Approfondisci l’approccio dei cosiddetti socialisti utopisti studiando l’unità didattica dedicata ad essi (nonché ai primi passi del movimento operaio) e leggendo questa pagina del sito principale (sorvolando, tuttavia, sui riferimenti a Marx che dobbiamo ancora studiare).
- Rispondi, quindi, con riferimento alle posizioni di questi autori (soprattutto: Owen, Fourier, Saint-Simon, Proudhon), (come sempre in modo argomentato, cioè illustrando le ragioni a sostegno delle tue affermazioni) al quesito che dà il titolo a questa consegna: “Una via promettente o utopi(sti)ca?” (sottinteso: quella di questi filosofi).
Se analizzate a fondo, le teorie socialiste dei filosofi studiati presentano, facendo riferimento a Hegel, delle significative contraddizioni: le federazioni autogestite dai lavoratori, suggerite da Proudhon, porterebbero infatti a una forma di capitalismo promossa dai lavoratori stessi che, essendo contemporaneamente i proprietari dell’azienda, cercherebbero comunque di arricchirsi. I falansteri di Fourier non si dimostrerebbero inoltre produttivi poiché i lavoratori, dedicandosi solo ad alcune attività da loro favorite, non garantirebbero la varietà di prodotti necessari al commercio. In aggiunta, l’equa redistribuzione delle risorse teorizzata da Owen e Saint-Simon costringerebbe i proprietari delle aziende a ridurre notevolmente i costi dei loro prodotti, portando al fallimento dell’azienda stessa.
Infine, una rilevante contraddizione è data dal fatto che queste teorie andrebbero ad intaccare il diritto di proprietà del ceto borghese, i quali, essendo questo uno dei principi fondamentali della rivoluzione francese, non sarebbero comunque disposti a rinunciarvi così facilmente.
Le idee promulgate dei filosofi si dimostrano quindi più utopiche che produttive.
Buona l’idea di applicare la dialettica di Hegel al socialismo delle origini, rilevandone le contraddizioni. Sarà esattamente l’approccio di Marx.
A mio parere, nessuna delle prospettive socialiste presentate dai diversi autori studiati è attuabile nella sua completezza.
La prospettiva di Owen, che propone un “villaggio della cooperazione” nel quale tutti i lavoratori ricevono salari dignitosi ridistribuendo i ricavi è irrealizzabile perché, dovendo aumentare i salari, risulta impossibile affrontare altri tipologie di costi (come le tasse, la manutenzione dei macchinari, ecc) se il guadagno rimane uguale e quindi per far fronte a tutte queste spese è necessario aumentare i prezzi dei prodotti.
Saint-Simon, Fourier e Blanc propongono tre prospettive socialiste molto simili fra loro: tutti e tre infatti sostengono l’idea che l’uomo tende alla concordia e all’unità e che quindi l’unica via d’uscita dai problemi è la cooperazione. Secondo Saint-Simon era necessario affidare l’amministrazione al ceto industriale che doveva collaborare con la monarchia utilizzando le “scienze positive”. Fourier e Blanc invece creano nuove strutture sociali con lo scopo di ricreare l’armonia. In tutte e tre le prospettive le decisioni devono avvenire in modo libero il che rappresenta però il limite di queste prospettive in quanto, se creiamo un modello in cui tutti gli operai scelgono che compito svolgere, probabilmente certi compiti non verrano svolti da nessuno, cosa che porta al fallimento del sistema.
Proudhon invece propone una società fondata sulla “anarchia positiva”, una situazione cioè di emancipazione attraverso la quale si poteva giungere alla libertà e alla giustizia. Anche questo modello si basava sull’autogestione da parte dei lavoratori, che come ho spiegato precedentemente a mio parere non può funzionare.
L’analisi simile a quella di altri è buona. Il caso di Proudhon forse è un po’ diverso perché nel suo modello tutta la società dovrebbe essere rifondata su basi anarchiche il che toglierebbe di mezzo il problema della concorrenza e della corsa al minimo salariale per abbattere i costi di produzione.
Analizzando le dottrine considerate utopistiche penso che ognuna di fondo abbia un bel pensiero ma che esso stesso sia irrealizzabile:
-La dottrina di Charles Fourier, sperimentata da Robert Owen, mirava a un nuovo modello industriale dove i salari erano dignitosi ma per fare ciò i prezzi dei prodotti da vendere sarebbero dovuti essere “fuori dal mercato” per garantire appunto un salario maggiore al lavoratore, tuttavia inevitabilmente il prodotto sarebbe fallito;
– La dottrina di Proudhon aspirava a una “anarchia positiva” ovvero all’autogestione dei lavoratori che sarebbero diventati allo stesso tempo anche proprietari. Ma qesti sarebbero in grado di rinunciare a stipendi alti o a licenziarsi per il bene dell’azienda?
– Per quanto riguarda Saint-Simon, Blanc, Pierre Leroux tutti sostenevano che la cosa migliore per il futuro sarebbe stata una parità tra lavoratori e proprietari ma per fare questo si cadrebbe in una contraddizione, infatti, i primi socialisti vennero chiamati “utopisti”, poiché aspiravano a riforme sociali (ad esempio un modello di società futura nel quale i frutti dei processi di modernizzazione beneficiassero alla classe operaia) totalmente innovative e che avrebbero dovuto debellare le ingiustizie. Ora, per debellare le ingiustizie bisognerebbe garantire pari opportunità tra lavoratori e ricchi, i quali detengono maggior potere, sottraendo a quest’ultimi i loro beni e dunque violando la loro libertà, ricadendo in un gesto ingiusto, cosa che prima gli utopisti avevano detto di voler debellare.
Detto ciò ritengo che tutte queste idee rimangano utopistiche e non promettenti e realizzabili nel futuro.
Buona analisi articolata per autori o gruppi di autori. Non direi che Owen sperimenti letteralmente le teorie di Fourier ma che in modo indipendente l’uno realizza e l’altro teorizza un simile modello di azienda utopistica.
Questi stessi autori che ho il compito di esplicitare, come: Owen, Fourier, Saint-Simon o lo stesso Proudhon sono famosi autori storici dell’800, che vengono spesso ricordati come socialisti.
Ma cosa si intende con l’aggettivo socialisti? In particolare, tutti questi autori si sono impegnati a credere ma anche giustificare la possibile esistenza di una sorta “isola”, da molti definita utopica, dove la convivenza tra gli uomini è sancita da armonia e dove non esistono ingiustizie sociali, dove ognuno è libero di adempiere alle proprie volontà senza danneggiare l’altro e grazie alle proprie capacità rincorrere e giungere alla felicità, che in questo caso non è solo del singolo, ma è collettiva.
Nel corso del tempo queste teorie, come quella stessa di Proudhon, che esplicitava come fosse possibile che i lavoratori si organizzassero in cooperative di loro spontanea volontà, divenendo sia proprietari dell’azienda che lavoratori, fosse assai fattibile, sono state ripetutamente confutate.
Infatti, secondo il mio modesto parere, queste teorie socialiste hanno poco di reale in sé, poiché, anche se a livello teorico sarebbero perfette, rapportate con gli aspetti negativi, ma caratterizzanti l’animo umano e la società, perdono di significato.
Prendiamo ad esempio la teoria di Prouhon: quest’ultima mi pare in realizzabile per il semplice motivo che è impossibile per la stessa persona, che ricopre sia la nomina di proprietario che di lavoratore, fare il bene proprio e dell’azienda nello stesso momento, poiché ricadremmo nel paradosso che lui per il bene dell’azienda, a causa delle rivali, proporrebbe direttamente a sé stesso un salario più basso o addirittura di licenziarsi, non facendo però il bene di sé stesso.
Tutto ciò è principalmente dettato da le diversità di interessi delle classi, dove la divisione tra proletari e borghesi non si può più nascondere, ma anzi si fa sempre più evidente a causa dell’evoluzione del sistema di lavoro, dove se un tempo vi era il domestic system (dove l’imprenditore comprava il prodotto e quindi il l’artigiano era ancora parzialmente autonomo) ora vi è il factory system (dove l’imprenditore compra direttamente il lavoro).
In conclusione, i socialisti cercano inesorabilmente di sanare quella ingiustizia iniziale sociale e quindi quella miseria e debolezza contrattuale dei proletari nei confronti dei borghesi sperando una più equa ridistribuzione delle ricchezze, che però pare un pensiero (anche a mio parere) utopico, poiché è possibile solo tramite un intervento diretto alle tasche dei ricchi (agendo un po’ come Robin Hood), ma in questo caso non totalmente equo, poiché violo le libertà dei borghesi.
Il tuo pensiero è abbastanza chiaro, nonostante consuete imperfezioni formali. Non tutti i socialisti, tuttavia, lavorano sull’ipotesi che esistano “isole” di convivenza felice. Owen alla fine si dette all’attività sindacale e Proudhon pensava a una cambio culturale “universale”, non limitato a qualche esperimento locale.
La contraddizione derivante dal fatto che garantire certi diritti sociali bisogna attentare al diritto di disporre dei propri beni è più del marxismo (che teorizza la lotta di classe e l’espropriazione proletaria) che del socialismto utopistico che, nel caso p.e. di Saint-Simon, teorizzava la collaborazione tra operai e imprenditori (tutt’altro che espropriati).
Saint-Simon ritiene che in futuro il potere spirituale sarà in mano agli scienziati mentre quello temporale sarà in mano agli industriali in quanto reputa scienziati, artisti e artigiani insostituibili mentre i politici avendo molti aspiranti sono facilmente sostituibili. A mio parere questa filosofia è utopica infatti reputo che l’uomo miri al potere indipendentemente dalla sua forma di conseguenza se il potere temporale finisse nelle mani degli industriali, tutti gli uomini diventerebbero industriali e questa figura diverrebbe sostituibile. Nonostante ciò essa ha un ruolo di grande importanza infatti fa comprendere l’importanza sociale, spirituale e religiose del progresso e porta la società a migliorare costantemente.
Trovo che la filosofia di Charles Fourier, sperimentata da Richard Owen, sia anch’essa utopica, infatti creare nuclei di 1600 persone e metterle a vivere e lavorare in un unico luogo condividendo tutto e dando libero sfogo alle proprie passioni non può a lungo termine funzionare per l’indole naturale umana perché come le persone danno libero sfogo al proprio desiderio succede la stessa cosa anche con altri sentimenti, come la gelosia magari verso un uomo o una donna per la quale si provano dei sentimenti e che però bisogna condividere con tutti. Inoltre pagare in modo analogo tutti i lavoratori è finanziariamente insostenibile a meno che poi non aumenti in modo esponenziale il prezzo del prodotto venduto tanto da farlo uscire dal mercato e far fallire l’azienda.
Proudhon attraverso il suo socialismo promuove un’idea di società in cui i lavoratori si organizzano spontaneamente in cooperative ma o essi si assegnano salari bassi per rendere competitiva la propria cooperativa, senza quindi ottenere alcun vantaggio economico rispetto al salario tradizionale, oppure anche questa impresa fallirà perché non avrà prezzi tali da riuscire a competere con il resto del mercato.
In sintesi, per quanto queste filosofie siano interessanti non reputo nessuna di esse, una via promettente in quanto non sono realizzabili a livello pratico.
Analisi chiara e conclusione altrettanto. Non è chiaro solo un passaggio: “reputo che l’uomo miri al potere indipendentemente dalla sua forma di conseguenza se il potere temporale finisse nelle mani degli industriali, tutti gli uomini diventerebbero industriali e questa figura diverrebbe sostituibile”. Forse tutti gli uomini cercherebbero di diventare industriali, ma non è detto che ci riescano. In uno Stato governato da re non tutti diventerebbero re. Potrebbe forse nascere qualcuno tentanto di usurparne il potere, ma difficilmente tutti vi riuscirebbero. Non è poi chiaro in che senso la figura dell’industriale diverrebbe sostituibile. Se tu lo diventassero ognuno rimarrebbe eternamente tale. Forse intendi che gli uni scalzerebbero il potere degli altri in un’infinita lotta per il potere? Ma questo dovrebbe accadere allora in tutti i regimi, chiunque governi, eppure ci sono regimi stabili.
Penso che l’idea di Proudhon sia irrealizzabile in quanto, come citato dal sito, sia impossibile che i lavoratori si organizzino autonomamente e che siano in grado di assegnarsi salari bassi e a prendere in considerazione l’aventualità dell’auto licenziamento. Per questo motivo ritengo che Owen abbia ragione nel ritenere necessaria la presenta di Sindacati che difendano i diritti dei lavoratori. Rispondendo alla domanda penso che sia meglio garantirsi una vita promettente piuttosto che una vita utopica in quanto secondo il mio parere una vita utopica risulterebbe impossibile da realizzarsi.
Spero di aver risposto correttamente poiché ho avuto dei dubbi nella comprensione della domanda.
Hai risposto nin modo sintetico ma chiaro nella prima parte. Sembra invece che tu abbia letto male la parola “via”, che leggi come “vita”. La domanda chiedeva se la “via del socialismo”, percorsa dagli utopisti, fosse promettente, cioè se avesse senso “incamminarsi” metaforicamente per quella strada.
Partendo dal presupposto che il socialismo parte da principi piuttosto utopistici in se, quali il fatto che la natura dell’uomo sia di tipo cooperativo nei confronti degli altri e che si possa raggiungere l’uguaglianza, le teorie legate a questo movimento appaiono esserlo di conseguenza.
Dimostrazione del fatto che queste teorie non siano praticabili nella realtà dell’Ottocento, come anche nella nostra, è lo stesso Robert Owen che nel suo cotonificio a New Lanark mise in pratica il suo modello industriale in cui fu abolito il lavoro minorile, i salari furono alzati e migliorò condizioni e orari di lavoro. Questo avvenne soprattutto date la scarsità delle convenzioni esterne, dello stato ad esempio, e dell’inesistenza di leggi che tutelassero gli operai realmente, infatti in un mercato libero è necessario avere un prezzo basso del prodotto per poter vendere e di conseguenza guadagnare, dunque Owen è stato stracciato dalla concorrenza. Anche oggi nonostante leggi etc in un mercato libero è necessario ridurre al minimo i prezzi di produzione per vendere.
La teoria di Fourier si basava sull’idea della cooperazione naturale dell’uomo l’uno con l’altro specchio di questa teoria furono i “falansteri” in cui si potevano svolgere le attività preferite alla ricerca dell’armonia perduta per colpa del “mostro capitalista”. Oggi un idea del genere sembrerebbe assolutamente inefficace, soprattutto perché è difficilissimo autogestirsi e si finirebbe per ridurre la produzione. Inoltre questa teoria somiglia all’Utopia di Tommaso Moro che appunto come il nome consiglia è piuttosto utopica appunto.
Infine il socialismo presenta un’avversione particolare per il capitalismo, sistema nel quale tra l’altro noi viviamo, e il più grade esponente di questo odio è Proudhon che denuncia la ricchezza prodotta dal lavoro altrui, condannando questa proprietà come vero e proprio furto. Inoltre ancora più simpaticamente porta l’autogestione a un livello nazionale (forse addirittura mondiale, cambia poco) dichiarando che l’anarchia è lo specchio di libertà e giustizia. Ora parlando seriamente in uno stato di anarchia reale chiunque potrebbe cercare di proseguire i propri interessi a discapito degli altri e molto probabilmente l’idea di giustizia non sarebbe in alcun modo condivisa e si otterrebbero diverse idee di questa che si scontrerebbero.
Il problema del socialismo estremizzato (soprattutto di Fourier e Proudhom) è che hanno troppa fede nella bontà dell’animo del uomo e che tutti nel mondo pensino un po’ in modo uguale a loro, dunque abbiamo una generalizzazione esagerata di questo uomo perfetto la cui natura persegue solo il bene collettivo.
Sono filosofie davvero belle e interessanti, però irrealizzabili perché si basano su troppi presupposti, senza guardare realmente la natura umana. Oggi possiamo ricordare i moti comunisti del novecento che da ideologie più o meno estremizzate portarono a caos e distruzione, dunque abbiamo la prova concreta che queste possano rimanere unicamente utopie.
La tua analisi è piuttosto interessante. Invece di soffermarti come diversi tuoi compagni (e come ho fatto io stesso) sui limiti strettamente economici delle proposte dei primi socialisti, metti in discussione, per così dire, la loro antropologia ottimistica, la loro idea, cioè, che l’uomo sia naturalmente buono (che potrebbe essere fatta risalire a Rousseau).
Ritengo che le dottrine di Owen, Fourier, Saint-Simon e Proudhon siano tutte utopistiche infatti la dottrina di Charles Fourier, sperimentata senza successo da Owen, che prevede delle aziende nelle quali i lavoratori non sono sfruttati e vengono pagati equamente porterebbe i prezzi dei prodotti fuori mercato e quindi al fallimento; la proposta di Prounghon, analoga alla precedente, dove i lavoratori si organizzano in cooperative comporta o l’assegnazione di bassi salari o il fallimento. Invece Saint-Simon credeva nella parità tra lavoratori e proprietari ma questo avrebbe portato a dover debellare le ingiustizie garantendo opportunità tra lavoratori e ricchi che andrebbero a perdere i loro beni e quindi si ricadrebbe in delle ingiustizie.
Perciò sono tutte dottrine da rigettare interamente?
Come da definizione le idee dei socialisti utopisti sono, appunto, da considerare utopistiche, per varie ragioni, tra le quali spicca la poca attenzione al contesto storico.
Data la sopravvalutazione delle capacità di autogestione dei singoli lavoratori (dimostrata dal fallimento dei modelli ispirati da Owen), è abbastanza improbabile che una associazione di lavoratori autonomi possa riuscire a portare avanti un’ azienda senza dover rinunciare a nessun loro diritto che dichiaravano dover possedere (NEL CONTESTO STORICO*, intendo), quali assicurazioni, stipendi equi e orari maneggiabili, restando però competitivi in una situazione di libero mercato (nata in quel periodo con le teorie di Smith e successivi).
Inoltre la lotta di classe, se portata avanti con le armi e culminante quindi nel rovesciamento totale delle posizioni di potere, rischierebbe di distruggere le stesse aziende che provvedono al sostentamento dell’economia e degli stessi lavoratori, quindi l’idea di fondo (derivata dall’ampliamento dei diritti conquistati dai borghesi anche alla classe operaia) è applicata in una maniera troppo generica e senza riguardo per le possibili conseguenze negative.
Col senno di poi, nel pensiero di questi filosofi socialisti, trovo ammirevole la denuncia delle condizioni di povertà della classe operaia, quindi mi trovo personalmente d’accordo con l’idea di un lavoro “equo” e uno standard di vita dignitoso, ma trovo obsoleti e poco efficaci in un contesto reale i metodi proposti; d’altro canto è comprensibile il loro approccio data la vicinanza con le idee illuministiche della rivoluzione francese, e le idee di libertarismo che ne sono scaturite, senza quindi prendere in considerazione la soluzione che reputo personalmente più adatta a gestire le divisioni di ricchezza tra le “classi sociali”, cioè interventi più diretti da parte dello Stato.
*del XIX e inizio XX secolo
Direi che hai colto in modo ben argomentato e dettagliato pregi e difetti delle proposte di questi autori. Naturalmente l’aggettivo “utopisti” implica già un giudizio negativo. Non a caso esso risale a Marx che intendeva prendere le distanze da questi autori proponendo quello che chiamava socialismo “scientifico”.
Credo che l’idea di Fourier secondo la quale esiste nell’universo un piano provvidenziale nel quale rientrano l’uomo, il suo lavoro e la sua organizzazione sociale sia una “visione” utopistica soprattutto poiché sostiene che l’organizzazione sociale deve rendere “attraente” il lavoro al quale ogni individuo é chiamato e, quindi, la sua posizione sociale. Oltre ciò egli crede che Dio abbia composto per noi un codice passionale applicabile a tutta l’umanità e che abbia dovuto fornire all’uomo anche un metodo fisso e infallibile per l’interpretazione di questo codice.
Generalmente considero questi filosofi utopistici poiché non rispettano il contesto storico, sopravvalutano la capacità di autogestione e non prestano attenzione all’equilibrio della società.
Mi sembra una discreta analisi. Non è chiaro che cosa tu intenda per “equilibrio della società” (forse, come san Paolo, che ognuno rimanga nel suo stato, cioè nella sua condizione sociale?, un’idea molto conservatrice che sarebbe piaciuta ad Aristotele e Platone…). Da dove hai derivato questo ruolo di Dio nel pensiero di Fourier? E’ davvero così rilevante?
Dopo aver considerato le teorie dei filosofi sopraelencati, mi sento di considerare le loro teorie pressoché utopistiche.
Questo perché sono per la maggior parte fondate sulla base di una società ideale, dove non vi sono approfittatori e tutti svolgono il proprio ruolo nella società rispettando il sistema.
Una teoria che si basa su questo ideale è, ad esempio, quella di Fourier, il quale afferma che tutti dovrebbero essere lasciati liberi di fare ognuno ciò che più gli piace seguendo le proprie passioni poiché tutto è base e frutto di un piano provvidenziale divino.
Un altro esempio che si basa sul concetto di società modello è quello di Owen e il suo “villaggio della cooperazione”: un sistema equo di suddivisione del lavoro, non fondato sull’avidità del guadagno, il quale, altrimenti, sarebbe considerato immorale.
Un altro sistema utopico è sicuramente quello riguardante l’anarchia positiva di Proudhon secondo cui l’economia dovrebbe essere gestita autonomamente dai lavoratori, fondata sui principi di solidarietà, mutualità e cooperazione
Tuttavia, seppur alcune teorie siano pressoché irrealizzabili, vi sono anche piccoli tratti di alcune teorie giunti sino ai giorni nostri come la spartizione del potere di Saint-Simon, il quale afferma che il potere spirituale della società appartiene agli scienziati (come difatti ai giorni nostri è) e l’amministrazione dell’economia riservata agli imprenditori, e il pensiero di Louis Blanc il quale per primo sviluppò l’idea di diritto al lavoro.
Oltre agli aspetti critici hai colto alcuni elementi rilevanti. Si può forse dire che questi primi socialisti, pur indicando soluzioni poco plausibili, additano almeno una meta desiderabile e condivisibile.
Le aspirazioni utopiche dei pensatori sopra citati risultano essere totalmente inefficaci e sopratutto inattuabili: Owen, ad esempio, cerca (a suo modo) di garantire alla classe operaia un dignitoso stile di vita ideando delle surreali fabbriche nelle quali i datori di lavoro e i lavoratori siano in armonia tra di loro, in particolare che quest’ultimi ricevano un degno salario che gli permetta di vivere bene ma senza essere in alcun modo sfruttati; la surrealità di ciò sta nel fatto che un’impresa strutturata in questo modo per sostenere i costi di produzione (salari degli operai,materie prime, trasporti vari,etc…) non può che vendere i propri prodotti a prezzi stellari rispetto alla concorrenza (sfruttatrice), di conseguenza risulta essere destinata al fallimento; allo stesso modo Proudhon, al fine della fondazione di una nuova impresa, invita gli stessi lavoratori a coalizzarsi in organizzazioni (in modo da essere allo stesso tempo datori di lavoro e lavoratori, per prevenire lo sfruttamento), facendo ciò però gli stessi lavoratori devono essere pronti a auto imporsi salari scadenti, turni di lavoro frustranti e perfino a licenziarsi per il bene della società andando contro i propri interessi; visto che ciò non accade anche questo tipo di soluzione non risulta che essere un’utopia.
In conclusione mi sento di affermare che la ricerca di una soluzione al problema dello sfruttamento lavorativo non è raggiungibile se a interagire nell’azienda sono uomini con degli interessi nel arricchirsi, ma deve essere una forza maggiore disinteressata (Stato, Dio, etc…) a vietare questa pratica.
Hai colto l’essenziale aspetto problematico della proposta e delle pratiche dei primi socialisti. Eviterei di usare in modo improprio la parola “surrealtà”, che ha un significato tecnico, ma parlerei di “poca plausibilità” o simili. Mi chiedo come Dio possa intervenire direttamente a risolvere i problemi degli operai (se lo facesse, rivelerebbe pubblicamente di esistere e non mi sembra probabile come evento). Se ti riferisci a un’azione “indiretta” di Dio tramite ad esempio le chiese, siamo al punto di prima: come potrebbero agire senza creare problemi al mercato?
Condivido con Marx il suo pensiero sulle ricchezze cioè ci dovrebbe esse una più equa distribuzione della ricchezza “iniziale” (attraverso p.e. forti tasse di successione, che avrebbero dovuto ostacolare la trasmissione ereditaria dei patrimoni), affinché ciascuno se la potesse “giocare” in condizioni il più possibile di “pari opportunità” con gli altri. E anche con la sua idea di creare le prime organizzazioni sindacali sempre meno legate ai singoli mestieri svolti dagli iscritti, e sempre più alla loro condizione di semplici salariati, dunque organizzate sempre più su base territoriale, come le italiane “camere del lavoro”, il cui obiettivo anche attraverso il ricorso alla sciopero e alla lotta contro il “crumiraggio” era quello di strappare sempre migliori condizioni contrattuali, mantenendo il massimo grado possibile di solidarietà, dunque di compattezza tra i lavoratori (pena, in caso di divisione, a causa dell’elevata offerta di lavoro, dovuta all’alta disoccupazione, la caduta verticale del costo del lavoro, dunque dei salari).
La domanda riguardava i socialisti utopisti e non Marx. Alcune azioni che riferisci, come la proposta di forti tasse di successione, sono tipiche di costoro, mentre altre rappresentano piuttosto l’effetto del pensiero di Marx.
I socialisti utopici sono filosofi della politica che tentano di rendere più chiare e rispondere a domande importanti per tutti: che cos’è l’uguaglianza? La libertà? La democrazia? Sono obiettivi degni di essere perseguiti? Come possono essere raggiunti? Questi filosofi politici scrivono in genere in risposta alle situazioni politiche in cui si trovano, per cui la conoscenza dello sfondo storico è particolarmente importante per comprendere gli argomenti filosofici.
E’ durante la rivoluzione industriale che nascono i primi pensatori del socialismo utopistico. Secondo me i loro principi e le loro idee teoricamente sono buone, perché la libertà, l’uguaglianza e una più equa distribuzione della ricchezza, sono cose che danno a tutti pari opportunità; però essi non tengono conto della difficoltà di realizzare tutto ciò per conflitti di classe tra imprenditori e produttori, per il contesto storico/economico e per le caratteristiche, anche, della “natura umana”, per cui le loro aspettative mi sembrano un po’illusorie.
Anche Tommaso Moro in “Utopia” conclude dicendo:“confesso di sperare che molte delle caratteristiche della Repubblica di Utopia siano introdotte anche nei nostri paesi, anche se non ho molti motivi per sperare”.
Dunque condividi le finalità di questo movimento. Ma che dire dei mezzi suggeriti e praticati per conseguirle, sui quali diversi tuoi compagni si mostrano piuttosto critici?
L’approccio dei socialisti utopisti si basa quasi completamente du idee di tipo utopistico. Una di queste è quella di Fourier sperimentata, senza successo, da Owen cioè: la possibilità di realizzare dei luoghi di lavoro in cui si lavora in liberamente e armonia, quindi soddisfando tutte le necessità dei lavoratori. Ma questa idea si mostrò subito fallimentare perché per soddisfare questi diritti dei lavoratori l’azienda doveva vendere i suoi prodotti a prezzi altissimi che facevano preferire ad un acquirente l’azienda che, sebbene sfruttasse i lavoratori, vendeva gli stessi prodotti a prezzi inferiori.
Anche l’idea di Proudhon (per risolvere il problema dello sfruttamento dei lavorati, essi si dovevano organizzare in delle cooperative) era destinata a fallire perché per avere un ricavo dalla vendita dei prodotti i lavoratori stessi dovevano accontentarsi di ricevere salari minimi o licenziarsi per il bene dell’azienda di cui erano proprietari.
Quindi tutte queste idee, sebbene sottolineassero il problema dello sfruttamento dei lavoratori e ne evidenziassero la gravità, non erano di certo la soluzione a questo problema.
Hai capito il problema essenziale dell’approccio utopistico. Attenzione alla forma (si dice p.e. “soddisfacendo” e non “soddisfando”).
I socialisti utopisti e le lore visioni appunto utopiche non prendevano in considerazione le conseguenze che le loro idee come per esempio quella del dare troppa importanza al singolo lavoratore e nessuna ai posti di potere di fatti aboliti. Senza nessuno al comando che organizzi il modo di lavorare sarebbe un accavallarsi di prese di posizione dei singoli creando solo caos e non essendo produttivi in alcun modo. Il ribaltamento delle classi di potere, quelle stesse che davano lo stipendio ai lavoratori creerebbe solo scompiglio senza capire bene dove si voglia arrivare. Sono d’accordo però con la denuncia che i socialisti utopisti fecero sulle condizioni di vita degli operai, pagati al minimo e costretti a turni di lavoro massacranti. Chiaro che la prima cosa che un operaio vorrebbe per esempio fosse subito un cambiamento repentino ma agendo come detto prima non si arriverebbe al dunque bensì a una situazione forse peggiore di quella che già c’era.
Non è molto chiara la tua argomentazione che sviluppa questa tua tesi, che l’errore dei socialisti utopisti consistesse nel “dare troppa importanza al singolo lavoratore e nessuna ai posti di potere di fatti aboliti”.
Owen con il suo villaggio di cooperazione intendeva porre un esempio di un azienda il cui reddito non diminuiva ma veniva redistribuito in maniera più equa tra impresari e lavoratori.
Saint-Simon proponeva di creare un nuovo ordine sociale da parte del ceto industriale e come Owen insisteva la necessità di equa redistribuzione delle risorse.
Fourier si sofferma sull’antagonismo tra lavoratori e borghesia e proponeva una naturale cooperazione tra le due “classi”.
Proudhon sosteneva che la proprietà fosse un furto e che la società si sarebbe dovuta fondare sull’anarchia positiva che si sarebbe costituita di federazioni autogestite dai lavoratori.
In generale, tutte queste idee sono a sostegno dei lavoratori e condannano lo sfruttamento degli stessi da parte del ceto borghese. A mio parere, però, sebbene ci debbano essere delle leggi che tutelino dipendenti nei confronti dei loro datori di lavoro, ad esempio, deve essere imposto da un salario minimo dettato dallo stato, i sistemi proposti dai cosiddetti utopisti sono comunque “troppo utopiche” perché ritengo che persevererà sempre un certo grado di competizione che porterà a diseguaglianze a livello sia economico sia sociale.