L’ordine fissato nel congresso di Vienna venne scosso da due serie di c.d. “moti”, nei primi anni ’20 e nei primi anni ’30 dell’Ottocento, in Europa e, in modo particolare, in Italia. Si trattò di insurrezioni, che videro protagonisti soprattutto borghesi, intellettuali, studenti e militari (anche se talora vi presero parte anche componenti “popolari”), ispirate prevalentemente da principi liberali, volte a ottenere la “costituzione”, ossia un regime costituzionale.
I moti degli anni ’20 (verificatisi in Spagna e, per “contagio”, nel regno di Napoli, mentre furono solo progettati ma subito sventati in Piemonte e Lombardia) fallirono grazie all’applicazione efficace del principio dell’intervento (prima a Napoli, nel marzo del ’21, anche a causa dell’indebolimento della rivoluzione liberale, inizialmente riuscita, dovuto alle tendenze separatistiche della Sicilia, ad opera dell’Austria; poi in Spagna, nel ’23, ad opera della Francia di Luigi XVIII che voleva accreditarsi come potenza conservatrice).
Il solo “moto” di successo di questo anni fu la guerra d’indipendenza greca (1822-29) che per la sua componente religiosa e per l’appoggio ricevuto per tale ragione dalla Russia fa, tuttavia, storia a sé.
I moti degli anni ’30 ebbero, invece, per effetto la rottura dell’ordine della restaurazione, poiché videro l’affermazione nell’Europa occidentale (o atlantica), prima in Francia, quindi in Belgio, in Spagna e in Portogallo, di monarchie costituzionali, laddove in Polonia e Italia (in Emilia-Romagna) le insurrezioni, di nuovo, fallirono, lasciando apparentemente inalterato il predominio delle potenze assolutistiche regionali (Austria, Prussia e Russia).
Cfr. la seconda parte del video (a cura del Museo del Risorgimento) sulla Restaurazione in Piemonte e i primi moti contro l’ordine di Vienna e la prima parte di quest’altro video relativo ai moti degli anni Trenta.
Il fallimento dei moti costrinse gli intellettuali italiani a riconoscere i limiti dell’approccio cospirativo proprio delle società segrete come la Massoneria, la Carboneria italiana, l’Eteria greca, i Comuneros spagnoli.
Queste società erano talmente segrete che spesso gli adepti dei primi livelli di tali organizzazioni erano all’oscuro non solo dei nomi dei membri, ma perfino delle finalità dei livelli superiori. Ciò paradigmaticamente accadeva nella società degli Adelfi, quindi in quella dei Sublimi Maestri Perfetti, ideate da Filippo Buonarroti, l’ex compagno di Gracco Babeuf, nelle quali obiettivi liberali al primo livello, democratici al secondo e socialistici al terzo erano via via rivelati agli adepti a seconda del loro grado di “iniziazione”.
Questo approccio cospirativo si rivelava inadeguato perché impediva una sufficientemente ampia partecipazione popolare ai moti e confidava troppo nella complicità di principi (come Carlo Alberto per i moti tentati nel ’21 in Piemonte e come Francesco IV d’Este in quelli realizzati in Emilia nel ’31, ma subito repressi) che si rivelavano puntualmente inaffidabili. Mancava inoltre quell’aspirazione “nazionale”, tipica della concezione romantica del mondo, che, sommandosi alla rivendicazione dei diritti civili e politici propri delle culture, di matrice illuministica, liberale e democratica, avrebbe potuto conferire il giusto “pathos” e la giusta direzione alla lotta.
Sui limiti dei primi moti risorgimentali e sulla necessità di superare l’approccio confuso dei medesimi ecco una brevissima videolezione di raccordo:
Sulle (fragili?) fondamenta culturali dell’idea di un “Risorgimento” nazionale ecco una breve videolezione:
Di tale aspirazione “nazionale” si fecero interpreti, in modi differenti, le correnti politico-culturali che, in Italia, cominciarono a porsi la “questione nazionale”. Diffusesi negli anni Trenta e Quaranta, esse prepararono il terreno alle insurrezioni del ’48 (cioè alla particolare forma nella quale anche l’Italia partecipò alla “primavera dei popoli” che sconvolse l’Europa in quell’anno fatidico): la concezione repubblicana di Mazzini, quella federalistica di Cattaneo, quelle liberali moderate di Gioberti, Balbo e d’Azeglio. Si tratta di quell’ampio movimento culturale che, memore dell’esperienza delle repubbliche giacobine di età napoleonica (che si erano già date come bandiera il tricolore rosso, bianco e verde), confluito dopo il ’48 nella c.d. Società nazionale, favorì la formazione dello moderno Stato unitario italiano (anche se tale Stato, per una curiosa “eterogenesi dei fini”, assunse quella forma di regno unitario – di fatto un’estensione dell’amministrazione del Piemente al resto del Paese – che nessuno aveva mai effettivamente concepito).
Cfr. la seconda parte del video relativo ai moti degli anni Trenta, che accenna alla nascita delle dottrine nazionalistiche di Mazzini e dei moderati italiani.
L’occasione imprevista che sembrò favorevole alla realizzazione dei nuovi ideali nazionali italiani fu la “primavera dei popoli” che si verificò nel 1848, una serie di insurrezioni a catena che coinvolse l’Europa, per lo più guidate da aspirazioni democratiche e nazionali.
Due gli epicentri di queste insurrezioni: Palermo per quanto riguarda l’Italia, Parigi per quanto riguarda l’Europa.
L’insurrezione di Palermo di gennaio, animata anche dal “solito” movente separatistico dei Siciliani (già emerso nel ’20), provocò l’insurrezione a Napoli e costrinse il re delle Due Sicilie a concedere la costituzione, dopo aver resistito per due anni al “vento di rinnovamento” che aveva pervaso gli altri Stati italiani a seguito dell’elezione di Pio IX, il Papa sul quale (a torto) si appuntavano le speranze dei nazionalisti moderati (e in particolare dei c.d. “neo-guelfi”). Per effetto domino anche gli altri Stati italiani concessero costituzioni di impronta liberale nelle settimane seguenti (in Piemonte nel marzo del ’48 fu concesso da Carlo Alberto quello Statuto detto Albertino che divenne poi la carta costituzionale del Regno d’Italia fino alla proclamazione della Repubblica nel 1946).
L’insurrezione di Parigi del 22 febbraio ebbe per effetto l’instaurazione (il 25 febbraio) della II Repubblica (la I Repubblica era stata quella proclamata il 1 settembre del 1792, dopo le giornate dell’agosto dello stesso anno che videro l’arresto del re di Francia), una repubblica contraddistinta dal suffragio universale (dunque democratica). Anche in Europa si assistette a un effetto domino: sorprendentemente insorsero i borghesi a Vienna (13 marzo 1848), a Praga (nel luglio) e a Budapest (in autunno), cioè nel cuore dell’Impero asburgico (una delle tre sentinelle della restaurazione voluta dal congresso di Vienna), ma anche a Berlino e negli Stati tedeschi.
Tutto ciò spinse Milano a insorgere (18-22 marzo ’48, “5 giornate di Milano”, ispirate e guidate, tra gli altri, da Carlo Cattaneo, il democratico federalista) e Carlo Alberto, re di Sardegna, a intervenire (a dispetto dei desideri di Cattaneo) contro l’Austria nella I guerra d’indipendenza, all’ombra del tricolore italiano adottato come bandiera dell’esercito piemontese. Per una brevissima fase anche gli altri Stati italiani (in cui erano state concesse le costituzioni liberali) inviarono truppe per combattere gli austriaci (che avevano i loro “grattacapi” non solo a Vienna, ma anche nelle regioni dell’impero in cui le diverse nazionalità che lo componevano erano in subbuglio, aspirando all’indipendenza politica).
Per un attimo, dunque, sembrò che l’ordine della restaurazione fosse definitivamente sconfitto e in tutta Europa, con la sola eccezione della Russia, si affermassero politicamente sia gli ideali liberali e democratici, sia le aspirazioni nazionali (secondo il sogno del Mazzini della “Giovine Europa”).
Come mai, allora, queste insurrezioni fallirono? Fondamentalmente per due ordini di ragioni:
- per le contraddizioni del “principio di nazionalità” che, a dispetto del disegno di Mazzini, guidato da un’ideale di “fratellanza” tra i popoli, comportava la contrapposizione tra i diversi gruppi etnici, soprattutto nelle regioni (come quelle dell’impero asburgico) nelle quali tali gruppi si mescolavano insistendo sul medesimo territorio (contrapposizione di cui approfittarono i sovrani, appoggiandosi nei diversi territori alle minoranze minacciate dai gruppi etnici maggioritari per restaurare l’ordine assolutistico);
- per le contraddizioni tra le aspirazioni politiche di liberali e democratici (nonché, talora, per i diversi modelli di approccio alle diverse “questioni nazionali”), contraddizioni visibili soprattutto in Germania (contrapposizione tra la maggioranza democratica del Parlamento di Berlino e la maggioranza liberale di quello di Francoforte; contrapposizione tra la soluzione “piccolo-tedesca” e quella “grande-tedesca” della questione nazionale), in Italia e nella II repubblica francese (che, paradossalmente, vide un’assemblea costituente eletta a suffragio universale a maggioranza assoluta monarchica, quindi vincere le elezioni presidenziali un nipote di Napoleone che, di lì a poco, nel 1852, si sarebbe fatto riconoscere Imperatore con il nome di Napoleone III ponendo fine alla seconda esperienza repubblicana francese).
Ecco un video sulla primavera dei popoli e la mia videolezione sul tema:
Anche in Italia, dove si registrò la prima guerra d’indipendenza, scandita nelle due fasi, liberale e democratica, l’aspirazione all’autonomia dall’Austria fallì. Si registrò, tuttavia, in una prima fase una straordinaria congiuntura, per quanto breve: l’invio di truppe da parte di quasi tutti gli Stati della penisola a sostenere l’azione militare di Carlo Alberto, che, a sua volta, intervenne dopo che i Milanesi, nelle celebri 5 giornate, già si erano resi liberi dagli Austriaci. Facile immagine l’entusiasmo di quei giorni, così come di quelli della proclamazione e della difesa fino all’ultimo sangue delle due “ultime” repubbliche sopravviventi nella penisola fino a ’49 inoltrato: la repubblica romana, che ha ispirato le parole del nostro inno di Mameli (sulla quale puoi fruire di questo interessante “romanzo video” in due puntate a cura di Rai Storia, 1 e 2, o, in alternativa, questa puntata di Passato e Presente), e la repubblica veneta, guidata da Daniele Manin, patriota democratico e, anche, omonimo (ma non discendente) degli ultimi dogi della Serenissima. Che cosa determinò il fallimento? Certamente la mancata solidarietà e, quindi, l’aperta ostilità della repubblica francese, già retta da Luigi Napoleone (il futuro Napoleone III), interessato a mantenere buoni rapporti con la Chiesa cattolica; la ripresa dell’Austria, che venne a capo per le ragioni dette, delle insurrezioni che l’avevano scossa; l’incertezza dei moderati e dei sovrani degli Stati italiani. Tuttavia questo generale sommovimento non rimase senza eco, ma, grazie anche a una serie di fortunate congiunture, preparò e rese possibile dieci anni dopo l’effettivo raggiungimento dell’unità nazionale.
Ecco un video, tratto da una puntata de Il tempo e la storia, sulle cinque giornate di Milano.
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