La filosofia di Marx può essere considerata espressione di esercizio di sospetto, prima ancora che di nichilismo conclamato, per la nozione tipicamente marxiana di ideologia. La filosofia di Marx si annuncia, infatti, come esempio classico di critica dell’ideologia.
Marx deriva da Hegel (e, attraverso di Hegel, dalla filosofia di ogni tempo) il metodo fondamentale, la dialettica (ossia l’arte del mettere in luce le contraddizioni attraverso il dialogo). Soltanto, egli la applica prevalentemente ai fenomeni storico-sociali, perché, rovesciando la prospettiva idealistica di Hegel, pensa, materialisticamente, che non la natura derivi dallo spirito, come pensava Hegel, ma, al contrario, sia lo “spirito” (la coscienza) a derivare dalla natura (Marx plauderà, infatti, alle scoperte di Darwin sull’origine della vita e dell’uomo).
In questi fenomeni storico-sociali Marx mette in luce le contraddizioni. Ciò che appare in un determinato modo a guardar bene si rivela l’opposto di ciò che sembra (ad esempio, l’economia di mercato sembra favorire il benessere di tutti, invece si rivela una forma di crescente sfruttamento di alcuni a vantaggio di altri). Tuttavia Marx non è interessato tanto alla comprensione teorica di questi fenomeni, quanto alla messa in luce delle loro dinamiche storiche.
Si può fare un esempio di questo “rovesciamento” marxiano della dialettica hegeliana, tratto dal rapporto servo-padrone, delineato nella Fenomenologia dello Spirito di Hegel. Come si ricorderà, secondo Hegel, se il padrone appare indipendente e il servo appare dipendente da lui (tesi), in realtà, a ben vedere, è il padrone a dipendere dal servo per la propria sopravvivenza (antitesi), mentre il servo potrebbe tranquillamente sopravvivere senza il padrone (sintesi). Il problema consiste nel fatto che questa “sintesi” in Hegel è una sintesi “nel pensiero”. Di fatto, il “servo” (in cui possiamo riconoscere prefigurata la classe operaia) resta “dipendente” dal padrone (in cui possiamo riconoscere prefigurata la classe borghese o capitalistica), fin tanto che non se ne emancipi con un’azione rivoluzionaria. Solo la prassi, secondo Marx, ossia l’azione, è capace di sintesi, una sintesi che può compiersi, dunque, solo nel futuro, rispetto al presente del riconoscimento nel pensiero delle contraddizioni in gioco in una determinata situazione storico-sociale. Pensare che la sintesi sia soltanto “pensata” è fare dell’ideologia: sostituire la vera emancipazione della classe operaia con la sua “rappresentazione” consolatoria (operazione ideologica simile a quella perpetrata dalla religione cristiana, che promette la “beatitudine” ai poveri, sì, ma solo nel “regno dei cieli”).
Marx, inoltre, rispetto alla tradizionale smascheramento tipicamente filosofico degli errori, delle illusioni e degli inganni che si celano dietro ogni “opinione” (che si può far risalire alla maieutica socratica), aggiunge un nuovo elemento: la spiegazione del perché certi “inganni” (certe tesi) resistono nel tempo storico più di quanto logicamente meriterebbero. Evidentemente è interesse di alcuni (di quella che Marx chiama la classe dominante in una certa epoca) che certe dottrine (filosofiche, religiose ecc.), ma anche certe espressioni della cultura, dell’arte e della letteratura, nonché i cardini del diritto (in particolare il principio della sacralità della proprietà privata) persistano, mentre altri (quella che Marx chiama classe dominata), che non avrebbero alcuni interesse alla verità delle stesse dottrine, ne sono persuasi dalla propaganda dei primi. L’insieme di tutto ciò che viene sostenuto (falsamente) per favorire gli interessi di una parte della società (anche se viene spacciato come “vero” o “giusto” per tutti) è chiamato da Marx ideologia.
Marx può essere considerata maestro del sospetto proprio per la nozione di ideologia.
Ma che cosa esattamente copre l’ideologia? Gli interessi di chi tutela?
STRUTTURA E SOVRASTRUTTURA
Per comprenderlo occorre approfondire un’ulteriore distinzione tipicamente marxiana, quella tra struttura e sovrastruttura.
La struttura è costituita precisamente da
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rapporti di produzione (rapporti tra chi possiede i mezzi di produzione e chi solo li utilizza);
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forze produttive (sviluppo tecnologico, mezzi di produzione e manodopera).
La struttura, dunque, è costituita, essenzialmente, dall’economia.
All’interno della struttura l’analisi dei rapporti di produzione permette di distinguere le classi a seconda di chi detiene i mezzi di produzione (ciò che serve alla riproduzione di una società). Marx distingue tra classe dominante e classe dominata a seconda di quale classe detiene i mezzi di produzione. Nella sua epoca (industriale) dominante è la borghesia, in quanto i borghesi detengono le fabbriche, sono i proprietari delle macchine. Il proletariato, che non dispone di altra merce che di se stesso, costituisce la classe dominata. In passato dominante è stata l’aristocrazia terriera, dominate le plebi contadine ecc. ecc.
Orbene, è la classe dominante, attraverso l’ideologia, a esercitare una forma di controllo sulla classe dominata (in assenza di ideologia, del resto, la classe dominata, numericamente maggiore della classe dominante, in caso di conflitto, avrebbe facilmente ragione di quest’ultima).
Tuttavia tale controllo non è immediato. Esso è mediato dalla cosiddetta sovrastruttura, ossia un insieme di organizzazioni che esistono per mantenere inalterata la struttura, producendo anche ideologia.
Possiamo costruire una tabella indicativa di alcune tipiche organizzazioni sovrastrutturali e delle loro rispettive produzioni ideologiche.
Lo Stato, ad esempio, lungi dal rappresentare, come per Hegel, la sintesi delle forze in gioco nella società civile, dunque un potere neutro o terzo rispetto a borghesia e proletariato in lotta, è piuttosto un’organizzazione che, fingendo di essere super partes, fa in realtà il gioco della classe dominante, cioè della borghesia, difendendo con la forza del diritto e della polizia i vantaggi derivanti dall’istituto della proprietà privata (che risulta anche ideologicamente giustificato come “naturale”).
Estendendo questa prospettiva all’intero ambito dell’ideologia/sovrastruttura (non solo, quindi, al diritto e alla politica, ma anche a religione, letteratura filosofia ecc.), Marx mostra come al di sotto di quella chiama sovrastruttura giaccia una struttura essenzialmente economica che la sovrastruttura copre e giustifica.
In generale Marx pensa che il modo di produzione della vita materiale (struttura) condizioni il processo sociale, politico e spirituale della vita (sovrastruttura e ideologia); l’essere sociale determinerebbe la coscienza degli uomini, come emerge in questi classici testi.
Secondo Marx nella società prevale sempre l’interesse economico delle parti sugli elementi della sovrastruttura: l’ideologia serve solo a far prevalere i propri interessi. L’ipocrisia è, dunque, strutturale alla società, specialmente alla società borghese.
FILOSOFIA DELLA STORIA
Ora, per Marx la storia è storia della lotta di classe, ossia della lotta tra i di volta in volta detentori di determinati mezzi di produzione e coloro che non li posseggono.
Nel Manifesto del Partito Comunista (1848) Marx sostiene che la borghesia, come classe, ha avuto nella storia una funzione rivoluzionaria. Dove essa è giunta al potere, infatti, è riuscita a creare un mondo a sua immagine e somiglianza, distruggendo condizioni di vita feudali, patriarcali, “idilliache”, sostituendo allo sfruttamento velato da illusioni religiose e politiche, uno sfruttamento diretto ed aperto. Essa ha portato al frazionamento dei mezzi di produzione, della proprietà e della popolazione. Nel periodo del suo dominio ha sviluppato enormemente le forze di produzione, fino a provocare crisi di sovrapproduzione; ha introdotto, infine, la “libera concorrenza” mediante una costituzione politica e sociale (liberale-rappresentativa) adatta al dominio della classe borghese.
Nell’Ideologia tedesca (1846) Marx afferma che la divisione del lavoro riguarda sia i rapporti internazionali che l’organizzazione interna di una nazione. Essa comporta la separazione del lavoro industriale e commerciale dal lavoro agricolo. Ai diversi stadi di sviluppo della divisione del lavoro corrispondono diverse forme di proprietà. Dalla divisione del lavoro è determinato il “grado di sviluppo delle forze produttive di una nazione”.
Come fa, in questo contesto, una classe dominata (o una porzione o “avanguardia” di essa) a diventare dominante?
Ciò si verifica quando, in seguito a forte sviluppo tecnologico, i rapporti di produzione non sono più confacenti allo stato delle forze produttive.
Dobbiamo considerare le tecniche di produzione. Col passare del tempo chi sviluppa i mezzi di produzione più avanzati tende a sovrastare gli altri. I precedenti dominatori sono sempre economicamente più “statici” rispetto ai nuovi (dispongono di mezzi più antiquati).
Ad esempio la porzione più “avanzata” del “popolo”, proveniente dalla classe contadina, che andò a formare la classe borghese, detentrice di mezzi di produzione pre-industriali, con la rivoluzione francese riuscì a scalzare la classe dominante aristocratica, detentrice di mezzi di produzione afferenti al modo di produzione agricolo.
Come farà il proletariato a scalzare la borghesia che lo opprime?
Nel caso della tensione tra classe borghese e classe operaia la rivoluzione potrà scoppiare se e quando si svilupperà anche un’ideologia operaia opposta a quella borghese
In ogni caso, dal punto di vista di una dialettica materialistica , una rivoluzione presuppone soprattutto che “esplodano” le contraddizioni che contraddistinguono una certa società. Solo dall’esplodere delle contraddizioni può scaturire la rivoluzione e la storia, come storia di lotte di classe, svolgersi.
LE CONTRADDIZONI DEL CAPITALISMO
Marx usa per la prima volta la parola contraddizione, nel senso storico-sociale, in cui ancora oggi spesso viene usata o riferita a proposito di disagi e conflitti sociali (p.e. contraddizione nello sviluppo tra Nord e Sud del mondo ecc.), piuttosto che nell’originaria accezione puramente logica (incompatibilità tra proposizioni o giudizi).
Marx ritiene che la contraddizione sia la molla del progresso. Concependola come antinomia storico-materiale (conflitto insolubile d’interessi tra classi sociali) egli ne prefigura nel presente la soluzione nella sintesi della teoria = pensiero (interpretazione della realtà), ma la vede realizzata nel futuro nella sintesi della prassi = rivoluzione (trasformazione della realtà).
L’alienazione (di cui Marx parla nei Manoscritti del 1844) è una contraddizione (non logica, ma storica) perché esprime il fatto che ciò che appartiene all’operaio in quanto egli lo produce, in quanto prodotto del lavoro, non gli appartiene più, in quanto merce: il suo stesso lavoro, la sua umanità, se stesso come uomo non gli appartengono più. La tesi (“si tratta del mio lavoro”) implica il proprio contrario. Mentre per Hegel il gioco dialettico riguarda solo il pensiero, i concetti; per Marx riguarda l’uomo storico e concreto, appartenente a una determinata classe sociale, di una determinata epoca.
Ma che cos’è esattamente l’alienazione?
L’espressione deriva da “alieno” [lat. alienus], cioè “altrui” (di un altro). Alienare significa rendere altrui qualcosa di proprio (sinonimo: “espropriazione”). Anche la vendita di una merce è un’alienazione.
Forme di alienazione sono:
1. ALIENAZIONE DEL PRODOTTO |
L’uomo si aliena rispetto al prodotto che non gli appartiene sebbene esca dalle sue mani. | Il prodotto del lavoro è alienato (= altrui, di un altro). |
2. ALIENAZIONE DELL’ATTIVITA’ |
L’uomo si aliena dalla propria stessa attività lavorativa perché è una merce come le altre che egli vende. |
L’operaio diventa merce. L’operaio fa di se stesso una merce nel momento in cui produce merci. L’operaio mentre produce si sente una merce perché le merci che produce non sono sue. Il suo lavoro, infatti, è stato comprato come una merce qualsiasi. |
3. ALIENAZIONE DELLA LIBERTÀ DI DIVENTARE CIÒ CHE SI VUOLE IN QUANTO UOMO (ESSERE GENERICO) |
Si aliena da se stesso come uomo perché è strumento a fini estranei di un lavoro forzato (se fosse veramente libero farebbe ciò che vuole e riempirebbe la sua attività di infiniti lati creativi). |
L’operaio diventa bestia. Si sente libero solo quando mangia, beve, dorme. È ricattabile in quanto tiene alla vita. L’uomo asservito alla produzione industriale non può cambiare liberamente attività, come sarebbe nella sua natura di essere generico (Gattungswesen), che, a differenza degli altri animali, non ha una specifica vocazione produttiva. L’uomo è obbligato ad una sola attività (come le bestie). Fuori del lavoro c’è solo la vacanza, cioè l’assenza del lavoro; se il lavoro non fosse alienato non ci sarebbe differenza tra lavoro e vacanza; con l’eliminazione della proprietà privata cade la distinzione tra lavoro e vacanza. |
4. ALIENAZIONE DELL’ALTRO UOMO |
L’uomo è alienato dall’altro uomo, il datore di lavoro, perché non ha con lui un rapporto alla pari. |
Il potere (cioè, per Marx, il possesso dei mezzi di produzione) cambia i rapporti tra le persone. Chi ha il potere aliena l’altro uomo, lo mette in soggezione. Quando una persona esercita il potere su un altro uomo, i due non si riconoscono reciprocamente come uomini ma il lavoratore vede l’imprenditore come una divinità o un dèmone, mentre l’imprenditore considera l’altro una merce. |
Come si può capire, questo tipo di contraddizione (l’alienazione) non si può certo “risolvere” a livello concettuale. L’operaio non “se ne fa niente” di una sintesi solo pensata. La riappropriazione (a un diverso livello) di ciò di cui è stato espropriato (attraverso la socializzazione dei mezzi di produzione, ossia il “comunismo” economico), cioè la sintesi dialettica che dovrebbe risolvere la contraddizione, richiede un’azione rivoluzionaria; la quale, a sua volta, come vedremo, richiederà la maturazione di condizioni storico-sociali ben determinate (ossia che le contraddizioni del sistema capitalistico nel suo complesso abbiano raggiunto un determinato livello, tale da rendere possibile l’azione rivoluzionaria stessa).
Sotto quest’ultimo profilo Marx è allievo di Hegel. La storia procede secondo una necessità dettata dal movimento dialettico dei suoi protagonisti (per Hegel fondamentalmente gli Stati, per Marx le classi in lotta). Non si possono anticipare i tempi, ma bisogna assecondare questo sviluppo, avendolo adeguatamente compreso. La differenza tra i due autori consiste principalmente nella prospettiva: Hegel è rivolto essenzialmente al passato, Marx al futuro: la comprensione del passato è solo una condizione per l’azione rivolta al futuro, azione a cui è demandata la realizzazione materiale della sintesi, anticipata dal pensiero. Sarebbe un errore, tuttavia, immaginare la sintesi futura, cioè la rivoluzione, come uno scopo etico, che Marx abbia di mira. L’etica appartiene alla sfera dell’ideologia. La rivoluzione è piuttosto l’esito storicamente necessario della lotta tra le classi. Il fatto che la rivoluzione proletaria porti all’estinzione della differenza tra le classi e, quindi, a una forma di compiuta giustizia sociale è, nella prospettiva marxiana, più un effetto storicamente necessario che uno scopo voluto.
Fondamentali contraddizioni del sistema economico capitalistico, destinate a emergere storicamente, sono quelle che Marx mette in luce nel suo capolavoro, il Capitale.
Nell’economia borghese i capitalisti diventano più ricchi a danno dei proletari che invece si impoveriscono. I rapporti tra queste due classi (capitalisti e proletari), come sappiamo, si chiamano rapporti di produzione in relazione al possesso o meno dei mezzi di produzione. I capitalisti possiedono i mezzi di produzione.
Secondo Marx è vincente la società che, nel tempo, produce di più. Dal momento che con l’avanzare dei secoli cresce lo sviluppo tecnologico, quando lo sviluppo delle forze produttive non corrisponde più al modo di produzione di una determinata società, questa, per crescere, deve cambiare modo di produzione: una nuova classe dominante, detentrice dei nuovi mezzi di produzione, deve imporsi (imporre non solo la sua forza, ma anche la sua ideologia). È stato, per es., il caso della borghesia contro l’aristocrazia. Sarà il caso del proletariato.
La società, al tempo di Marx, si va polarizzando tra capitalisti e proletari. Durante lo sviluppo del capitalismo quelli che cercano di resistere alla polarizzazione (artigiani, commercianti), ovvero i membri della cosiddetta classe media, vengono assorbiti: o riescono ad accumulare sufficiente capitale da divenire essi stessi capitalisti, o, dopo essere falliti, sono costretti a proletarizzarsi. (Cfr. quello che si teme possa accadere oggi con gli ipermercati nei confronti dei piccoli negozianti).
I capitalisti, sfruttando gli operai, producono qualcosa (merce) che poi viene venduta alla classe media. Ma, se, come Marx prevede, la classe media scompare o anche solo si riduce, si va incontro ad una sovrapproduzione in quanto non si riescono a vendere le merci prodotte: nel 1873 scoppia una depressione economica che i marxisti interpretano come prova della loro teoria. Un momento simile, quando il sistema collassa, secondo Marx scocca l’ora della rivoluzione.
Le contraddizioni del capitalismo (denunciate da Marx nel Capitale) sono, dunque, principalmente queste:
a) Proprio l’obiettivo di vendere, che anima il capitalismo e lo rafforza, non impedisce, anzi fa sì che, alla fine, paradossalmente, le merci restino invendute (crisi di sovrapproduzione).
b) Chi domina, riducendosi sempre più di numero, finisce per soccombere perché i proletari, in maggioranza, possono rovesciarlo.
c) In particolare con l’avvento della fabbrica gli operai sono sì più sfruttati, ma, sradicati dal mondo differenziato da cui provengono (quali contadini, artigiani, ecc.), si riconoscono reciprocamente nel contesto socializzante della fabbrica come aventi ormai gli stessi interessi, diamentralmente opposti a quelli del capitalista.
LA TEORIA DELLA RIVOLUZIONE
Concepita dialetticamente la storia come storia della lotta di classe (materialismo storico), Marx afferma che la soluzione della contraddizioni del capitalismo non può essere teorica, ma pratica: la rivoluzione. Posto che lo Stato è elemento sovrastrutturale funzionale al dominio di classe della borghesia si tratta di impossessarsene o per via democratica o con la forza, a seconda delle circostanze, per poi riplasmarlo per l’interesse della classe operaia fino all’eliminazione di ogni possibile minaccia contro-rivoluzionaria. Solo a quel punto, con l’estinzione dello Stato, potrà rifulgere la “società senza classi” nella quali “a ciascuno sarà dato secondo i suoi bisogni e ciascuno darà a seconda delle sue capacità”. La “sintesi dialettica” è collocata nella storia futura e ha i tratti dell’utopia. A differenza degli utopisti del passato (da Tommaso Moro ai socialisti del primo Ottocento), Marx, però, crede di avere indicato non solo il fine, la società giusta, ma anche i mezzi per conseguirla.
N. B. Questo obiettivo, storicamente, è risultato, per ora, irraggiungibile, forse destinato a rimanere un’idea. I sistemi ispirati alla dottrina di Marx non sono mai riusciti a superare la fase della dittatura del proletariato, che anzi ha assunto quasi sempre i caratteri di una dittatura dei diversi partiti comunisti sul proletariato e sulla società in generale (cfr. leninismo). Più che sugli esiti rivoluzionari, dunque, la nostra riflessione filosofica si è concentrata sull’analisi critica svolta da Marx del sistema capitalistico nel quale in buona sostanza ancora viviamo.
MARX FILOSOFO, POLITICO O SCIENZIATO?
Ci si potrebbe chiedere, in conclusione, come si potrebbe classificare il marxismo (o come Marx stesso lo classificherebbe). In quanto critica dell’ideologia, poiché anche le filosofie, secondo Marx, sono ideologie, è difficile classificare il marxismo come “filosofia“. Dal punto di vista marxista la “filosofia” è una forma di ideologia, un elemento della sovrastruttura, in definitiva una “mistificazione”. Dunque anche la sua filosofia sarebbe, per Marx, una mistificazione? Se così fosse, Marx, dietro la maschera del critico dell’ideologia, nasconderebbe una maschera nichilista. Nulla avrebbe valore e la storia si risolverebbe in una lotta tra classi priva di scopo, all’interno della quale vincerebbe soltanto chi è oggettivamente più forte, come avviene in natura secondo il darwinismo. Il marxismo sarebbe allora una forma di darwinismo sociale eguale ed opposto, ad esempio, a quello, “di destra” di uno Spencer. A favore di questa tesi militerebbe il fatto che Marx plaudette alla pubblicazione dell’Origine della specie di Darwin.
Marx, però, preferiva considerare la sua dottrina, nel clima positivistico della seconda metà dell’Ottocento, non come filosofia e, dunque, neppure come mera “ideologia”, ma come scienza, il “socialismo scientifico”.
Vero è che anche la scienza è, in generale, per Marx un prodotto ideologico. Di qui la difficoltà a intendere il marxismo. Oggi lo si intende per lo più, per un’ironia della sorte, come un classico esempio di “ideologia”, l’ideologia della classe operaia. Ma Marx, per cui ideologia significava “mistificazione”, difficilmente avrebbe accettato questa diagnosi.
Forse la cosa può intendersi in questo modo: come filosofia o ideologia speciale, diretta a trasformare il mondo piuttosto che a interpretarlo [cfr. Tesi su Feuerbach, 1845], il “materialismo storico” (dal punto di vista di Marx) avrebbe potuto essere riconosciuto come “vero” (corrispondente all’interesse non solo della classe operaia, ma di tutti) pienamente solo in una futura “società senza classi”.
Certo, anche l’ideologia rivoluzionaria dello stesso Marx esprime determinati interessi, quelli di una particolare classe (in modo non ipocrita, ma scoperto). Marx ritiene, tuttavia, che nella fase del comunismo, cioè nella futura “società senza classi”, alla lunga i vantaggi saranno di tutti secondo la massima: “A ciascuno secondo i suoi bisogni, da ciascuno secondo le sue capacità”. Ciò che è parziale diverrà universale. L’ideologia del proletariato sarà riconosciuta per ciò che essa è: autentico sapere sociale.
Cfr. questa puntata di Passato e presente su Karl Marx.
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