I razionalisti ritengono che solo quelle che Galileo chiamava “matematiche dimostrazioni” producano “scienza” (sapere, conoscenza), perché le “sensate esperienze”, essendo basate sui sensi, possono ingannare. Inoltre, per quante volte si assista una determinato fenomeno non si può essere sicuri che ad esso corrisponda veramente una legge universale (potrebbero sempre darsi eccezioni non ancora verificatisi). In altre parole, il procedimento induttivo, che consiste nell’inferire l’universale dal particolare per generalizzazione, è soggetto all’errore, come sapevano perfettamente già i filosofi greci (specialmente gli scettici, ma anche i platonici).
Cartesio, ad esempio, non venendo a capo del tradizionale dubbio metodico (che riguarda l’uso dei sensi), si fa campione del moderno razionalismo, superando il dubbio iperbolico (che riguarda l’esercizio della ragione matematica) grazie al “cogito” e alla dimostrazione dell’esistenza di Dio e fondando il suo famoso metodo. In ultima analisi, secondo Cartesio, solo ciò che appare evidente alla ragione merita di essere creduto (p.e. il principio di inerzia).
Dal canto suo anche Leibniz, distinguendo verità di ragione e verità di fatto, finisce per considerare anche queste ultime comprensibili solo da parte di chi fosse in grado di coglierne, di volta in volta, la ragion sufficiente. In ultima analisi solo la ragione sarebbe fonte di conoscenza.