Si può leggere l’azione di Bismarck, entro certi limiti, come l’inveramento dell’idea hegeliana di Stato. L’unificazione tedesca, infatti, si conseguì, come Bismarck chiarì nel celebre discorso al Reichstag del 1862, “col ferro e col sangue”, ossia in modo diametralmente opposto a quelli che erano gli auspici dei liberali prussiani e, in generale, tedeschi, che ricordavano ancora come nel 1848 il Parlamento rivoluzionario di Francoforte avesse offerto all’allora re di Prussia, Federico Guglielmo IV, che rifiutò tale investitura democratica, la corona di Germania (tale unificazione si svolse anche in modo significativamente diverso da quello “composito”, in parte per iniziativa regia e militare, in parte per iniziativa insurrezionale e popolare, con il quale nel decennio precedente si era raggiunta l’unità d’Italia).
Questo, tuttavia, non significa affatto che Bismarck fosse un guerrafondaio e un militarista. Erede di Machiavelli e di Clausewitz, Bismack era uno statista e uno stratega, animato da profondo realismo politico. Se negli anni Sessanta, attraverso le due fondamentali guerre austro-prussiana (1866) – che fruttò all’Italia, alleata con la Germania, Veneto e Friuli – e franco-prussiana (1870-71) – che consentì ai bersaglieri italiani di prendere Roma e di farne la nuova capitale d’Italia – , riuscì a creare il secondo impero tedesco, federando attorno al re di Prussia i principali regni e principati della Germania occidentale (prima) e meridionale (poi), nei due decenni successivi, “uomo di pace“, si fece arbitrio delle controversie intra-europee (soprattutto nei Balcani), con il congresso di Berlino del 1878, e coloniali, con la conferenza di Berlino del 1884-85. Analogamente, in politica interna, combatté in sequenza cattolici e socialisti, ma, in pari tempo, realizzò uno dei primi esempi al mondo di Stato sociale, per neutralizzare in radice il possibile conflitto di classe. Anche sul piano istituzionale concepì un sistema originale che combinava la concessione del suffragio universale maschile per l’elezione dei membri del Reichstag imperiale (e, prima del ’71, già di quello della confederazione della Germania del nord) con la preservazione dei privilegi della corona e dei poteri del cancelliere, nominato dal sovrano e formalmente irresponsabile davanti allo stesso Reichstag.
Cfr. questa puntata de Il tempo e la storia su Rai Storia.