Mentre ripassi l’intero ultimo modulo di Filosofia (rileggendo le unità didattiche in cui si articola, attingendo a tutte le risorse on line e off line ad esse collegate, e studiando, in particolare, l’ultima, dedicata a Leibniz), fatti guidare dalle tre principali questioni che ci hanno ispirato:
- se le forze esistano e, qualora esistano, se e come agiscano a distanza;
- se e come il libero arbitrio esista e si concili con il meccanicismo cosmico (postulato da Cartesio e, in generale, dai razionalisti) ed, eventualmente, con la teoria protestante della predestinazione;
- quale, tra ragione ed esperienza, sia la principale o unica vera fonte della conoscenza, in particolare scientifica, e come la conoscenza si formi nella nostra mente.
- Scegli ora una di queste questioni e prova darle una risposta nel box dei commenti.
Domanda 1.
A mio parere esiste una forza in natura e si tratta di una proprietà intrinseca ad ogni oggetto, animato o inanimato che sembri. Questa forza lega a due a due gli oggetti fra loro e conferisce un “equilibrio” a tutto l’universo, quindi, nella mia visione, l’universo è l’insieme di tutte le forze che interagiscono fra loro.
L’universo deve essere infinito e di conseguenza non deve avere un punto nel tempo in cui è stato creato, esiste da sempre e per sempre esisterà. Infatti, a mio parere, non è possibile che l’universo sia stato creato dal nulla. L’unica possibilità potrebbe essere che prima tutta la materia e tutta la forza dell’attuale universo fosse raggruppata in un “punto” (o in un essere superiore, per esempio Dio) e per un motivo inspiegabile questo si è “espanso” creando l’universo, ma non riuscendomi a spiegare il perché ciò succede ho deciso di scartare questa possibilità. Questa visione, con alcune modifiche, viene adottata anche da alcuni filosofi del passato fra cui Platone e Posidonio.
Se riducessimo tutto a geometria, come viene fatto da Cartesio, significherebbe che tutto l’universo è formato da punti materiali che si muovono e che esiste un punto nel tempo in cui l’universo è iniziato (in quanto questo ha ricevuto un primo impulso che produce il movimento, la residua causa efficiente) e ciò non è applicabile alla mia teoria.
Interessante. La tua concezione si avvicina a quella di Giordano Bruno, ma anche a quella dello scienziato Ernst Haeckel, campione del meccanicismo ottocentesco. Rimane da chiedersi come possano essere dotati di forza i corpi inanimati (per definizione “inerti”), ad esempio come possano “sapere” in quale direzione si trovi il corpo da cui sono attratti o respinti (senza avere qualche forma di percezione, quale potrebbe essere anche un “campo di forza”). Poi ci sarebbero altre domande… se la “coscienza” che abbiamo del mondo sia una specie di forza; come il gioco della forze possa avere determinato l’ordine del mondo piuttosto che il disordine (per esempio l’organizzazione funzionale degli organi dei viventi)….
Questione 3
A mio avviso, la migliore fonte di conoscenza di cui gli esseri umani possono disporre è l’esperienza, che, secondo gli empiristi, è la sola in grado di generare le “idee”, intese come concetti.
Mi trovo infatti in disaccordo con i razionalisti, i quali, sulla base delle idee innate, definiscono la ragione umana come onnipotente e infallibile: se fossimo realmente dotati di idee innate, non ci risulterebbe difficile immaginare, ad esempio, dimensioni superiori a quella in cui ci troviamo ma, a meno che queste dimensioni non vengano direttamente osservate e sperimentate, esse rimarranno qualcosa su cui possiamo solamente fare ipotesi attraverso le conoscenze acquisite nella dimensione di cui facciamo esperienza.
In campo scientifico esistono svariati concetti che la mente umana, a contrario di quanto sostenuto da Cartesio, non è ancora in grado di comprendere appieno: questa può però tentare di formare nuove conoscenze servendosi di analogie tratte dall’esperienza quotidiana, nello stesso modo in cui un professore spiegherebbe a un suo allievo la teoria della relatività generale paragonando lo spazio-tempo a un tappeto elastico, le frazioni tramite il classico esempio della torta tagliata a fette e la somma 2+2=4 raggruppando quattro mele; questi sono tutti oggetti di cui, grazie all’esperienza, lo studente avrebbe già conoscenza e a cui potrebbe fare ricorso per formarne delle nuove.
Leibniz tentò di conciliare queste due antitetiche teorie gnoseologiche attribuendo il razionalismo a leggi universali e l’empirismo alle misurazioni effettuate sulla base di queste leggi: ritengo però che questa correlazione non sia esauriente poiché, per quanto riguarda le “leggi universali”, queste sarebbero sì eternamente presenti nell’Universo e negli oggetti che lo costituiscono, ma ciò non implicherebbe che siano innate nella ragione umana: l’uomo si renderebbe conto della presenza di esse solamente in seguito a sperimentazioni o intuizioni derivate dall’osservazione.
Un filosofo platonico potrebbe sostenere che queste leggi, innate nella ragione, riaffiorino alla mente in seguito alla ricezione di uno “stimolo” ma, a partire da questo presupposto, sarebbero comunque il risultato di un intervento esterno e risulterebbe piuttosto difficile stabilire con certezza l’innatezza dell’idea stimolata: come faccio a sapere se l’idea più “standard” che ho di un triangolo derivi da un modello universale innato, piuttosto che dai primi triangoli visti nei libri di scuola?
Sono del parere che la ragione svolga comunque un ruolo fondamentale nella formazione di conoscenze: essa ci permette, sempre sulla base dell’esperienza, di comprendere osservazioni ed esperimenti instaurando un nesso logico tra i vari risultati ottenuti; la vedo quindi come un mezzo che ci consente di collegare, confrontare e analizzare ciò che deriva dall’esperienza, ma che non contiene in sé idee o conoscenze innate. Se volessi, per esempio, creare un bracciale, avrei bisogno di un certo numero di perline e di un filo di nylon che le unisca; il bracciale non sarebbe tale in assenza di questi due elementi, ma, nel caso in cui possedessi solo il filo di nylon, è molto improbabile che, vedendolo, sia portato a voler creare il gioiello e potrei infatti utilizzarlo per creare altri oggetti oppure non usarlo affatto; pur avendo invece le sole perline, intuirei subito che, con un filo di nylon, potrei creare un bracciale. Le perline (le esperienze) sono quindi quello che mi hanno stimolato a voler realizzare il bracciale (la conoscenza) e non il filo di nylon (la ragione), seppur essenziale nella creazione dell’oggetto. Il bracciale potrebbe inizialmente rompersi o aprirsi e dovrei quindi cercare di migliorarlo legando il filo con un nodo più stretto o sostituendolo con uno più robusto, ottenendo così un bracciale indossabile e duraturo (la verità).
In conclusione, ritengo che la teoria empiristica sia la più valida in quanto non identifica nell’esperienza una forma di conoscenza assolutamente vera, ma, riconoscendo i limiti della ragione, la presenta come il mezzo tramite il quale possiamo raggiungere quella più probabile: gli empiristi, come John Locke, ammettono infatti che l’esperienza possa condurre all’errore, ma, d’altro canto, “sbagliando si impara” e l’errore è sempre stato e continua a essere per l’uomo un passo avanti verso il raggiungimento della verità.
Davvero un’ottima e accurata analisi, peraltro in larga parte condivisibile e, ritengo, anche compatibile con le vedute gnoseologiche maggiormente diffuse ai nostri giorni. Mi è sembrato molto interessante, in particolare, questa tua osservazione: “Per quanto riguarda le “leggi universali”, queste sarebbero sì eternamente presenti nell’Universo e negli oggetti che lo costituiscono, ma ciò non implicherebbe che siano innate nella ragione umana: l’uomo si renderebbe conto della presenza di esse solamente in seguito a sperimentazioni o intuizioni derivate dall’osservazione”.
Rimane solo un “punto cieco”, per così dire, nella mia prospettiva, nella concezione dell’empirismo. Come si giunge a concepire nozioni come “punto” o “infinito” o “retta infinita” o anche solo “triangolo”, se nulla di ciò di cui facciamo esperienza è propriamente alcuna di tali cose? Certamente vi sono oggetti che “approssimano” tali “idee”, ma come facciamo ad avere l’idea della “cosa” perfetta che tali oggetti suggeriscono, dal momento che non abbiamo mai fatto né potremo mai fare esperienza di alcunché di “perfetto”? Tu sai esattamente che cosa sia un punto (o “la libertà”), anche se non puoi avere fatto esperienza piena di tali cose… Da dove derivano queste nozioni? Se escludi un “inconscio cognitivo” (un mondo di idee platoniche che si possa rievocare), devi supporre che si giunga a tali nozioni per “astrazione” (come avrebbe detto Aristotele). Nel caso del “punto”, per esempio, devi supporre di disegnare un circoletto con la matita e poi di eliminare immaginariamente dal circoletto la sua per quanto piccola dimensione (piana) e pensare: “punto è ciò che resta del circoletto se astraggo immaginariamente dalla sua dimensione”. Tuttavia tale soluzione non mi convince del tutto. Non avendo fatto alcuna esperienza di punti (che sono entità ideali), un “empirista” grossolano potrebbe pensare che, se astraggo dalla dimensione del circoletto, non rimane alcunché, rimane il foglio bianco. Come facciamo a “fermarci” prima del foglio bianco e “sapere” esattamente che cos’è un punto se la “mente” o “ragione” non ne avesse l’idea innata? E questo vale per nozioni come infinito, cerchio ecc.
Sinceramente tutte e tre le questioni sono troppo complesse e nessuna delle conclusioni che hanno tratto filosofi e scienziati dell’età moderna mi ha convinto totalmente. Nonostante ciò parlo della prima domanda.
Ritengo che l’universo meccanicistico di Cartesio e razionalisti sia studiato meglio dal punto di vista fisico-matematico rispetto alle teorie dell’esistenza delle forze che presentano ancora rimasugli di un’ideologia basata su religione-magia. Nonostante ciò la teoria meccanica presenta una falla enorme che è la negazione del vuoto. Dunque credo che la mia risposta finale sia “Hypothesis non fingo”.
Ottima scelta, “rifugiarsi” nella risposta di Newton… Certo, le questioni sono complesse, ma a qualcosa bisogna pur credere, anche provvisoriamente…
Gottfried Wilhelm von Leibniz risolve il problema del libero arbitrio creando la teoria del migliore mondo possibile, egli infatti immagina infiniti mondi possibili (non simultaneamente) e tra questi Dio sceglie quello migliore e lo rende reale. Noi in questi infiniti mondi possibili siamo liberi di compire qualsiasi azione facendo una scelta tra una serie di azioni possibili. Queste azioni sono prevedibili da una mente infinita come Dio che quindi sceglie la sequenza migliore e la rende realtà, ma di fatto noi siamo liberi di scegliere.
Questo si può conciliare con la teoria protestante della predestinazione in quanto essendo Dio fuori dal tempo può prevedere quello che farò liberamente, scegliere la volta in cui ciò e il suo volere coincidono e renderla realtà.
Il libero arbitrio si può anche conciliare con il meccanicismo cosmico perché l’ordine prestabilito dell’universo e di tutta la natura e le cose non viene toccato in quanto Dio ha previsto tutto e costruito sin dalla origini il mondo migliore scegliendolo tra gli infiniti mondi possibili.
Desumo che tu abbia voluto approfondire la questione del libero arbitrio e che tu condivida o trovi comunque interessante la teoria di Leibniz al riguardo…. (ma sarebbe stato meglio precisare queste cose introduttivamente). Inoltre ritengo che sia preferibile dire e scrivere “compiere” piuttosto di “compire”. Per il resto la risposta è chiara e approfondita.
2) Il Libero Arbitrio è quella capacità che ha l’uomo (anima spirituale dell’individuo) di scegliere o di agire liberamente sia nel bene che nel male, senza che Dio interferisca nelle sue decisioni. Il meccanicismo indica invece una concezione del mondo che evidenzia le cose materiali unite al loro comportamento motorio. La predestinazione infine si riferisce al fatto che Dio abbia già preordinato tutto ciò che deve accadere.
Si, ma sono conciliabili tra loro? Si, no, perché…
3) Secondo Bacone e Locke la vera fonte della conoscenza non è dovuta alla ragione bensì all’esperienza.
Locke e Bacone infatti sono i primi ‘fondatori’ dell’empirismo, una corrente nata in Inghilterra, basata sulla continua osservazione di osservazioni ed esperimenti.
Bacone, nella propria filosofia, insiste su l’importanza degli esperimenti e si basa sulle ‘sensate esperienze’. Il suo metodo inoltre (delle 3 tavole), il cui scopo è quello di pervenire al sapere, è composto da una serie di esperimenti creati appositamente al fine di scoprire le qualità che accompagnano sempre una certa sostanza, quelle che non l’accompagnano mai e quelle che variano al variare la sostanza.
Analogamente Locke approccia l’empirismo in quanto sostiene che sia l’unico e il più utile mezzo al fine di raggiungere il massimo grado di conoscenza possibile.
Concludendo l’unica vera fonte di conoscenza è data dal’ esperienza, data da esperimenti.
…. secondo Bacone e Locke. E secondo te? Tu sei d’accordo? Se si, perché? (Forse dovresti evocare l’argomento di Locke contro l’ipotesi cartesiana relativa all’esistenza di idee innate)