Dopo aver studiato l’unità didattica sulla bioetica con tutte le risorse on line e off line a cui essa rinvia (compresa una mia videolezione registrata) considera quanto segue, quindi rispondi in modo argomentato al quesito finale.
Come forse alcuni di voi avranno letto, in questi giorni, a causa dell’emergenza coronavirus, è sempre più grave la situazione dei reparti di terapia intensiva, al punto che alcuni addetti ai lavori si sono chiesti che cosa fare nel caso che la domanda (o il bisogno) di terapia intensiva diventasse superiore all’offerta che il sistema sanitario nazionale è in grado di mettere in campo (in termini di posti letto, ad esempio).
Nasce il problema di fissare criteri di priorità (come nel triage dei pronto soccorso, ma con conseguenze assai più drammatiche), in base ai quali decidere chi ammettere alla terapia intensiva e chi no.La Siaarti (cioè la Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva) ha elaborato linee guida dalle quali sembra di desumere che un criterio sarebbe quello della “speranza di vita”. Insomma, si tratterebbe di privilegiare le persone più giovani, con patologie meno gravi ecc.
L’esatta prospettiva etica della Siaarti (e un ulteriore link tecnico alle linee guida) è chiarita qui.
La questione concerne uno dei principi messi in campo dalla bioetica cosiddetta laica, che non considera tout court sacra la vita dal concepimento alla tomba (in questa prospettiva, tipica p.e. della Chiesa cattolica, qualunque “scelta” comporti la morte di qualcuno sarebbe immorale e, dunque, nessuno può assumersi la responsabilità di scegliere in tali materie), ma ammette situazioni nelle quali è eticamente legittimo e anzi preferibile “consentire” o perfino provocare la cessazione della vita di qualcuno.
I criteri più noti, avanzati da Beauchamp e Childresse e applicabili al caso p.e. dell’eutanasia (tema che abbiamo sfiorata parlando dell’Aktion T4 dei nazisti), sono questi altri tre: beneficenza (massimizzare il bene delle persone), non malevolenza (minimizzare il male), autonomia (far sì che ciascuno decida della propria vita). In base a questi tre principi si può ammettere, per esempio, che una persona decida di morire se la sua scelta è libera e consapevole (terzo criterio) e se il dolore che patisce è tale da rendere preferibile la morte al proseguimento della vita (combinazione dei principi di beneficenza e di non malevolenza).
Ma esiste anche un quarto criterio avanzato da questi autori e da Mori: quello della “giustizia”, intesa come la migliore allocazione delle risorse per salvare il maggior numero di vite o (ecco la questione delicata) le vite maggiormente meritevoli di essere salvate.
Di solito faccio in aula questo esempio: immaginate che due soldati gravemente feriti attendano il trasferimento in un reparto di terapia intensiva, ma che nella base militare vi siano risorse mediche per salvare uno solo dei due in attesa del trasferimento. Il comandante chi dovrebbe salvare? Il più giovane? O quello, più anziano, con moglie e figlio? O quello che, una volta guarito, sarà più efficiente in combattimento?
Se il comandante di rifiutasse di scegliere, per non condannare qualcuno a morte certa, li condannerebbe entrambi. O dovrebbe sperare in un miracolo.
Purtroppo in questi giorni assistiamo al rischio che si presenti, su grande scala, questo dilemma. Se ci si rifiuta di scegliere, perché non si vuole dare diversi “valori” alla vita di persone diverse (p.e. di una anziano rispetto a un giovane), il rischio è che, scegliendo di non scegliere, si finisca per scegliere comunque: i reparti di terapia intensiva si saturerebbero con i “primi arrivati” e quelli che ne avessero bisogno in seguito sarebbero condannati.
- Tu che cosa sceglieresti di fare? E perché?
Il rischio a cui molti medici in Italia, ma anche in altri Stati colpiti dall’epidemia di Covid-19, vanno incontro in queste ultime settimane è quello di dover scegliere a chi destinare i limitati posti in terapia intensiva degli ospedali.
Se io fossi un medico che si trova a dover scegliere fra due pazienti, prima di prendere una qualsiasi decisione interrogherei me stessa sui valori in cui credo e per ogni caso differente cercherei una soluzione.
Innanzitutto ritengo che un medico possa prendere una decisione se e solo se i due pazienti sono in stato di incoscienza e entrambe le famiglie affidano la decisione al medico. Per esempio potrebbe esistere una famiglia che “sacrifica” il proprio parente a favore dell’altro malato, in questo caso ovviamente viene data precedenza al volere della famiglia e/o del singolo.
Il primo caso possibile è quello in cui i due pazienti hanno la stessa età e le stesse condizioni cliniche, quindi la stessa probabilità di salvarsi. In questo caso l’unica cosa che mi rimane da fare è affidarmi alla sorte, tirando un dado per esempio, in quanto ritengo che criteri come la “casta” sociale e il patrimonio familiare a disposizione non siano influenti
Nel secondo caso invece i due pazienti hanno età diverse ma le stesse condizioni cliniche, per esempio sono entrambi in ottima salute e non hanno mai avuto patologie gravi. In questo caso molto probabilmente mi affiderei alle statistiche, interrogandomi su quale dei due pazienti potenzialmente passerebbe il minor tempo possibile in terapia intensiva, in modo da poter liberare al più presto il posto e salvare altre persone. Per esempio, viene stimato che il paziente A, il più giovane anagraficamente, passi 3 settimane in terapia intensiva e la probabilità che si salvi è bassa, mentre per il paziente B è stimato un tempo di ricovero di 2 settimane con maggiori probabilità di guarigione. In questo caso sceglierei il paziente B, anche se più anziano anagraficamente, perchè mi fornirebbe 1 settimana “extra” in cui il posto che altrimenti sarebbe occupato da A può essere occupato da altri pazienti. Il criterio è quindi quello di salvare più persone possibili, scegliendole in base al presunto tempo per il quale occuperanno il posto letto
Basandomi su queste statistiche però non prenderei in considerazione ciò che il malato potrebbe fare da guarito, per esempio tornare a lavorare e creare una famiglia. Ritengo quindi di non essere in grado di prendere una decisione simile in quanto qualsiasi cosa io scelga, anche se basata su criteri “noti” e spesso utilizzati, non mi sembrerebbe giusta nei confronti del paziente “più sfortunato”.
La tua analisi è ricca e approfondita. Tuttavia, non mi sembra che ne derivi che tu non sia in grado di prendere decisioni. Non scegliere è scegliere, ad esempio di adottare il criterio del primo venuto (che non è proprio il massimo, come argomenta ad esempio Chiara Cernoia). Si tratta di quelle situazioni limite (in effetti molto più frequenti di quello che si potrebbe credere) in cui non si può non scegliere.
Fai conto che sei su una barca che può accogliere solo un’altra persona, perché altrimenti affonderebbe. In acqua ci sono tre o quattro persone diverse. Che fai? Non ne salvi nessuna? Ne salvi una? E quale? La prima che si avvicina, magari in modo “prepotente”? Insomma spesso nella vita si sceglie il male minore, anche in situazioni assai meno drammatiche e quotidiane.
Purtroppo tutto lo studio di bioetica si presenta inutile davanti a tali situazioni dal momento che non c’è una regola che possa facilitare tale decisione. Visto che, come specificato nell’esempio, il soldato si trova in guerra quindi per superare il periodo di conflitto c’è bisogno di più persone possibili in grado di combattere, deciderei di salvare il ragazzo più giovane nella speranza che, come è logico pensare, possa rimettersi in forma in minor tempo possibile rispetto ad una persona più anziana. Questa mia azione segue una sorta di etica della responsabilità la quale mi fa agire sulla base delle conseguenze che si otterranno infatti, se mi dovessi trovare in quella situazione, non cercherei di far entrare la parte emotiva (figli, famiglia) poiché porterebbe solo ad un’indecisione più pericolosa di qualsiasi altra decisione.
Il tuo ragionamento fila. In effetti adotti un’etica della responsabilità. Perché allora lo studio della bioetica si presenta inutile? Forse non è necessario studiarla sui libri, per applicarla. Ti riferisci al fatto che è sufficiente il cosiddetto “buon senso”? Tuttavia, a posteriori, il tuo modo di ragionare si fonda su precisi criteri bioetici, non da tutti condivisi, come quelli che scaturiscono appunto da una nozione come quella di etica della responsabilità, applicata alle decisioni concernenti la vita umana.
Sicuramente sceglierei innanzitutto di adottare un criterio in base al quale selezionare certi individui piuttosto che altri, in quanto l’adozione della logica “first come, first served” rappresenterebbe comunque una forma decisionale passiva in seguito al quale ci sarebbero degli individui, forse con maggiori possibilità di sopravvivere, che morirebbero come conseguenza di una mia non-decisione.
Non riesco tuttavia a stabilire su quali criteri dovrebbe basarsi tale selezione in una situazione tanto delicata come quella dell’emergenza CoVid-19. La scelta degli individui con maggior speranza di vita (spesso i più giovani) apparirebbe la più sensata in campo medico, in quanto le possibilità di successo in seguito alle cure sarebbero più elevate. Adottando un altra prospettiva, un individuo con minor speranza di vita (in assenza di cure intensive) potrebbe tuttavia avere maggiori responsabilità in quanto fonte di sostentamento per il suo nucleo familiare: ciò entrerebbe in contraddizione con il criterio del minor male possibile in quanto le vite che soffrirebbero a causa di tale perdita sarebbero maggiori. L’unica conclusione a cui riesco arrivare è dunque questa: qualsiasi soluzione verrà messa in discussione ma in una situazione di emergenza come quella che si è venuta a creare è meglio avere dei criteri e delle strategie uguali per tutti, piuttosto che farsi sopraffare dal caos e dalle circostanze.
Mi sembra un’ottima riflessione e un’eccellente conclusione Forse è meglio un criterio qualsiasi, in certi casi, che nessun criterio.
Se io mi trovassi nella situazione del comandante , mi accerterei delle condizioni di entrambi i malati e darei le risorse mediche a colui che secondo me avrebbe più possibilità di salvarsi. In questo caso non conterebbero fattori morali come ad esempio se il ferito ha moglie e figli , anche se ammetto che nel provare a rispondere a questa domanda all’inizio mi ero concentrata di più su quest’aspetto .
In ipotesi, tuttavia, entrambi i militari avrebbero la stessa probabilità di salvarsi se curati adeguatamente. Questo rende la scelta più difficile e costringe a ricorrere a criteri esterni, come quelli ai quali tu stessa in un primo tempo avevi pensato.
Io direi il comandante più giovane perché ci sono più possibilità che reagisca alle cure. Quello più giovane probabilmente dopo essere guarito sarà sicuramente più efficace nel combattimento, perché il corpo colpito è più giovane e reagisce meglio alle cure, rispetto a quello anziano. Inoltre salverei quello giovane perché avrà sicuramente modo di riprodursi, quindi creare una famiglia, inoltre contribuire economicamente e socialmente ai meccanismi della società. Invece l’anziano ha già fatto la sua vita e ha già dato il suo contributo alla società.
Interessante risposta, che però unisce due ordine di argomentazioni che avresti potuto meglio esplicitare: una cosa è la speranza di vita individuale, un’altra cosa è il vantaggio economico che una certa strategie comporta. In questo caso i due obiettivi coincidono, perché se si salvano i più giovani costoro sopravviveranno verosimilmente più a lungo e daranno un maggior contributo economico. Ma attenzione! Il solo criterio economico potrebbe portare a sacrificare persone giovani portatori di gravi handicap (come accadde durante il nazismo con il programma di eutanasia di Stato che ben conosciamo).
Se io dovessi scegliere a chi salvare la vita tra un soldato giovane e un soldato anziano con moglie e figli sarei un po’ incerta sulla decisione da prendere in quanto si parla di vite umane ma credo che sceglierei di salvare chi ha piú possibilità di guarigione.
In riferimento a quello che sta succedendo ai giorni d’oggi credo che, visto le difese immunitarie piú forti nei giovani, salverei un ragazzo invece che un anziano ma se dovessi scegliere se salvare la vita a queste due persone, per esempio, dopo un incidente cercherei di salvare la vita di chi sicuramente riuscirà a sopravvivere.
Interessanti considerazioni, anche se non del tutto argomentate.
Inizio dicendo che spero di non trovarmi mai in una situazione del genere, in quanto trovo che prendere decisioni sulla vita o sulla morte delle persone sia estremamente complicato e delicato e non me ne reputo all’altezza. Se però ciò dovesse accadere penso ( uso il condizionale poiché in situazioni del genere spesso l’istinto prendere il sopravvento sulla ragione e quindi non potrei assicurare di comportarmi in questo modo) che salverei in ordine: coloro che hanno maggiori speranze di guarigione e di vita, coloro che hanno figli piccoli a casa e i giovani che hanno ancora tutta la loro vita davanti. Queste mie scelte sono sostenute dai criteri avanzati da Beauchamp e Childresse in quanto se si salvano prima le persone che hanno più possibilità di guarire in tempi brevi, si libera un posto prima in terapia intensiva per i nuovi malati, portando alla massimizzazione del bene delle persone. Ciò comporta anche una minimizzazione del male in quanto permette a meno persone di morire. Questa idea di allocare le risorse per salvare il maggior numero di vite coincide anche con il criterio della giustizia di Mori. Per la scelta di chi è più meritevole di essere salvato ho deciso di prediligere i giovani in quanto hanno ancora molti anni da vivere, anni in cui possono fare scoperte e azioni a vantaggio di tutta la società e i genitori di bambini ancora piccoli poiché ritengo che ogni bimbo abbia il diritto di crescere con i propri genitori ad educarlo nel migliore dei modi.
Ottima e argomentata risposta. Un’osservazione: anche chi agisce “per istinto”, come si dice, se ci riflette, ha sempre seguito qualche genere di criterio, magari inconscio, come p.e. la “simpatia” verso una certa persona (che ci ricorda magari una persona a noi cara o ci somiglia), la compassione, l’attrazione ecc.
Tenendo in considerazione l’esempio dei soldati, e trovandomi davanti ad una condizione di dover scegliere tra salvare un giovane o un uomo di mezza età con moglie e figli, mi troverei in enorme difficoltà. Secondo quale criterio infatti dovrei decidere chi salvare? Analogamente per quanto riguarda la situazione odierna e la mancanza di posti di terapia intensiva: che procedura dovrei scegliere? Dovrei riempire i reparti in ordine di entrata oppure sin dall’inizio dovrei attuare una selezione naturale?
Sono tutte domande a cui è difficile trovare una risposta e perciò nel mio ragionamento mi limiterò a essere il più oggettiva possibile. In caso di necessità infatti, sia in guerra, sia per quanto riguarda la situazione attuale, mi limiterei ad osservare i parametri medici e dunque a salvare la persona che può superare, in questo caso la terapia intensiva, con maggiore successo e con maggiore dignità (ad esempio non sceglierei di salvare una persona se poi essa sarebbe costretta ad essere un così detto “vegetale”).
Dunque, per quanto più logico sia magari scegliere di salvare il giovane, in quanto dovrebbe essere più predisposto a superare la malattia e ad essere più produttivo dopo, non è infatti detto che sia esattamente così, è probabile infatti che i livelli di parametri nel sangue siano più promettenti in un altro paziente, magari più anziano, in questo caso dunque, limitatamente ai dati oggettivi, sceglierei lui.
Questo per quanto riguarda, la situazione attuale, avendo a disposizione tutti i dati scientifici a disposizione; invece se mi trovassi in un campo di guerra e dovessi decidere chi salvare, forse, essendo giovane, e dunque di parte, probabilmente salverei il soldato più giovane, in quanto, di norma, ha più vita dinnanzi a sé. Inoltre, secondo un punto di vista darwiniano, salverei il soldato giovane in quanto il soldato più anziano, con moglie e figli, ha già contribuito alla sopravvivenza della specie, e dunque, salvando quello più giovane, darei la possibilità di fare altrettanto anche al soldato più giovane.
Le tue considerazioni sono interessanti e ben argomentate. Non è chiaro, però, perché applichi criteri etici così diversi a situazioni diverse. Non sei sempre la stessa? Dovresti ragionare nello stesso modo in guerra e in pace. O no?
Personalmente, sceglierei di “salvare” chi ha maggiori probabilità di sopravvivenza, al fine di non incorrere nello spreco di tempo e risorse, ovviamente nel caso in cui quest’ultime non bastino a salvare tutti.
Ritengo anche che, in questi casi, criteri di tipo utilitaristico possano portare dei vantaggi a lungo termine, rispetto a criteri di altro tipo, cioè opterei per prediligere qualcuno che possa “tornare utile” per così dire, ricambiare il favore, con il proseguimento della propria vita produttiva, rispetto a qualcuno che non è più in grado di farlo.
Il criterio del “primo arrivato” può funzionare in dei momenti di crisi più leggera (per esempio, in casi di patologie con poche persone infette, bassa infettività, alto indice di sopravvivenza) o quando le risorse disponibili superano di gran numero le richieste d’intervento.
Man mano che la situazione peggiora (o quando ci si trova davanti a malattie altamente contagiose, o con un indice di mortalità elevato), e le risorse tendono a diminuire, trovo migliore l’utilizzo di linee guida che seguano criteri utilitaristici, anche al fine di permettere anche una possibilità in più alla riparazione dei “danni economici” che verranno a crearsi. Vorrei aggiungere però, che tutto ciò va preso in considerazione solo quando il danno è già stato fatto, quindi non c’ è possibilità di limitare ulteriormente il contagio, ma solo gestire la porzione di popolazione infetta nel miglior modo possibile; detto ciò, ritengo anche che sia opportuno trovare strategie alternative per cercare di riportare il livello di risorse disponibili ad un livello tale da poter salvare anche persone che non rientrano nei criteri utilitaristici.
In effetti dal tuo ragionamento si desume che il criterio di fondo resta sempre quello utilitaristico, anche se in senso nobile (quella che Weber chiama etica della responsabilità). L’obiettivo è salvare il maggior numero di vite possibile, mi sembra, considerando anche gli strumenti economici che potrebbero giovare allo scopo.
Credo che in questioni di questo genere non si dovrebbe essere tanto intellettuali o filosofi ma piuttosto scienziati e matematici. La terapia intensiva è uno strumento che può fare la differenza tra la vita e la morte però con delle differenze e bisognerebbe valutare a seconda di queste come sfruttare al meglio uno strumento approfittando del calcolo della probabilità. Ad esempio in questo caso il soldato giovane con ferite uguali all’anziano avrebbe più possibilità di uscire dalla terapia intensiva più in fretta e recuperando in maniera migliore le forze, dunque darei senza dubbio a lui la precedenza. Invece nel caso in cui la ferita del ragazzo fosse più grave e al pari del vecchio avesse meno possibilità di sopravvivere darei priorità al secondo. In situazioni come quella che stiamo vivendo, oppure in quelle di guerra, si è costretti a fare delle scelte e giocare a fare Dio con la vita e la morte e non si può in alcun modo scappare, dunque non essendoci nemmeno qualcosa di giusto in modo assoluto da fare bisogna pensare al rendimento migliore e soprattutto a ridurre gli sprechi, perché semplicemente non ce lo si può permettere. Pensare ad esempio al fatto che il soldato più anziano ha figli non porta a nessuna parte, perché scegliendo di salvare lui fai in modo che l’altro non abbia nemmeno la possibilità di avere una famiglia un giorno. Invece se si decide di salvare il giovane perché come tale ha tutta la vita davanti, invece il vecchio ne ha vissuta di più è assurdo allo stesso modo, poiché il primo potrebbe benissimo morire domani e il vecchio vivere ancora per altri 30 anni.
Insomma avendo risorse limitate bisogna fare economia e cercare di ottenere il guadagno più alto possibile dalla situazione in cui si è costretti.
Non ti accorgi ma sei costretta comunque a fare filosofia. I calcoli sono senz’altro necessari, ma quale è lo scopo? Salvare il maggior numero di vite o quelle (anche in numero minore) di maggior valere (economico, sociale ecc.)? Ha senso salvare un maggior numero di vite se si trattasse di anziani destinati a morire verosimilmente prima di altri? Come vedi è impossibile fare a meno della filosofia. Scacciata dalla porta, rientra dalla finestra. Nessuna matematica o medicina da sola può rispondere a queste domande.
Forse sono un po’ cinico ma per come sono fatto piuttosto di non scegliere nessuno e quindi sperare nel cosiddetto miracolo salverei il giovane per più aspetti:
Il giovane ha una vita davanti da vivere mentre l’anziano ha già vissuto i suoi anni
Il giovane può tornare a combattere ed ritornare ad essere una risorsa in più
Il giovane può essere un mezzo per arrivare allo scopo prefissato (sperando sia uno scopo sensato e non una guerra inutile, come in molti casi)
il figlio dell’anziano può aiutare al sostentamento della sua famiglia se il vecchio dovesse morire ( sempre che sia in età adeguata, se così non fosse proporrei un fondo di mantenimento esclusivo per la famiglia fino a quando il figlio non raggiunge la maggiore età)
All’anziano ovviamente fornirei tutte le cure possibili ma se dovessi scegliere se dare il macchinario a lui o al giovane punterei sul giovane.
Ovviamente non è una scelta che compirei senza ragionare o tanto per scegliere qualcuno ma oggettivamente a mio parere in questi casi bisogna scegliere la meno peggio delle soluzioni che in questo caso è quella di salvare il giovane…
Non penso che tu sia cinico. Aspettare il miracolo potrebbe essere ancora più cinico. Sicuramente è più irresponsabile. Hai argomentato in modo acccurato la tua tesi.
Dovendo scegliere tra i due casi sicuramente mi affiderei al parere medico su chi dei due ha più possibilità di sopravvivere e successivamente sceglierei chi salvare.
Sceglierei così perché ripensando alla mia scelta non avrei ripensamenti e dubbi.
Credo che così la mia decisione sarebbe più o meno oggettiva
Certo, questo può valere per il triage in rapporto ai casi da inviare in terapia intensiva. Ma per il caso dei due soldati feriti che potrebbero tranquillamente salvarsi entrambi, se solo vi fosse energia sufficiente per alimentare la macchine che li tengono in vita? Entrambi avrebbero la stessa probabilità di salvarsi. In base a quale criterio assumere la decisione? E perché?
Io sceglierei in modo differente in base alla situazione: se le ferite dei soldati fossero differenti, nonostante siano entrambi gravemente feriti, mi affiderei a ciò che il medico dell’accampamento mi consiglierebbe in base alla loro condizione; invece se le ferite fossero le stesse sceglierei quello che renderebbe meglio in battaglia dopo le cure, quindi molto probabilmente il giovane.
Questa mia decisione non segue una morale vera e propria perchè essendo in un contesto in cui la morale non conta mi attengo a ciò che mi sembra più favorevole per il mio obiettivo cioè avere soldati in forza che mi aiutino a vincere la battaglia.
In che senso in quel contesto la morale non conterebbe? Anche tu stesso, implicitamente, fai valere un criterio morale di tipo utilitaristico.
Secondo me bisognerebbe valutare la situazione di ogni paziente. Se si dovesse presentare all’ospedale un anziano, che ha una moglie e dei figli, bisognerebbe vedere sé i figli sono autosufficienti o sono ancora dipendenti dai genitori, così che nel primo caso venga data priorità al secondo. Sé invece si trattasse di giovani, trovo che un anziano abbia già vissuto la propria vita, e, se bisogna scegliere, è meglio che sia data ad un giovane questa opportunità, anche perché una persona anziana è già “preparata” in un certo modo, a pensare che da un giorno all’altro potrebbe ammalarsi e morire; un giovane invece ipotizza solo questo argomento, ma non se lo aspetterebbe.
Infine penso che coloro che attualmente decidono chi deve vivere e chi deve morire si basino su un piano più economico che etico, infatti si pensa che salvando un giovane questo in futuro lavorerà e servirà lo Stato, mentre una persona più vecchia ha già fatto il suo dovere e ormai non servirebbe più ad aiutare il Paese.
Il criterio economico a cui alludi alla fine è in contraddizione con quello etico? Considera che la ricchezza di un Paese è anche ciò che consente, in genere, di allestire un migliore sistema sanitario: è un po’ come il gatto che si morde la coda… La tua riflessione è interessante, ma la valutazione che richiedi sembra un po’ troppo complicata se si tratta di prendere decisioni rapide collegate a un’emergenza (rispetto ad esempio alla semplice età dei potenziali pazienti), non credi?
Se io mi trovassi nella situazione del medico, ovvero se avessi la possibilità di salvare solo uno dei due soldati, penso che sceglierei di salvare almeno uno di loro, evitando di lasciarli morire entrambi. Infatti evitando di scegliere, come ha detto lei, sceglierei comunque di non aiutare nessuno dei due. Se invece dovessi scegliere chi salvare dei due probabilmente sceglierei il più giovane o colui che si può rivelare più utile in guerra. Ovviamente entrambe le decisioni sarebbero sofferte e non potrei mai avere la certezza di aver fatto la cosa migliore.
Perché proprio quei due criteri? Sarebbero gli stessi che adotteresti per il caso molto più concreto riferito alla saturazione dei reparti di terapia intensiva?
Prendendo atto che a questa domanda non ci sono risposte giuste, ma ci sono molte risposte sbagliate in quanto tendono a mettere in secondo piano alcuni valori piuttosto che altri; provo a dare una soluzione più condivisibile possibile e che renda conto delle mie personali “preferenze”, tendenze e attitudini.
Come prima cosa io, propugnatore della libertà di parola, di espressione e anche di azione (sopratutto se consapevole), intenderei dare la possibilità a una certa fetta di persone di poter scegliere della propria vita in modo ponderato e consapevole: questa fetta di persone di sicuro non comprenderebbe teenagers, o persone in ottima salute con possibilità molto alte di sopravvivenza nel caso di contrazione del virus (80% probabilità di morte).
Dopo di ciò, essendo la natura umana fondamentalmente avara ed egoista e tendendo le persone a scegliere di continuare ad essere curati piuttosto che consapevolmente porre fine alla propria vita anticipatamente aumentando esponenzialmente le aspettative di vita altrui, cercherei di porre dei criteri secondo i quali poter scegliere chi è più “meritevole” di essere salvato: in particolare darei la priorità, ovviamente, ai giovani piuttosto che alle persone anziane; dopo di che darei precedenza a persone aventi figli giovani piuttosto figli adulti e economicamente indipendenti.
Cercherei insomma di costruire un’identità di ogni persona presa in causa da questa pandemia, in modo da assegnarle attraverso un’algoritmo, calibrato e pesato nei confronti di determinati valori, (e qua la mia visione potrebbe discostarsi dal parere di molti altri) un punteggio in modo da avere uno spettro dei personaggi coinvolti e delle situazioni familiari, genetiche e di salute di tal’uni.
Nonostante questa procedura riduca in modo rude, pragmatico e definitivo le persone e i soprattutto loro futuri a dei numeri, penso che questa procedura sia quella più soggettiva e priva di incomprensioni possibile.
Forse intendevi “più oggettiva”… In generale nella tua risposta insisti molto sulla personale prospettiva. Ma non credi che uno Stato o anche un’équpe medica debba prendere decisioni appunto più oggettive in modo più condiviso? Hai considerato la possibilità di un questionario per raccogliere pareri o di una decisione di carattere politico, piuttosto che soggettivo? l caso del “triage” mette in secondo piano ciò che i singoli pazienti desidererebbero per sé (è naturale che ciascuno vorrebbe essere preso in carico prima degli altri), ma mette in primo piano il criterio di “giustizia” che fa riferimento a criteri il più possibile oggettivi e condivisi a cui tutto dovrebbero sottomettersi (medici compresi).
Comunque apprezzo il tuo sforzo di riflessione personale.
Ritengo che questa sia una scelta davvero difficile. Nonostante ciò credo che tra i due soldati risparmierei quello giovane in quanto rispetto a quello anziano ha davanti a se una vita intera da vivere piena di opportunità, nonostante gli affetti famigliari dell’altro soldato.
Capisco la difficoltà a prendere decisioni in casi simili, ma in base a quali criteri assumeresti questa decisione? E gli stessi criteri valgono anche per la situazione attuale legata alla possibile saturazione dei reparti di terapia intensiva?