questo tipo di approccio potesse essere solo di tipo filosofico e non scientifico.
Inoltre sosteneva la stretta relazione tra il soggetto, l’io, e l’oggetto, il corpo. Riteneva infatti che la realtà non si potesse ricavare unicamente dall’io in quanto l’io è sempre incarnato all’interno di un oggetto.
So che cosa pensava Husserl, ma non ho capito perché tu pensi che la sua sfida sia riuscita.
A mio parere le teorie di Husserl sono le più adatte e rigorose per analizzare realmente ciò che ci circonda, tenendo però presente la difficoltà nell’attuarle.
Valutando gli aspetti generali della fase iniziale del Novecento, il pensiero di rendere la filosofia parte integrante del cambiamento nel pensiero rigorosamente scientifico, come sostenuto da Husserl, andò a buon fine.
Quest’ultimo utilizzò a suo favore la crisi generale che afflisse le certezze della scienza, sostenendo che per fare in modo di rifondarla fosse necessario valutare la realtà in maniera oggettiva, privandoci quindi di ogni nostra convinzione o pregiudizio.
Il filosofo inoltre riflette anche su quello che è la coscienza umana, ovvero un residuo del fenomeno dell’epoché. A tal proposito Husserl sostiene che essa non può esistere senza i propri oggetti, e viceversa.
A grandi linee, quindi, Husserl vuole scindere i fatti concreti dalle varie interpretazioni soggettive, non soffermandosi dunque sul giudizio, ovviamente personale, di chi esamina i fatti.
Come altrove, Nicole, tendi a risolvere la discussione di una tesi nella seguente sequenza: ti dichiari d’accordo, senza molte argomentazioni, quindi la esponi. Ma non si tratta di questo. Discutere una concezione significa certamente ricordarne le linee essenziali, ma allo scopo di saggiarne la rilevanza, il valore ecc. Nel caso di Husserl, ad esempio, come dovresti sapere, una questione controversa concerne la famosa “epoché”, che Heidegger, per esempio, giudica illusoria (saremmo condizionati sempre da pregiudizi). Se “stai dalla parte di Husserl”, come potresti difenderlo da questa accusa? Alludi genericamente a “difficoltà” di attuazione delle teorie di HUsserl (chissà perché al plurale), ma non vai nel dettaglio e non spieghi perché secondo te comunque Husserl sarebbe rilevante.
All’inizio del ‘900 diventa necessario un intervento per salvare la filosofia e dare al sapere derivante da essa un ruolo nella rifondazione dei saperi che erano stati messi in discussione o che erano completamente crollati in seguito alla crisi generale delle scienze europee.
Hussler fonda la fenomenologia, attraverso la quale sostiene l’importanza di analizzare ciò che ci circonda nella sua essenza e non attraverso le nostre conoscenze, cosa (teoricamente) possibile attraverso l’epochè, ovvero la sospensione di tutti i giudizi naturali sul mondo.
Hussler inoltre dichiara l’importanza della correlazione tra soggetto e oggetto, uno non “esiste” senza l’altro e non si può tentare di dedurre la realtà dall’Io in quanto l’Io è incarnato e costantementein relazione con ciò che lo circonda.
A mio parere dato il periodo confusionario nel quale si sviluppò, la fenomenologia si dimostrò momentaneamente esaustiva, ma anche alla luce delle metodologie introdotte successivamente da altri filosofi come Heidegger, il quale comunque prese le teorie di Hussler come punto di partenza, non credo che essa sia attuabile nella realtà in quanto non è possibile liberarsi completamente dai propri pregiudizi, ma essi possono essere corretti e adattati nel tempo.
Inoltre penso che al giorno d’oggi la filosofia potrebbe assumere un ruolo più ermeneutico o analitico piuttosto che fenomenologico in quanto la società odierna da più importanza e si concentra maggiormente sul fine delle cose prima di interrogarsi sulla loro “essenza”.
Interessante soprattutto la nota finale sull’interesse odierne per il fine delle cose piuttosto che sulla loro essenza (anche se proprio questo interesse potrebbe essere oggetto di messa in discussione da parte della filosofia). Attenzione che si scrive “Husserl” e non “Hussler” (e si pronuncia come si scrive).
Sono piuttosto influenzata dalla visione Ermeneutica per considerare nella sua completezza Husserl, poiché ho già studiato entrambi i moduli in vista dell’interrogazione, nonostante ciò cercherò di descriverla brevemente e cercando di non portare un confronto con l’altro approccio dato che è un lavoro da fare nella prossima domanda.
La filosofia con Husserl non ha più un ruolo rigido come quello delle filosofie antiche, che si trasformavano quasi in religioni data la loro particolare dogmaticità, ma piuttosto si concentra sulle percezioni dell’uomo e della comprensione più naturale che questo ha del mondo. La fenomenologia vuole raggiungere la percezione assoluta di un oggetto cercando di non farsi influenzare in alcun modo dalle proprie conoscenze, ossia vuole fare epochè di questo, raggiungendo così la pura comprensione di questo. Questa idea di raggiungere la pura essenza dell’oggetto ricorda lo scopo delle antiche filosofie, basti pensare al platonismo che cercava di raggiungere l’uno, e dunque è ancora troppo legato a una tradizione millenaria e perciò difficilmente in grado di rinnovare il ruolo della filosofia. (Inoltre la fenomenologia mi ricorda il pensiero di Hume secondo cui la percezione è l’unica realtà e ciò me la rende ancora più antipatica).
Interessante questa tua idea della fenomenologia. Nota, però, che se la associ a Platone diventa più difficile associarla a Hume.
Forse c’è un aspetto per il quale la fenomenologia batte l’ermeneutica, sul quale non vi ho fatto riflettere: il valore della matematica. Per i fenomenologia 2 + 2 = 4 esibisce una necessità assoluta e, per certi aspetti, misteriosa (come per Platone). Avvertiamo che “credere” a questo è diverso dal “credere” che Colombo ha scoperto l’America (è altamente plausibile, ma possiamo sempre congetturare un completto mondiale per cui ci venga fatto credere, mentre è falso). Ora la necessità delle verità geometriche (“di ragione”, per Leibniz) è solo frutto di pregiudizi, è un fatto culturale, è figlia di una precomprensione storica che può mutare nel tempo alla luce di esperienze nuove come nel paradigma ermeneutico? Siamo sicuri che, almeno in alcuni casi, non possiamo cogliere davvero le essenze delle cose al di fuori del tempo?
La fenomenologia di Husserl è una filosofia piuttosto interessante ed essenzialista. Essa, infatti, riprende la ricerca di quello che è definito il sapere originario intuitivo ed essenziale. lo scienziato, dunque, secondo questa filosofia, deve ricominciare da zero, iniziando a comprendere e descrivere i propri contenuti di coscienza. Secondo questa filosofia, infatti, non è possibile conoscere alcunché se non a partire dall’esperienza che facciamo come soggetti di conoscenza. Ecco, dunque, la necessità di adoperare un approccio Fenomeno-logico secondo cui ogni cosa da noi compresa presuppone l’esistenza di un’idea al di dietro definibile come unica ed essenziale.
Punto cardine di tale filosofia inoltre è rappresentato dalla correlazione necessaria tra soggetto e oggetto secondo cui non si può avere rappresentazione di alcunché al di fuori della coscienza che li rappresenta.
Lo scienziato, dunque, è l’unico in grado di cogliere l’essenza delle cose e di sé stesso esercitando epochè, sospendendo il proprio giudizio naturale sul mondo.
Ma la domanda non chiedeva di riassumere la filosofia di Husserl…
Credo che la sfida di Husserl di restituire al sapere filosofico un ruolo nel quadro della rifondazione dei saperi nel nuovo clima dei primi del Novecento sia riuscita.
Husserl credeva che la filosofia dovesse impegnarsi a comprendere attraverso i sensi la vera essenza dell’oggetto facendo, appunto, epoché. Per fare ciò è necessario giudicare l’oggetto che abbiamo davanti senza l’influenza della nostra esperienza e quindi vederlo come se fosse qualcosa di nuovo assumendo di conseguenza l’atteggiamento di uno spettatore disinteressato e “staccato” dal mondo che lo circonda. Nonostante questa teoria sia teoricamente in grado di fornire una spiegazione oggettiva della realtà, mi risulta difficile capire come sia possibile applicarlo in senso pratico. Credo che una completa comprensione sia legata non solo alle caratteristiche proprie di quel determinato oggetto (e quindi della sua essenza) ma anche in correlazione alla sue funzionalità ecc.
Husserl tramite la fenomenologia ha cercato di dare un nuovo significato alla filosofia, conferendole una potenzialità di conoscenza che anticipa la conoscenza scientifica.
Ritengo che questa rivalutazione sia riuscita con grande successo perche riflettendo su me stesso sono arrivato alla conclusione che la mia concezione di filosofia presuppone che tale materia abbia un carattere che si scinda da quello scientifico: per questa influenza indiretta che Husserl ha avuto sul mio modo di pensare ritengo quindi che la rivalutazione sia stata compiuta con successo.