La preferenza degli scienziati di oggi per le interpretazioni meccanicistiche delle loro stesse scoperte radica in una “fede” nel meccanicismo non meno irrazionale della “fede” che si può nutrire nell’olismo e nelle interpretazioni che lo richiamano (come quelle che si appellano a “campi morfici“).
Le spiegazioni della morfogenesi e del comportamento degli stormi (et similia), così come di molti altri fenomeni non solo biologici, in termini di “sommatoria” di processi fisici, chimici e biologici (secondo un procedimento “cartesiano” bottom up che, partendo dall’analisi di ogni problema, ossia dalla sua risoluzione nei suoi minimi termini “materiali”, perviene alla fine alla sintesi/ricomposizione tra le “parti” così esaminate), sono o indimostrabili o, in taluni casi, perfino false. Perseverare nel credervi è un puro atto di fede o, nel caso migliore, non più di un “programma di ricerca” in attesa di qualcuno che lo verifichi (come Keplero e Newton a distanza di molti decenni verificarono l’ipotesi di Copernico).
- Perché tali spiegazioni sarebbero indimostrabili o perfino false?
Perché, nel caso, ad esempio, degli stormi, dei branchi di pesci, delle greggi et similia, i modelli matematici (come elaborati da Reynolds, Hinz e Polavieja, Attanasi et. al., Bialek ecc.) che si mostrano particolarmente efficaci nel predirne l’evoluzione, si limitano a “presupporre”, cartesianamente (bottom up), che la ragione per cui funzionano così bene radichi in meccanismi (neurologici, percettivi ecc.) che si svolgerebbero “dentro” ciascun singolo individuo che compone tali “gruppi”. Ma tali meccanismi, lungi dall’essere stati analiticamente delucidati, restano del tutto “ignoti”, si limitano ad essere postulati. Attendono il Newton di turno per essere “spiegati”.
Anzi, se quello che Sheldrake scrive [p. 288 e ss.] è corretto, esperimenti indipendenti sul tempo di reazione dei singoli organismi porterebbero ad escludere che tali individui possano comportarsi all’interno degli stormi (come i modelli matematici predicono e come gli stormi effettivamente si comportano) soltanto sulla base della propria individuale fisiologia. Dunque la spiegazione basata su tali modelli matematici (come la spiegazione tolemaica dei moti degli astri, matematicamente sufficientemente precisa da consentire di prevedere le eclissi), in quanto invoca soltanto meccanismi interni agli individui, sarebbe semplicemente falsa (come Galileo ebbe buon gioco a dimostrare che fosse falso il modello tolemaico, con l’esperimento indipendente consistente nel puntare un semplice cannocchiale su Giove).
Nel caso della morfogenesi vale esattamente la stessa cosa. Brian Goodwin ha sviluppato una “matematica” che descriverebbe in modo promettente (e, dunque, sarebbe in teoria in grado di prevedere) la differenziazione cellulare durante lo sviluppo di un organismo.
Si può certamente pensare che tale “matematica” poggi sull’azione di non ben definiti “morfogeni”, sostanze chimiche la cui circolazione nell’organismo sarebbe responsabile dell’attivazione/silenziazione di geni diversi in cellule diverse (la quale sarebbe a sua volta responsabile, circolarmente, della circolazione dei morfogeni tra una cellula e l’altra), in modo da determinare la morfogenesi.
Questa teoria, assai lambiccata (e che ricorda i famosi epicicli tolemaici), è tuttavia solo un “programma di ricerca” (derivante dalla “fede” nel meccanicismo di chi preferisce quest’interpretazione ). Nessuno sa esattamente come questi “morfogeni” agiscano e, ad esempio, come mai, nel caso di perturbazioni, lo sviluppo tenda comunque sempre a riprendere il cammino corretto. Certo, vi sono diverse ipotesi al riguardo (sempre di tipo meccanicistico: per esempio, il metabolismo coinvolto tenderebbe a seguire “linee” di “minima energia” o simili), ma nessuna prova concreta al riguardo.
In questi casi l’eleganza matematica dei modelli proposti (ed eventualmente l’efficacia predittiva degli stessi) maschera(no) la natura del tutto ipotetica dei presupposti “metafisici” in funzione dei quali a volte gli stessi “autori” dei modelli “interpretano” il senso del loro lavoro.
Come si sa, possiamo orientarci in mare in modo efficace, stabilendo il “punto nave”, ossia latitudine e longitudine corretta del luogo in cui troviamo, se disponiamo di un buon orologio, un sestante, delle “effemeridi nautiche”, il tutto anche assumendo come ipotesi un cosmo geocentrico e magari anche una terra piatta. L’efficacia predittiva di un modello matematico dice poco sulle ragioni di tale efficacia.
Consideriamo, inoltre, che le interpretazioni di tipo olistico (o sistemico od organismico ecc.), come quelle che si appellano a campi morfici, non si oppongono alle interpretazioni correnti, ma le integrano con ipotesi aggiuntive (derivanti da una visione globale della natura, “indiziata” di essere vera, in quanto aderente a fenomeni tratti dagli ambiti più disparati), in mancanza delle quali le interpretazioni correnti risultano monche. La differenza tra le ipotesi aggiuntive “olistiche” (che possono certamente inaugurare altrettanti programmi di ricerca volti a “dimostrarle” sulla base di controlli empirici) e le ipotesi aggiuntive meccanicistiche, come p.e., nel caso della morfogenesi, le ipotesi relative all’azione di morfogeni e simili, altrettanto basate su “intuizioni” e “fede” delle prime, sta nella maggiore semplicità ed eleganza delle ipotesi “olistiche”.
Consideriamo la seguente parabola. Un epicureo (atomista) prevede che, se impiegherai una tonnellata di marmo per scolpire una statua, alla fine del processo la somma del peso della statua e della polvere sollevata sarà esattamente di una tonnellata. Un aristotelico non dà torto all’epicureo. Magari ignorava l’importante principio di conservazione della materia. E ringrazia l’epicureo dell’informazione. Si limita timidamente a osservare che senza un “progetto intelligente” dello scultore, difficilmente la statua sarebbe stata prodotta. L’epicureo dà all’aristotelico la “metrica” della faccenda, ma non è in grado di spiegare “a fondo” le ragioni del processo a cui assiste.
- Sarà, ma, se chi è stato così intelligente da elaborare un modello predittivo potente, propone anche una spiegazione meccanicistica, non è più ragionevole dare credito a costui piuttosto che chi si limita a fornire spiegazioni alternative non matematicamente giustificate o, al limite, che “parassitano” i modelli matematici già proposti da altri?
Il fatto è che viviamo in una cultura meccanicistica e non c’è da stupirsi che anche gli scienziati, nel cui ambito il meccanicismo (a torto) è il “dogma” di riferimento, ragionino su basi meccanicistiche. Analogamente, nel Medioevo, ma ancora per tutta l’età moderna, molti grandi inventori e scopritori “leggevano” teologicamente (spesso neoplatonicamente) le loro interessanti e spesso azzeccate (dal punto di vista descrittivo) teorie sulla luce o sulla gravità.
Non c’è un rapporto logico tra un modello esplicativo e l’interpretazione che il suo stesso autore gli conferisce, ma solo psicologico od, eventualmente, storico-culturale.