Siamo e non siamo… “qualcuno”?

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2019-04-08 Tutto il giorno

Leggi sul manuale la pagina del Trattato sulla natura umana di Hume dedicata alla critica dell’identità personale (2A, U5, T11, pp. 458-61), quindi, aiutandoti eventualmente da quanto puoi ricavare dall’unità didattica sul filosofo scozzese, svolgi il seguente esercizio (del tutto simile al tipo di esercizio a cui sarai chiamato per la prima prova del nuovo esame di Stato):

  • Individua la tesi e le argomentazioni principali prodotte da Hume in questo testo, quindi discutile (cioè produci tue considerazioni critiche al riguardo).

13 pensieri su “Siamo e non siamo… “qualcuno”?

  1. TESI:
    La natura dell’io, non unitaria a causa delle diverse percezioni, non è giustificata da nessuna esperienza e non si può neppure dimostrare.
    ARGOMENTAZIONI A FAVORE:
    1- L’io, il ‘luogo’ nel quale vengono riferite le diverse idee, non può derivare da nessuna idea poiché nessuna impressione è costante e quindi questa tesi andrebbe contro la supposizione che l’io rimanga invariabile durante il corso della vita.
    2- Quando le percezioni sono assenti e potremmo dimostrare la natura dell’io, in realtà non esisto e quindi non si può parlare di un effettivo io.
    3- Siamo un insieme di percezioni che si susseguono e appaiono nella nostra mente
    4- davanti alla nozione di un io abbiamo creato una finzione per cercare di attribuirgli qualcosa di stabile, pur non essendo stabile per il mutare delle percezioni.

    A mio parere Hume, specificando che con il termine ‘io’, intende il luogo nel quale vengono riferite le nostre impressioni o idee, si svincola da molte possibili critiche che sarebbero potute derivare dai diversi significati attribuiti al medesimo termine. Detto ciò concordo sul fatto che, appurato questo determinato significato, non ci siano argomentazioni per spiegare la natura dell’io ma soprattutto mi trovo d’accordo sul fatto che l’uomo, molto spesso, davanti a una cosa non compresa preferisca cercare una risposta, anche se forzata o inesistente, pur di riuscire nel suo intento.

  2. In questo brano proveniente dal “Trattato sulla natura umana”, il filosofo David Hume confuta l’esistenza di una mente semplice e unitaria, definendola invece come un mero insieme di percezioni in relazione fra loro. Quest’ultime sono per il filosofo delle impressioni, le quali, secondo l’empirismo scettico di cui era sostenitore, costituiscono le uniche fonti di idee reali, in quanto si manifestano solo quando l’oggetto che le ha indotte è realmente presente.
    Per essere reale, la mente dovrebbe quindi essere prodotta da un’impressione, ma per definizione è ciò a cui queste vengono riferite; se anche esistesse, dovrebbe, stando alla definizione dell’io, essere costante e invariabile, cosa che si rivela essere improbabile se si analizzano tutte le altre impressioni, che mutano nel tempo: in assenza di un’impressione generatrice, l’esistenza dell’idea di mente non è fondata.
    Le percezioni da noi provate sono inoltre distinguibili, separabili e in continuo mutamento: la loro esistenza non risulta quindi essere dipendente da un punto di raccolta come la mente, ma, al contrario è la sola realtà di cui possiamo essere certi, al punto che la loro assenza in momenti quali il sonno o la morte implica la non-esistenza del nostro io.

    Ritengo che la confutazione di Hume non sia sufficiente: egli smentisce l’esistenza di una mente semplice e costante, ma non contempla l’ipotesi di una mente con caratteristiche diverse e, al contrario, ne giustifica la non-esistenza basandosi solamente sull’assenza degli attributi sopracitati: la mente potrebbe esistere pur avendo caratteristiche diverse da quelle previste. Potrebbe infatti essere più complessa: basti pensare all’esistenza del subconscio ipotizzata da Freud. Se fosse invariabile, come presuppone Hume per confutarne l’esistenza, le nostre personalità rimarrebbero le stesse per tutta la durata della nostra vita, cosa che sappiamo accadere raramente: una persona timida può diventare estroversa e viceversa. In aggiunta, se fossimo solo un “fascio di percezioni” e quindi di impressioni momentanee, come potremmo possedere un carattere, ciascuno diverso da quello degli altri e che si mantiene per una certa durata di tempo? Certi avvenimenti possono inoltre avere impatti significativi sulle persone, tanto da cambiarle: questo cambiamento non sarebbe però possibile in assenza di un’entità che possa subire un cambiamento. Ci è inoltre possibile scegliere a quali percezioni dare importanza: se in questo istante provassi un freddo pungente potrei cercare di ignorarlo pensando a un ambiente caldo, così come potrei scegliere di allontanare dei pensieri negativi; se fossimo dei semplici e passivi ricevitori di impressioni tutte queste azioni non ci sarebbero possibili. Ne consegue che deve esistere un’entità la quale agisce attivamente sulle percezioni, scegliendo su quali concentrarsi e instaurando relazioni fra loro.
    Infine, sono in disaccordo con l’idea secondo cui durante il sonno, a causa della mancanza di percezioni, la nostra persona smetta di esistere: come si spiegano, dunque, i sogni? Questi si verificano in assenza di percezioni fisiche, eppure ne facciamo esperienza, talvolta anche molto vividamente: non potendo essere prodotti dalle impressioni, deve per forza esistere un’altra entità che le generi, ossia la mente.

    1. Ottima analisi, ma, soprattutto, un’intelligente collezione di controargomentazioni, molto pertinenti e analitiche.

  3. Nel testo analizzato il filosofo scozzese David Hume analizza e critica la definizione dell’io. Parte dall’osservazione che l’io veniva definito come una realtà semplice, unitaria, costante e fondato da un’entità chiamata “anima” e la confuta in quanto la ritiene sbagliata e sostiene che, dato che le percezioni si possono considerare in modo isolato, non è necessario che esista un’entità che dia loro senso e quindi la mente è una semplice collezione di percezioni.

    Secondo Hume inoltre non abbiamo alcuna percezione dell’io, contrariamente alle teorie di molti filosofi, secondo i quali noi abbiamo un’impressione immediata ed evidente di questo. L’io è quindi il punto di unione della nostra attività percettiva e non un’impressione della quale possiamo costruirci un’idea.

    È inoltre necessario trovare un’idea alla quale l’io dà origine, dato che questo viene considerato come un’impressione e ogni idea nasce da una di queste. Grazie all’esperienza possiamo però dedurre che nessuna impressione rimane costante nel tempo e quindi l’idea dell’io non esiste.

    Quando le percezioni sono assenti non si ha alcuna percezione di sé, dato che esse sono la sola realtà che costituisce l’io, e nel momento in cui esso cessa quasi di esistere capiamo che la sua realtà consiste nel fascio delle sue percezioni. Possiamo quindi affermare che il nostro spirito non è altro che un insieme di impressioni e idee accostate l’una all’altra. La nostra mente è un teatro “virtuale” in cui si susseguono le percezioni e lo spirito è una “finzione” della quale non possiamo fare a meno in quanto abbiamo la tendenza naturale a immaginare qualcosa che unisca le parti in modo profondo.

    1. L’analisi è molto precisa e corretta. Ma hai omesso di discutere le tesi di Hume. O sei perfettamente d’accordo con lui? In questo caso, però non saresti d’accordo con lui, ma, piuttosto, “sareste”, “voi”, aggregato di impressioni che sembra coagularsi nell’io di Eleonora….

  4. In generale, durante lo studio di tutti grandi filosofi abbiamo sicuramente notato il susseguirsi di dottrine e idee in merito alla natura e alla certezza di esistenza dell’io discordi fra di loro, come quella di Hume e quella di Berkeley (materialista: che difende la certezza evidente della esistenza di quest’ultimo).
    Secondo Hume il nostro io non è altro che una sorta di contenitore di un insieme innumerevole di impressioni e idee che si alternano fra di loro, invertendo continuamente la nostra percezione della realtà in reale o immaginaria.
    Infatti, le impressioni sono diverse dalle idee, poiché non sono altro che una “copia sbiadita” di quest’ultime, ossia come un esperimento che però per quanto possa essere fine a se stesso è utile per arrivare alla legge, ossia le idee.
    In merito alle argomentazioni a supporto della sua tesi, Hume mette in chiaro l’idea che, essendo le impressioni dotate di vita propria (al di là delle comuni relazioni fra le altre simili) non sia necessario ricorrere alla definizione di un movente che le dia loro senso, arrivando alla conclusione che la mente non è da concepire come un qualcosa di unitario, ma come un agglomerato di quest’ultime.
    In secondo luogo, partendo dall’idea che nessuna impressione è immortale, giunge all’idea che non è necessario che la probabile idea dell’io esista (imposta a causa della correlazione consequenziale impressione-io), poiché sarebbe necessario che ne trovassimo una invariabile.
    In conclusione Hume cita alcune deduzioni fatte in seguito all’esposizione della sua teoria, come la definizione di sonno profondo, che coincide con la alcuna percezione di sé e quindi il luogo nel quale l’identità piace perdersi.
    A mio parere la visione di Hume è molto plausibile, poiché a livello di teoria di base non mi sembra così impossibile, anche se devo dire che le argomentazioni utilizzate per sostenere la sua visione non mi hanno convinto del tutto.
    In seguito, la concezione dell’io di Hume, definendola come una “box” contenente idee e impressione mi va a genio, poiché riesce a conciliare la differenza tra il pensare a qualcosa, vederla, o rifarsi all’immagine di qualcosa cogliendo delle differenze, come le differenze tra impressioni e idee oramai assunte.

    1. Sei tra i pochi che difendono l’approccio di Hume. Audace. L’analisi è abbastanza corretta, ma non molto puntuale. Il vantaggio di un lavoro di questo genere è che, nel riassumere la tesi e le argomentazioni di un autore, ci si può servire del suo lessico, cosa che in gran parte hai fatto. Da dove viene allora l’espressione “definizione di un movente”? Più che di un movente delle impressioni, direi che Hume ne ricerca un fondamento.

  5. Hume, in questo testo, sostiene che l’io dell’uomo consista semplicemente in un fascio di percezioni che si alternano a vicenda senza però comportare l’effettiva esistenza di un punto di raccolta di tali percezioni : l’anima.
    Egli sostiene la propria tesi con le seguenti argomentazioni:
    Egli infatti confuta l’esistenza del nostro io sostenendo che noi non abbiamo alcuna idea del nostro io in quanto l’io stesso non è un impressione: è ciò a cui le impressioni vengono riferite.
    In secondo luogo sostiene che nella nostra esperienza non vi è alcuna impressione costante nella nostra vita: l’idea dell’io non esiste.
    Inoltre egli sostiene che le percezioni sono la sola realtà che costituiscono il nostro io (il quale cessa di esistere nel momento del sonno e la morte).
    Alla luce di quanto letto e compreso ritengo che il pensiero di Hume sia bizzarro e non del tutto attendibile e convincente in quanto ritengo che noi tutti siamo in possesso di un anima a cui tutte le nostre percezioni fanno riferimento (non solo secondo un carattere illusorio), le quali, raggruppate e rielaborate dal nostro io (subconscio) caratterizzano la nostra persona, il nostro essere.

    1. Ma quello che tu ritieni o, meglio, credi, è appunto, secondo Hume, una credenza (belief). Il problema è dimostrarne in fondamento. Non potrebbe trattarsi di un’abitudine? Come fai a sapere che esiste questo io?

  6. Secondo Hume la mente è un luogo fatto di percezioni collegate tramite relazioni e dotate di un’identità propria. Inoltre riflette sul fatto che se le percezioni sono molteplici non è possibile considerare la mente come unitaria ma come composta da un insieme di queste percezioni.
    Hume sostiene anche che non possiamo essere certi del nostro io anche se esso è il centro di tutte le nostre riflessioni e percezioni. Infatti se l’io derivasse da una percezione questa dovrebbe essere duratura, e dato che, come possiamo vedere dall’esperienza personale, ciò non è possibile, non può esserci alcuna certezza dell’io. Inoltre sostiene che siano le percezioni a formare il nostro io e che quando le percezioni vengono a mancare anche la concezione dell’io svanisce.
    Secondo me sostenere che la mente sia composta da percezioni non è sbagliato se per percezioni si intendono le idee e i pensieri derivanti dall’esperienza personale. Infatti ritengo che ognuno di noi sia ciò che ha vissuto.

  7. Secondo Hume l’IO è fatto di percezioni (che si contrappongono tra impressioni e idee), e lo descrive come un “fascio di percezioni”, molteplice poiché non è possibile pensare alla mente come un’unità. Il filosofo però mette in crisi la possibilità di trovare un ordine stabile tra gli elementi del mondo, e che nella nostra conoscenza esista uno spirito che rimanga nel tempo e serva al sapere. Infine per Hume noi siamo abituati alla costanza e coerenza con cui si presentano determinati gruppi di percezioni e questa abitudine ci induce a credere che esista un qualcosa che sostiene le nostre percezioni, spiegandone la costanza e la coesione. Secondo me Hume ha ragione a sostenere che la realtà la si può conoscere solo con l’esperienza, ma a volte c’è anche bisogno di usare la ragione, nonostante a volte sbagli le sue previsioni.

  8. Hume discute l’esistenza di un “io” tramite l’idea che la mente non sia altro che un insieme di differenti percezioni che possono essere separate tra loro senza alcun problema. Dunque prosegue affermando che la continuità dell’esistenza dell’io è insensata perché, essendo un’impressione, è variabile nel tempo così come tutte le altre impressioni. Continua dicendo che parlando di “me stesso” trovo solamente una percezione momentanea che non percepisco durante il sonno o la morte, dunque quando divento una non-entità. Conclude affermando che l’io o l’anima siano unicamente entità create che cercano di salvare l’idea di una continuità e una semplicità unica di percezioni.

    Non ritengo sia esauriente definire l’io unicamente come una serie di varie percezioni che si modificano nel tempo, credo che l’io sia un qualcosa di diverso, una crescita più che una successione, poiché da percezioni che ci arrivano dall’esterno e dall’interno,di queste i ricordi prevalentemente, riusciamo a creare un individuo sempre presente. Diciamo che l’idea di Hume sembra molto un cambiarsi i vestiti di continuo in cui si concentra unicamente sui vestiti, invece quello che guardo io è l’essere che li sta indossando. E’ vero che le percezioni sono una serie infinita e non sono duraturi, però non per questo non abbiamo una base diversa che raccoglie tutte queste sensazioni e che può creare qualcosa di nuovo tramite il ragionamento, ma che può anche rivisitare in modo diverso le percezioni provate un tempo.

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