Nichilismo o (s)mascheramento del senso?

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Dopo Hegel, culmine e compimento della filosofia “moderna”, motivi di carattere filosofico scaturiscono spesso da ambiti del sapere non prettamente filosofici (economia politica, poesia, fisica, biologia, filologia antica, medicina).

Consideriamo le dottrine dei seguenti autori:

Il solo Schopenhauer è “filosofo” in senso tradizionale (anche se in modo fortemente critico verso la “tradizione” della filosofia universitaria moderna, rappresentata dal “rivale” Hegel).

Ciò non dovrebbe stupire.

L’epoca del trionfo della scienza (l’Ottocento) e del connesso ottimismo tecnologico, sociale e politico (che denominiamo positivismo), è anche quella nella quale si cominciano ad avvertire i primi segni di una crisi (che sarebbe esplosa alla fine del secolo, nella fase culturale chiamata spesso decadentismo).

A ben vedere, infatti, la scienza stessa a che cosa ci educa e ci abitua? Ad interpretare tutto ciò che accade (compresi i fenomeni biologici e sociali) in termini riduzionistici e deterministici, smontando una dopo l’altra le illusioni (come le chiama Leopardi) di cui si nutrono romanticismo e idealismo.

Se il progresso scientifico ci aiuta certamente a sviluppare potenti ritrovati tecnologici che alleviano la nostra sofferenza e accrescono i nostri piaceri (oltre che la durata della nostre vite), d’altra parte esso erode progressivamente il fondamento della nostra fede in un senso soggettivo o spirituale della vita e del mondo, nella misura in cui tale fede si nutre della credenza nel fatto che ciò che accade, oltre a cause di tipo meccanico, abbia anche scopi più o meno nascosti (cause finali), imputabili a Dio o a un Uomo “divinizzato” (come quello concepito da romantici e idealisti).

Se, poi, interpretiamo noi stessi (esseri umani) come il frutto casuale di una selezione naturale cieca, legata alla dura lotta per la sopravvivenza, cominciano a scricchiolare (cfr. il darwinismo sociale) anche i fondamenti di un’etica che non si riduca a forme più o meno confessabili di utilitarismo ed edonismo (dottrine secondo cui lo scopo della vita consiste nel massimizzare il piacere). Del resto fin dal mondo antico ontologie di tipo materialistico, come quella atomistica degli epicurei, tendevano a generare etiche di tipo edonistico.

In questo quadro non sorprende trovare i primi germi di una tendenza (prima culturale che filosofica) che, in forma spesso occulta e non dichiarata, secondo molti autori (nel Novecento Heidegger, Severino e Galimberti) si manifesterà in forma conclamata nel nostro tempo: quella del nichilismo, ossia la tendenza a non credere più a nulla (nihil), neppure alla stessa scienza moderna e al “mito” del progresso che ne deriverebbe.

La forma moderna in cui il nichilismo (anticipato per certi versi dallo scetticismo antico) si è riaffacciato in Occidente è quella dell’esercizio del sospetto.

Ci si può legittimamente chiedere non solo se sia vero quello che si dice, ma anche quale sia la ragione per la quale si parla.

Se il primo modo di interrogarsi (che riguarda la verità delle affermazioni) può essere indicato come gnoseologico [1] o epistemologico [2], il secondo modo di investigare (che riguarda la causa delle affermazioni) può essere indicato come genealogico (nel senso dato a questo termine da Nietzsche) ed è praticato, nel nostro tempo, soprattutto dalla critica dell’ideologia e dalla psicanalisi.

L’interrogazione genealogica dipende, tuttavia, strettamente da una fondamentale incertezza o scetticismo circa la risposta alla domanda epistemologica. Se (come in una prospettiva scettica o nichilistica) qualunque risposta a cui perviene la ricerca filosofica e scientifica si rivela in qualche misura insoddisfacente, ma cionondimeno viene sostenuta, l’investigazione genealogica diviene in qualche modo necessaria. Se dubito del valore di verità di una certa risposta, sono portato a interrogarmi sulle ragioni probabilmente inconfessabili che me l’hanno comunque fatta preferire e difendere. L’ipotesi, infatti, è che se si difende qualcosa che non regge all’interrogazione filosofica, lo si fa per motivi diversi da quelli che si accampano.

Ecco il senso in cui gli autori che, dalla seconda metà dell’Ottocento, hanno insegnato a domandarsi le ragioni di  affermazioni, credenze, opinioni, sospettando che fossero sostenute da motivi diversi da quelli dichiarati, sono stati indicati da Paul Ricoeur come maestri del sospetto (ma cfr. anche la critica di papa Giovanni Paolo II a tale insegnamento) . Si tratta fondamentalmente di Marx, Nietzsche e Freud (anche se Schopenhauer, Feuerbach e tanti altri ancora, a cominciare dai moralisti francesi del XVII sec., non ignoravano questo modo di investigazione).

È precisamente in questa prospettiva possiamo parlare di una subduzione del senso delle cose. Quel senso che veniva “rivelato” sia pure alla fine di un processo, lineare o dialettico, dai grandi “sistemi” della modernità, ora “si nasconde”, come la natura di Eraclito (o, sotto un altro profilo, il “Sole nero”, accecante, fuori della caverna platonica, verità razionalmente inattingibile), tra le “faglie” di costruzioni concettuali  non solo aporetiche, ma funzionali, quali maschere, a nasconderlo, illudendo che le cose stiano altrimenti.

di Giorgio Giacometti