Può essere utile consultare questo video molto ricco di informazioni e quelli a seguire (scaricabili sempre da youtube) relativi alla rivoluzione russa. Si può anche fruire di questo documentario.
Appaiono rilevanti una serie di circostanze, talune di interesse in certo modo anche filosofico o, comunque, tali da poterne trarre considerazioni (sociologiche, antropologiche) più generali, rispetto agli eventi stessi in gioco:
- una condizione, forse imprescindibile, per la rivoluzione del 1917 fu la guerra (come era in parte accaduto anche nel 1905), per la grave crisi economica che essa aveva provocato e per la spinta che diede ai soldati (sotto questo profilo a differenza di quello che accadde nel 1905) a solidarizzare con gli operai;
- un’altra condizione fu l’incapacità della classe dirigente e, in particolare, dello czar di comprendere la situazione e di porvi rimedio (sebbene diversi consiglieri avessero cercato di dissuadere Nicola II dall’entrare in guerra, temendo proprio, sopratutto in caso di sconfitta, la rivolta popolare e la stessa fine della monarchia);
- simmetricamente, non giovò certamente alla salvezza della monarchia il discredito nel quale la famiglia regnante era caduta anche per la frequentazione di personaggi discussi e ambigui come il (sedicente) monaco Rasputin;
- la persistente povertà dei contadini, nonostante l’abolizione nel 1861 della servitù della gleba e la lottizzazione delle terre del mir (comunità del villaggio) a seguito delle riforme di Stolypin nei primi anni del Novecento (riforme che anzi peggiorarono le condizioni dei contadini più poveri), nonostante quello che ci si poteva aspettare, non portò mai questi contadini, molto legati alla religione, a sostenere pienamente la rivoluzione (che fu sempre portata avanti, nelle principali città e soprattutto a Pietrogrado e a Mosca, soprattutto da operai e soldati, riuniti in consigli o “soviet”, oltre che, ovviamente, dai dirigenti dei partiti di ispirazione socialista), anche se molti contadini alla fine sostennero (invano, dato il colpo di Stato finale compiuto dai bolscevichi) il partito socialista rivoluzionario (che si ispirava alle dottrine del nichilismo filo-contadino dell’Ottocento);
- la promessa di Lenin (c.d. “tesi di aprile”) di una “pace senza indennità e senza annessioni” non poteva che fare breccia presso un popolo di operai e soldati, provati da una guerra sanguinosa e senza sbocco, molto più della determinazione del governo provvisorio, guidato prima del principe Lvov, quindi dal socialista rivoluzionario Kerenskij, di continuare nell’impegno militare per non alienarsi l’appoggio delle potenze occidentali e per non dover cedere troppi territori e troppe risorse ai Tedeschi (come poi Lenin, giunto al potere, dovette fare con la pace di Brest-Litovsk, del marzo 1918);
- meno riuscito il disegno di Lenin di conquistare l’appoggio dei contadini, certamente felici che la guerra finisse e che venisse in parte attuata l’altra direttiva di Lenin, enunciata al suo arrivo in Russia, ossia “la terra ai contadini!”, ma non di dover forzatamente alimentare operai e soldati e di dover sostenere il maggior sforzo economico anche dopo la conclusione del conflitto (ostilità dei contadini che si tradusse con una larga maggioranza di socialisti rivoluzionari, a loro volta ostili al governo rivoluzionario bolscevico dell’ottobre, all’assemblea costituente eletta a suffragio universale nel novembre e immediatamente sciolta dalle guardie rosse fedeli ai bolscevichi).
Una doppia immagine degli esiti della rivoluzione d’ottobre (di fatto un colpo di Stato, ampiamente annunciato, che non incontrò troppe resistenze, dopo che nel luglio i bolscevichi, prima esiliati, poterono fregiarsi del fatto di avere impedito il colpo di Stato militare del generale Kornilov, tentato a seguito del fallimento dell’offensiva di Kerenskij contro di Tedeschi) è quella offerta rispettivamente
da Antonio Gramsci, fondatore del Partito Comunista d’Italia (nel 1921, inteso come sezione nazionale della nuova internazionale comunista facente capo al neonato Partito Comunista russo, ridenominazione della frazione bolscevica del Partito Socialdemocratico), ma non per questo meno consapevole delle differenze tra la dottrina marxiana originaria e l’approccio di Lenin, e
da Rosa Luxemburg, rivoluzionaria tedesca, a sua volta consapevole di tali differenze e assai critica verso Lenin (nel quadro della tentata instaurazione di una “repubblica di consigli”, sul modello sovietico, nella Germania appena uscita dal disastroso conflitto mondiale):
- una rivoluzione contro il Capitale (articolo del 1917, che qui si può scaricare – è piuttosto breve – in cui Gramsci intende il Capitale, non come ciò la cui detenzione da parte dei capitalisti è all’origine dello sfruttamento degli operai, ma come il titolo dell’opera di Marx: la rivoluzione bolscevica sarebbe stata realizzata, secondo Gramsci, anticipando i tempi, tentando di cattivarsi l’appoggio dei contadini, oltre che degli operai, in una fase di scarso sviluppo capitalistico, ossia in assenza della condizioni economiche previste da Marx);
- una dittatura non del proletariato, ma (del Partito Comunista) sul proletariato.
Dalla rivoluzione russa, dopo lunghi anni di guerra civile tra rossi e bianchi (bolscevichi e loro avversari interni, finanziati anche da potenze occidentali), che aggravò la condizione economica già precaria del popolo russo, emerse nel 1922 l’Unione della Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS), riconosciuta faticosamente dagli altri Stati del mondo (tra i primi l’Italia fascista!).
Il nuovo Stato (che continuava a venire chiamato familiarmente Russia) ebbe questa denominazione, nella quale mancava un riferimento esplicito alla nazionalità russa, perché costituito da diversi “popoli” a cui Lenin aveva, in teoria, attribuito, in virtù del principio di autodeterminazione dei popoli, il diritto alla piena indipendenza (concessione poi di fatto ritirata anche a seguito della partecipazione di molti non russi alla guerra civile dalla parte dei “bianchi”), ma che avrebbero conseguito l’effettiva indipendenza solo nel 1991, con la dissoluzione dell’URSS (generando i caratteristici problemi legati all’applicazione “meccanica” del principio di autodeterminazione, come la guerra russo-ucraina per il possesso della Crimea o la guerra in Cecenia, regione appartenente alla federazione russa, ma aspirante all’indipendenza sul modello delle repubbliche dell’ex URSS, esterne alla federazione stessa).
L’aggettivo “sovietico” si riferisce al modello di democrazia semi-diretta, caratteristica del nuovo stato “socialista”: ciascuna unità territoriale (p.e. una città) eleggeva i propri rappresenti al soviet (o consiglio) locale, il quale a sua volta eleggeva i propri delegati al soviet di livello superiore (p.e. regionale), il quale eleggeva i propri delegati al soviet di livello ancora superiore (p.e. quello di una repubblica)… fino alla costituzione del congresso panrusso dei soviet, successivamente denominato soviet supremo (convocato, la prima volta, all’indomani della rivoluzione d’ottobre, l’unico organismo che approvò la costituzione del nuovo governo rivoluzionario, a differenza della successiva assemblea costituente, eletta a suffragio universale, ossia nei modi tipici delle democrazie “borghesi”, immediatamente sciolta, per la sua opposizione al nuovo regime).
Di fatto, tuttavia, tutto il potere in Unione Sovietica fu detenuto sempre dal Partito Comunista (come si era ridenominata la frazione bolscevica del Partito Socialdemocratico), ora in forma collegiale, ora in modo più “personale” dal proprio segretario politico (come ai tempi di Lenin e, soprattutto, di Stalin).
Tale circostanza, insieme con i metodi dittatoriali di governo (controllo della stampa, repressione poliziesca delle dissidenza ecc.), fu sempre giustificata adducendo l’esigenza di procedere a una rapida industrializzazione “forzata” del Paese e la minaccia costituita dall’accerchiamento capitalistico della “patria del socialismo” e, dunque, la necessità di mantenere salda la “dittatura del proletariato” ben oltre il tempo verosimilmente immaginato da Marx (che, dopo la fase di tale dittatura, prevedeva l’estinzione dello Stato e delle connesse forme di coercizione e la nascita di una libera società senza classi).