Seguiamo ora il processo attraverso il quale la Francia divenne una monarchia assoluta, modello per molti altri Stati europei ed extraeuropei (modello simbolicamente rappresentato dalla celebre reggia di Versailles, alla periferia di Parigi, che sarebbe stata imitata da regge di altri regni europei, come la reggia di Schoenbrunn alla periferia di Vienna, la reggia di Caserta, il Peterhof di San Pietroburgo ecc.).
Ancora nel corso delle guerre di religione che insaguinarono la Francia nella seconda metà del Cinquecento si levarono voci di pensatori (i cosiddetti politiques) che, per porre fine a questo genere di conflitti, sostennero la dottrina dell’assolutismo monarchico. Il massimo esponente di questa corrente può essere considerato Jean Bodin. Questi, quattro anni dopo l’agghiacciante strage di San Bartolomeo (con la quale furono sterminati i nobili protestanti intervenuti al matrimonio tra il loro leader, il futuro Enrico IV, e la principessa Margherita di Valois, di parte cattolica), pubblica, nel 1576, ìi Six livres de la Republique (Sei libri sullo Stato), nei quali egli difende il carattere assoluto e perpetuto del potere del re, che non deve essere limitato né da contropoteri di carattere religioso (come la Chiesa cattolica o le organizzazioni “ugonotte”, che, all’epoca, anche per potersi meglio difendere, tendono a dotarsi di armamenti propri e a radicarsi in piazzeforti autonome dal resto del regno), né da contropoteri di origine feudale.
La dottrina assolutistica di Bodin, come quelle di molti altri autori dell’epoca, si basa su una certa interpretazione del diritto romano, noto attraverso il Corpus iuris civilis, pubblicato nel VI sec. d. C. dall’imperatore Giustiniano. Diversi giuristi romani sostenevano che i sovrani (cioè coloro che esercitavano una potestas superiorem non recognoscens, cioè un potere che non ne riconosce altri sopra di sé) fossero legibus soluti (sciolti dall’obbligo di osservare le leggi, in quanto fonte delle stesse). Tale teoria si basava su un’ipotetica lex regia de imperio, in base alla quale il popolo romano, originario detentore della sovranità (interessante che anche gli autori assolutisti riconoscessero che l’origine più profonda della sovranità risiedeva nel popolo…), avrebbe trasferito i propri poteri all’imperatore. Bodin insiste sul fatto che tale trasferimento va interpretato non come prestito, ma come una donazione, altrimenti non si potrebbe dire che il re sia il sovrano, ma dovremmo affermare (come faranno, qualche secolo dopo, i pensatori democratici) che sovrano sia il popolo.
Concretamente l’assolutismo si affermò nel corso del Seicento in Francia, non senza difficoltà e pericoli. Alla morte di ciascun re seguirono disordini e tentativi sia dei nobili (dopo l’assassinio di Enrico IV, nel 1610, ad opera di un fanatico cattolico), sia anche dei borghesi delle città, rappresentati nei Parlamenti municipali (particolarmente durante l’interregno tra Luigi XIII, morto nel 1643, e l’ascesa al potere di Luigi XIV nel 1661), di “rialzare la testa”, difendendo i propri privilegi. In tutti questi casi, tuttavia, i difensori del potere “centrale” riuscirono ad avere la meglio. Non a caso il 1614 fu l’ultima occasione in cui furono convocati gli Stati Generali in Francia (l’assemblea dei rappresentati di aristocrazia, clero e popolo) prima del fatidico 1789, quando, dopo la loro convocazione, esplose la Rivoluzione Francese. Di fatto, per circa 180 anni la Francia cessò di essere una “monarchia feudale” o “cetuale”, ma divenne una monarchia assoluta. Le “fronde” dei nobili e dei parlamenti furono stroncate durante l’interregno tra i due Luigi dall’energico cardinale Mazzarino, mentre il suo celebre predecessore, il Richelieu, sottrasse agli ugonotti le loro piazzeforti (pur lasciando in vigore l’editto di tolleranza nei loro confronti, emanato a Nantes nel 1598 da Enrico IV, che sarebbe stato però abrogato da Luigi XIV con l’editto di Fontainbleau nel 1685).
Sull’assolutismo di Luigi XIV cfr. questa puntata de Il tempo e la storia (Rai Storia) o quest’altra di Passato e presente.
N. B. Nel romanzo di Alessandro Dumas I tre moschettieri, scritto in piena età romantica (1844), fonte di innumerevoli films, fumetti, cartoni animati ecc., ambientato nella Francia di Luigi XIII, D’Artagnan e i tre moschettieri sono rappresentati come i “buoni” costretti continuamente a battersi contro i “cattivi” armigeri del cardinale Richelieu. In realtà, dal punto di vista storico, i moschettieri rappresentano la nobiltà di origine feudale, riluttante ad accettare le regole dello Stato moderno, incline a farsi giustizia da sé (attraverso la pratica del duello ecc.), laddove il cardinale Richelieu difendeva l’esigenza, caratteristicamente moderna, che tutti i sudditi, nobili o meno che fossero, rispettassero le leggi dello Stato.