Nella seconda metà dell’Ottocento la configurazione geopolitica dell’Europa non è più quella uscita dal congresso di Vienna. Due nuovi Stati campeggiano nel cuore dell’Europa, l’Italia e la Germania.
Anche dal punto di vista socio-politico le cose nel continente sono molto cambiate.
Quell’estensione dei diritti civili e politici che nella prima metà dell’Ottocento si era cercato di strappare ai governi con le rivoluzioni, culminate nel biennio 1848-49, ora si ottiene progressivamente attraverso concessioni. Anche a seguito dell’impetuoso sviluppo economico connesso alla diffusione nel continente della rivoluzione industriale iniziata in Inghilterra a fine Settecento, si forma una nuova classe dirigente costituita dalla fusione degli eredi delle antiche aristocrazie militari (come gli Junker prussiani) e della nuova borghesia industriale. Questa classe dirigente intende tutelare i propri interessi contro le rivendicazioni sempre crescenti del proletariato industriale e agricolo. A questo fine è anche disponibile a integrare progressivamente i ceti inferiori nel “sistema” (proprio per neutralizzarne le spinte rivoluzionarie) attraverso la costruzione graduale di uno “stato sociale” accompagnata dalla diffusione, nei diversi Paesi, di forme “inclusive” di nazionalismo.
Sono anche gli anni in cui si registrano il crollo del secondo impero francese (1870, immediatamente seguito, nel 1871, dall’infelice esperienza rivoluzionaria della Comune di Parigi), la rottura dell’unità dell’impero austriaco a seguito del compromesso del 1867 (con la conseguente formazione dell’impero austro-ungarico) e l’abolizione della servitù della gleba prima in Austria (1848), quindi in Russia (1861, ad opera dello zar Alessandro II) – mentre schiavitù dei neri era stata abolita nel 1833 nei domini della Gran Bretagna, nel 1848 in quelli francesi (negli Stati Uniti lo sarà definitivamente dopo la guerra di secessione del 1861-65) -.